Guerre in Congo. Rinviare le soluzione porta all’aggravarsi del problema

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Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Lug 8

Guerre in Congo. Rinviare le soluzione porta all’aggravarsi del problema

La recente proposta delle Nazioni Unite di trasformare il gruppo terroristico ruandese FDLR, responsabile di un milione di morti nel 1994, in un partito politico riconosciuto dall’attuale governo, apre interrogativi sul diverso trattamento riservato ai due olocausti: quello ebreo e quello ruandese

di Fulvio Beltrami

rwanda, congo, rdlr, nazioni unite, genocidio, terrorismo

La scorsa settimana si è svolto a Luanda, Angola, un summit sulla sicurezza in cui hanno partecipato gli stati membri della Comunità Economica dell’Africa del Sud (SADC) quelli della Conferenza Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi (CIRGL) e alti rappresentanti delle Nazioni Unite. Da questo summit è scaturita la decisione di concedere un tempo di sei mesi al gruppo armato ruandese Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) attive all’est del Congo, per disarmarsi ed arrendersi. Il porta parola del governo congolese, Lambert Mende Omalanga si è spinto a rivendicare la necessità di un dialogo inter ruandese tra l’attuale governo di Paul Kagame e le FDLR. Per rendere possibile questo dialogo si richiede a Kigali di riconoscere le FDLR come un partito politico a condizione di un disarmo e alla rinuncia della lotta armata. Una proposta apparentemente sensata che in altre parti del mondo è stata la chiave per la soluzione di decennali crisi e guerre.

L’ultimo esempio riguarda l’Europa e più precisamente l’Irlanda del nord. Purtroppo questa soluzione non è applicabile per la ventennale crisi della Regione dei Grandi Laghi, iniziata con il genocidio ruandese del 1994 che ha infettato come una malattia altamente contagiosa il vicino Congo, regalando guerre e lutti a questa nazione devastata da uno dei più brutali e disumani colonialismi (quello Belga) e da trent’anni di barbara dittatura del sergente Mobutu Sese Seko, resa possibile grazie all’assassinio dei migliori intellettuali e politici congolesi attuato subito dopo l’indipendenza con il diretto coinvolgimento della Cia, servizi segreti belgi e britannici. Il primo ministro Patrice Lumbumba fu la figura politica più importante ma non la sola ad entrare nel mattatoio organizzato dalle potenze occidentali per assicurarsi la continuazione del controllo di uno tra i più ricchi paesi africani. All’epoca il contingente di pace Onu scelse di assumere il ruolo di spettatore, come fu nel caso del genocidio ruandese del 1994.

Il contagio ruandese ha impedito al popolo congolese di liberarsi realmente dalla dittatura di Mobutu avviando un processo democratico e una rinascita economica. Mobutu è stato sostituito da una dinastia presidenziale (i Kabila) che contiene tutte le caratteristiche del passato regime con una sostanziale differenza: la totale assenza di una politica nazionale anche a breve termine. Il governo di Kinshasa vive alla giornata, protetto da truppe straniere (i caschi blu dell’Onu) ed intento a saccheggiare le ricchezze di un paese privato di istituzioni, diritti umani, legge e protezione sociale. Il contagio ruandese ha inoltre regalato 18 lunghi anni di violenze, massacri, pulizie etniche e guerre a ripetizione che hanno distrutto il tessuto socio economico dell’est del Congo. La popolazione del Kivu è stata trasformata in rifugiati e sfollati con la gran gioia delle agenzie Onu e Ong internazionali: fondi e imperiali stipendi assicurati per oltre un decennio. Una fortun'inaspettata per l’esercito di disoccupati occidentali senza arte ne parte, soprattutto in tempi di crisi economica mondiale.

Chi ha provocato il contagio ruandese? La classe dirigente del regime razziale che governò il Rwanda e portò al genocidio! Dove sono ora i sopravvissuti di questa classe dirigente, sfuggiti dalla “vendetta” o dalla “giustizia” del nuovo governo? In Europa, Sud Africa e all’est del Congo! La diaspora intenta a offrire una copertura politica e i “patrioti” sul campo di battaglia in attesa del “grande giorno”. In cosa consiste il progetto politico delle FDLR? Il programma è estremamente semplice: finire lo sterminio della minoranza tutsi e ristabilire la supremazia hutu nel paese. I dirigenti delle FDLR e la diaspora politica esiliata in Francia e Sud Africa non fanno nessun sforzo per nascondere il loro programma politico in quanto da loro considerato giusto. Dal 2013 le FDLR stanno tentando di invadere il Rwanda dal Congo e dalla Tanzania.

Il primo tentativo è stato sventato nel settembre 2013 grazie alla collaborazione delle Intelligence americana e ugandese. Un secondo tentativo è in atto da alcuni mesi tramite infiltrazioni di cellule terroristiche in territorio ruandese e una serie di attentati che hanno costretto le autorità a imporre un pesante controllo militare in Rwanda e a compiere omicidi politici in Sud Africa per eliminare i quadri più pericolosi e capaci del Hutu Power. Come tutte le attività terroristiche anche quelle delle FDLR si concentrano sulla povera gente. Granate buttate nei mercati o nelle stazioni degli autobus. Le vittime sono piccoli commercianti, casalinghe intente alla spesa, giovani studenti sia hutu che tutsi poiché non è stata ancora inventata una bomba così intelligente da selezionare le vittime su base etnica. Alla luce di questi dati di fatto come si può chiedere al governo di Kigali di riconoscere le FDLR come partito politico?

Possiamo noi occidentali, teorici detentori della democrazia e del progresso, chiedere ai nostri cittadini di riconoscere Al-Qaeda, Brigate Rosse, e i movimenti neo nazisti come legittimi partiti politici? La risposta ovvia è no! Qual è la differenza tra questi terroristi e le FDLR? Nessuna! Eppure questo semplice ragionamento è evidentemente non compreso non solo dal governo di Kinshasa ma dalle Nazioni Unite che un mese fa hanno ricevuto una delegazione di quadri politici e militari delle FDLR a Roma con il beneplacito del governo italiano. Molti di essi sono inseriti nella lista dei ricercati per crimini contro l'umanità e genocidio redatta dalle stesse Nazioni Unite e sono soggetti al divieto di entrare nei paesi membri. I loro nomi sono presenti nel database dell’Interpol e di tutte le polizie occidentali, quella italiana compresa e inseriti nella lista americana dei terroristi internazionali. Come mai non sono scattate le manette? Perché le autorità italiane hanno loro concesso il visto d’ingresso? Erano consapevoli o no della loro identità, dei loro crimini? Domande destinate a non ricevere risposta.

La richiesta di riconoscimento politico delle FDLR e di un dialogo inter ruandese non è nemmeno originale. Fu già proposta nel 1995 dalle stesse forze genocidarie rifugiatesi all’est del Zaire grazie alla complicità dell’esercito francese e delle Nazioni Unite che li protessero nei campi profughi con il vergognoso silenzio della maggioranza delle Ong Internazionali escluso Medici Senza Frontiere che decisero di abbandonare i progetti causa l’impossibilità di coniugare l’assistenza umanitaria e la presenza nei campi delle milizie genocidarie. Per due anni (1994 – 1996) queste forze terroristiche attuarono continui raid miliari nel territorio del Rwanda, paese decimato dall’Olocausto e con l’economia completamente distrutta. Dinnanzi all'impossibilità di poter vittoriosamente invadere il Rwanda e riconquistare il paese, i terroristi chiesero di essere riconosciuti politicamente, di avviare trattative di pace e di dividere il potere.

Come allora anche oggi questa proposta non può essere accettata non solo dal governo ruandese ma da qualsiasi governo con un briciolo di dignità, amore verso i propri cittadini e attento al futuro della nazione. Purtroppo non ci sono uscite diplomatiche alla crisi dei Grandi Laghi ma solo militari attuando la resa senza condizioni delle FDLR o il loro annientamento definitivo, poiché con i terroristi non si tratta, come insegnano gli americani. Per questo in Congo ci sono 12.500 caschi blu a cui si affiancano 3.000 soldati africani appartenenti alla Brigata di Intervento. Un esercito più che sufficiente per debellare i terroristi genocidari dai loro santuari conosciuti dalla missione di pace Onu in Congo Monusco, dal costo annuale di 1,4 miliardi di dollari pagato anche dagli ignari contribuenti italiani.

Il Rwanda è risorto dalle ceneri dell’Olocausto, diventando un paese moderno e capace di mantenere fede alla promessa fatta ai suoi cittadini: Never Again (Mai più). Il Nuovo Rwanda si basa su tre principi base: unità, responsabilità e costruzione di un migliore futuro economico per tutti i cittadini. Il governo di Kagame non è esente da critiche ed errori, per esempio la sua politica estera estremamente aggressiva nei confronti del Congo e la limitata libertà di stampa. Errori causati dalla Sindrome israeliana di un popolo che ha rischiato l’estinzione. A differenza del governo di Tel Aviv, quello di Kigali non ha rinchiuso gli hutu in riserve attuando il loro lento e progressivo massacro. Al contrario ha scelto il lento e doloroso percorso di riconciliazione e perdono che, giustamente, non riguarda gli ideatori dell’inumano crimine.

Se le vittime ebree ed europee hanno avuto la possibilità di veder trionfare la giustizia tramite il Tribunale di Norimberga, il popolo ruandese deve avere la possibilità di vedere processati questi criminali contro l'umanità per chiudere il drammatico capitolo del genocidio che a distanza di 20 anni sta ancora dilaniando il Congo e il Rwanda. Così come il popolo congolese ha il diritto di vivere in pace, scegliere il governo più appropriato e accedere allo sviluppo economico. Diritti fino ad ora negati dalle politiche geo strategiche e dagli interessi di noi occidentali. Le altre soluzioni portano alla pericolosa strada di complicità con i genocidari e all’assurdo tentativo di riconciliare carnefici e vittime, i primi responsabili di un milione di morti, compresi bambini di 2 anni sbattuti a morte contro i muri per il solo delitto di essere tutsi o hutu moderati.

Queste sono orrendi crimini che non si possono dimenticare come non si può ignorare un milione di fantasmi che rivendica costantemente GIUSTIZIA! Non sorprendiamoci se in un futuro assai vicino il governo ruandese deciderà di porre fine a questa continua spada di Damocle che grava sulla testa delle propria popolazione, invadendo il Congo e innescando un’altra guerra regionale, come successe nel 1996. Un diritto pienamente applicato dalle forze armate americane ed europee in qualsiasi parte del mondo in cui sono minacciate democrazia e pace da parte delle forze terroristiche. Ma questa is Just my Opinion.

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