Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Mar 3
di Fulvio Beltrami
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I risultati definitivi delle elezioni presidenziali svoltesi il 18 febbraio scorso sono stati comunicati dalla Commissione Elettorale nei tempi previsti: sabato 20 febbraio 2015. Yoweri Kaguta Museveni al potere da 29 anni e il suo partito National Revolutionary Army - NRA ottengono una netta vittoria dominando la presidenza e il parlamento in cui il NRA riconferma la maggioranza assoluta. Museveni ottiene il 60,75% mentre il suo storico rivale, l’ex Colonnello Kizza Besigye, leader del Forum per il Cambiamento Democratico – FDC si attesta al 35,61% I risultati finali sembrano sconfessare il previsioni elettorali fornite dal istituto IPSOS tre giorni prima del voto all’infuori della misera performance del ex Primo Ministro Amama Mbabazi che ottiene il 1,39% delle preferenze. I risultati del sondaggio effettuato da IPSOS prevedevano il 53% dei voti a Museveni con un margine di errore del +/- 2%. Una percentuale a rischio di secondo turno. Il sondaggio evidenziava un drammatico calo di popolarità del presidente in carica dovuto a diversi scandali del passato in cui era emerso il coinvolgimento di Museveni durante la campagna elettorale. Al contrario i risultati finali attestano al presidente una netta vittoria sinonimo di una grande popolarità.
Cosa è realmente successo? I risultati del sondaggio IPSOS non erano accurati come sembravano oppure le elezioni hanno subito manipolazioni e frodi? Le operazioni di spoglio dei voti sembrano avvalorare la seconda ipotesi. L’alto numero di voti irregolari (circa il 5%) fa sorgere il sospetto che siano stati penalizzati i voti a favore della opposizione. Il presidente della Commissione Elettorale, Badru Kiggundu ha pubblicato i risultati definitivi prima che lo spoglio di tutti i seggi sia stato completato. I risultati forniti non tengono in considerazione gli esisti dello spoglio di 1.787 seggi che corrispondono al 6% del totale dei seggi. Kiggundu ha affermato che questa “anomalia” è stata dettata dalla necessità di rispettare i tempi previsti per la pubblicazione dei risultati finali, sottolineando che gli esiti di questi seggi “dimenticati” non influiscono sulle percentuali di voto generali. Di diversa opinione è l’opposizione che accusa che questi seggi esclusi dal conteggio finale sono tutti seggi dove il candidato Besigye avrebbe riportato una schiacciante vittoria sul rivale Museveni. Una disputa che verrà chiarita in un lontano futuro, visto che la Commissione Elettorale non ha ancora pubblicato i risultati scaturiti da questi 1.787 seggi che, probabilmente finiranno negli archivi divenendo segreto di Stato.
Vari seggi della capitale e delle principali città hanno subito incomprensibili ritardi di apertura a causa dell’arrivo delle schede elettorali solo nel tardo pomeriggio del 18 febbraio a processo di voto avanzato. Nei distretti di Kampala e Wakiso (roccaforti della opposizione) 36 seggi hanno dovuto terminare le operazioni di voto il giorno successivo, il 19 febbraio. I risultati scaturiti non rientrerebbero nel conteggio finale. Secondo l’opposizione in vari seggi sparsi nel paese i voti sono risultati maggiori degli iscritti alle liste elettorali. Indizio che porta a sospettare un uso massiccio di “falsi votanti” provenienti dai paesi vicini e dotati di false carte elettorali. Se fosse dimostrata questa pratica, i falsi elettori potrebbero aver rappresentato dal 10 al 12% del totale degli aventi diritto al voto compromettendo la credibilità dei risultati forniti dalla Commissione Elettorale. Secondo alcuni osservatori regionali l’apparato del potere avrebbe interferito sullo spoglio elettorale accorgendosi che i risultati reali offrivano una maggioranza a Museveni non sufficiente ad essere eletto al primo turno. Le manipolazioni sarebbero state attuate per evitare il secondo turno elettorale dove le possibilità di sconfitta per Museveni sarebbero drammaticamente aumentate. Nelle complesse dinamiche socio politiche ugandesi il presidente in un secondo turno si sarebbe esposto a grossi rischi. Il candidato della opposizione avrebbe raccolto tutti i voti dati agli altri candidati nel primo turno. I cittadini che si sono astenuti al voto (circa il 42%) in quanto identificavano le elezioni truccate a priori, avrebbero votato in massa per il ex Colonnello Besigye.
Sulla base di questi fondati dubbi l’opposizione ha dichiarato di non riconoscere i risultati diramati dalla Commissione Elettorale. Il Generale Mugisha Muntu leader del partito di opposizione FDC ha definito le elezioni un “Colpo di Stato” sulla base dei sospetti di frode e sull’incomprensibile e spropositato dispiegamento delle forze di difesa su tutto il territorio nazionale. Una realtà incontestabile. Esercito, polizia, unità anti terrorismo, forze speciali e Guardia Presidenziale in pieno assetto di guerra erano visibili durante il giorno delle elezioni, costituendo secondo l’opposizione un deterrente sulla popolazione per influenzare la libera scelta dei votanti. L’opposizione richiede l’intervento della Comunità Internazionale per un conteggio indipendente dei voti. Una richiesta di considerare nullo il processo elettorale è stata depositata presso l’Alta Corte Costituzionale con scarse possibilità di successo visto il controllo esercitato su di essa dal NRM e dall’esercito fedele al Vecchio.
Le accuse rivolte dall’opposizione sono state liquidate come “fantasie” dal presidente Museveni. “Chiunque voglia mettere in dubbio i risultati elettorali non è una persona seria. Le accuse formulate sono spazzatura politica e segno di immaturità. Se avessi perso avrei accettato il verdetto popolare. Non vedo questo maturo atteggiamento da parte dell’opposizione. La schiacciante sconfitta da me subita a Kampala e nel distretto di Wakiso dimostra che le elezioni sono state libere e trasparenti. Se fossero state truccate avrei stravinto anche dove non era possibile.” Afferma ai media nazionali Museveni durante una conferenza stampa indetta presso la sua fattoria a Rwakitura, nel distretto di Kiruhura avvertendo l’opposizione di andare cauta e non esasperare il clima sociale per non danneggiare la popolazione e l’economia del Paese, spaventando gli investitori stranieri. A titolo di esempio ha citato la fuga degli espatriati delle maggiori ditte cinesi impegnate nella realizzazione di grandi opere pubbliche come l’autostrada Entebbe – Kampala. Fuga avvenuta alla vigilia del voto.
Alle pressanti domande sui limiti costituzionali previsti per il presidente (75 anni) Museveni ha dichiarato che tali limiti verranno fedelmente rispettati, facendo ventilare l’ipotesi che questo sarà il suo ultimo mandato. “Non ho nessun problema a ritirarmi e godermi la pensione e il meritato riposo nella mia fattoria in compagnia della mia famiglia e delle mie adorate vacche. Non ho bisogno ne di soldi ne di un lavoro a vita.”. Dietro il limite di età presidenziale previsto dalla Costituzione si nasconde un mistero. Non esistono documenti anagrafici che possano comprovare la reale età di Museveni. Solo la sua dichiarazione di avere attualmente 71 anni. L’assenza di un chiaro certificato di nascita sarebbe dovuto dalle croniche carenze amministrative presenti all’interno del paese durante l’amministrazione coloniale britannica. I suoi detrattori nutrono il sospetto che la sua vera età si aggiri attualmente sui 82, 83 anni. “Se veramente Museveni ha 71 anni allora li porta molto male. Tutti possono constatare che li ha superati da almeno un decennio” afferma un alto funzionario pubblico protetto da anonimato.
Le reazioni internazionali rispecchiano gli interessi geo strategici esistenti nella Regione dei Grandi Laghi. Al momento gli Stati Uniti e la Cina hanno preferito un atteggiamento cauto evitando chiare prese di posizione pubbliche. Chi ha scelto di esporsi sono: l’Unione Europea e al Russia. In un comunicato ufficiale l’Unione Europea ha dichiarato seri dubbi sulla trasparenza elettorale a causa della atmosfera di intimidazione sui votanti e sui candidati dell’opposizione esercitata dalle forze armate. Bruxelles non esclude che vi siano state anche frodi elettorali in grado di alterare l’esito del voto. “La decisione di bloccare l’accesso ai social media, quindi la libertà’ di espressione e di informazione sono ulteriori indizi che ci portano a nutrire dubbi sulla trasparenza delle elezioni” afferma Eduard Kukan responsabile della Missione degli osservatori elettorali dell’Unione Europea. Identica presa di posizione è stata adottata dal Commonwealth di cui l’Uganda è Stato Membro.
Di parere opposto è il Ministro degli Affari Esteri russo Sergey Lavrov che definisce le elezioni come libere e trasparenti. “La Russia si felicita con l’Uganda, per il corretto svolgimento del esercizio democratico del voto riconfermando la collaborazione e il sostegno al paese amico e fratello nel suo processo di sviluppo sociale ed economico. La Russia deplora i continui atteggiamenti di certe potenze occidentali che esercitano illegali interferenze sugli affari interni di un Paese sovrano”, afferma il Ministro russo degli Esteri. La presa di posizione di Mosca al fianco di Museveni rientra nella strategia della potenza occidentale di posizionarsi in una delle regioni strategiche del Continente ricca di petrolio, minerari preziosi e altre risorse naturali. Una strategia condotta a volte in collaborazione a volte parallelamente alla identica strategia di Pechino. La Russia, paese fondatore del BRICS assieme a Cina, India, Brasile e Sud Africa è considerata da molti Capi di Stato africani una valida alternativa ad Europa e Stati Uniti.
Nel ultimo decennio si registra una rafforzamento della influenza di Mosca su varie parti del continente africano. A differenza della Cina (fino ad ora interessata ad una egemonia puramente economica) Mosca intende aumentare l’influenza politica, retaggio delle dottrine di politica estera attuate ai tempi dell’impero sovietico. Purtroppo, come l’Amministrazione Obama, la Russia soffre di una carenza di comprensione delle complesse dinamiche esistenti nella regione dei Grandi Laghi. Una carenza che la porta a scelte politiche contraddittorie che potrebbero risultare gravi errori tattici nel medio termine. L’esempio più eclatante è l’appoggio attivo (politico, finanziario e militare) al regime genocidario burundese controllato dal gruppo terroristico internazionale Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda – FDLR. Un appoggio dettato dalle mire sulle immense riserve di nichel presenti in Burundi che sta minando l’immagine internazionale del Cremlino nella lotta contro il terrorismo internazionale. L’impegno militare contro i terroristi islamici ISIL-DAESH e il Nasra Front in Siria contrasta direttamente con il sostegno ai terroristi africani delle FDLR.
Come nel caso del Burundi anche per le controverse elezioni in Uganda l’Unione Africana ha rinunciato ad una posizione indipendente e chiara, segno del perdurare di una immaturità politica della istituzione sovranazionale che pretende di porsi come guida e motore di sviluppo per trasformare l’Africa nel quarto polo politico economico mondiale. L’Unione Africana ha sottolineato che le elezioni in Uganda sono state in generale pacifiche evitando ogni commento sulla trasparenza del voto. Definire le elezioni “pacifiche” entra in evidente contrasto con le violenze esercitate dal governo il giorno successivo del voto come misura preventiva per evitare sommosse popolari. L’Unione Europea ha preso atto delle circostanze internazionali a favore di Museveni. Pur non ritrattando i suoi sospetti sulla regolarità e trasparenza delle elezioni ha chiarito al leader della opposizione di attenersi alle vie legali per eventuali contestazioni evitando ogni sorta di incoraggiamento a disordini sociali. Il linguaggio diplomatico tradotto in parole povere è stato un messaggio di non sostegno al leader della opposizione per non compromettere gli interessi europei in Uganda tra i quali ricordiamo quelli delle multinazionale petrolifera francese Total.
Sul fronte interno il presidente Museveni al presente sembra in grado di controllare la situazione grazie al pieno appoggio del primo attore nazionale: il Ugandan People Defence Forces – UPDF, l’esercito, vero detentore del potere in Uganda che storicamente ha deciso le sorti di ogni presidente del paese. La scelta di impiegare l’esercito su tutto il territorio nazionale e di far uscire nelle strade della capitale e delle principali città autoblindo pesanti corrisponde ad una chiara tattica di intimidazione della popolazione. L’energico intervento dell’esercito, polizia e Guardia Presidenziale attuato a Kampala per prevenire manifestazioni nelle zone “calde” come il mercato di Kisekka sembra essere stata una mossa vincente per impedire al momento eventuali tentativi eversivi e rivoluzionari. L’apparato repressivo del UPDF ha dimostrato di essere efficace e capace di limitare le violazioni dei diritti civili.
Durante la prima giornata post elettorale si sono registrate solo tre vittime tra la popolazione abbattute presso il mercato di Kisekka. Secondo la versione ufficiali le vittime sono state abbattute in quanto armate. L’opposizione parla di una brutale e incomprensibile esecuzione extra giudiziaria. Resta il fatto che la polizia non ha potuto dimostrare che le vittime possedessero armi al momento del incidente. A distanza di undici giorni dal voto è ormai chiara la strategia del governo Museveni. Forte della esperienza delle precedenti elezioni 2011 dove Besigye tentò una rivoluzione per invertire l’esito elettorale, il regime sta fisicamente impedendo all’opposizione di organizzare proteste e atti eversivi. Lunedì 22 febbraio Kizza Besigye è stato arrestato per la settima volta in dieci giorni a seguito di un suo tentativo di organizzare una manifestazione nazionale prevista per mercoledì 24 febbraio.
Un tentativo assai maldestro a dire la verità ideato dalla sua residenza presso il quartiere di Kasangati, Kampala, dove si trovava agli arresti domiciliari e preceduto da altisonanti dichiarazioni. “Le elezioni sono state una farsa. Ora inizia la battaglia per la liberazione del paese. Ho lottato tutta la mia vita fin dai tempi di Idi Amin per la libertà del mio paese e di certo non rinuncerò ora” ha affermato Besigye alla stampa due ore prima del settimo arresto. A distanza di 24 ore dall’arresto di Besigye il governo ha dichiarato una inspiegabile festa nazionale per il 24 febbraio, giorno della presunta manifestazione. Una astuzia per controllare la situazione ed impedire che i manifestanti si possano confondersi con la massa di operai, impiegati che si recano al lavoro in centro della Capitale. Una tattica già utilizzata durante le manifestazione post elettorali del 2011 – 2012.
Gli spazi di manovra del ex Colonnello per i suoi piani rivoluzionari sembrano essere stati limitati dalle azioni preventive del Sebo Sebo (il Grande Vecchio). La presunta milizia paramilitare “Power 10” nonostante la nutrita presenza di ex sotto ufficiali del esercito sembra non aver avuto l’occasione di formarsi militarmente e di ricevere il quantitativo sufficiente di armi necessario per avviare una lotta armata come nelle chiare intenzioni di Besigye. Il Sebo ha stroncato tre settimane prima del voto la vera fonte di pericolo costituzionale: il Generale David Bwajojo Sejusa, arrestandolo. La magistratura militare accusa il Generale di altro tradimento e di tentativo di colpo di stato. Secondo le indagini e le prove presentate dalla pubblica accusa del Tribunale Militare, Sejusa tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016 avrebbe contattato alti ufficiali dell’esercito per verificare se vi era terreno fertile per alterare l’equilibrio di potere delle forze armate ai danni del presidente. Sospetti gravano sul Generale Sejusa di aver tentato di contattare anche forze mercenarie regionali, come supporto ai suoi piani eversivi secondo quanto riferito da fonti riservate all’interno dell’esercito. Trattasi del gruppo terroristico ruandese FDLR, autrici del genocidio in Rwanda del 1994 e attualmente al potere nel vicino Burundi. Le forze mercenarie assieme ai reparti “ribelli” dell’esercito ugandese avrebbero dovuto marciare sulla State House (il Parlamento) per rimuovere il presidente in carica.
Sejusa, veterano della guerra di liberazione degli anni Ottanta ha ricoperto alte cariche all’interno del UPDF e dei servizi segreti ugandesi fino al 2013 quando fuggi’ in Gran Bretagna dopo aver rivelato un piano eversivo orchestrato dal presidente per imporre all’esercito la successione alla presidenza di suo figlio, il Brigadiere Generale Muhoozi Kainerugaba. Secondo le rivelazioni di Sejusa la successione ereditaria alla presidenza sarebbe stata imposta attraverso una ondata repressiva all’interno del UPDF, prepensionamenti di alti ufficiali e almeno due omicidi politici. Sejusa ha fallito nel presentare prove convincenti delle sue rivelazioni. Durante il suo esilio a Londra ha tentato di convincere il Primo Ministro David Cameron di sostenere la nascita di una guerriglia per rovesciare il regime Museveni. “Il presidente Yoweri Kaguta Museveni non è altro che un volgare e brutale dittatore che può essere rimosso dal potere solo attraverso una guerriglia o una rivoluzione”, affermò Sejusa nel febbraio 2014. Dopo opportuni conti opportunistici il governo inglese considerò Sejusa un cavallo perdente non meritevole di appoggio. A seguito di un perdono presidenziale Sejusa rientrò in Uganda dove incontrò il Grande Vecchio il 3 gennaio 2016. Secondo informazioni riservate Museveni e Sejusa si erano accordati in un patto di mutuo supporto non rispettato dal Generale ribelle.
In venti nove anni di potere Museveni si è dimostrato un dittatore atipico, spesso congeniale allo sviluppo del suo paese e agli interessi delle multinazionali a scapito di paesi vicini deboli quali Congo, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan. Dopo aver sconfitto le varie ribellioni e apertosi al multipartitismo Sebo Sebo ha instaurato una Democrazia Autoritaria dove i cittadini godono della maggioranza delle libertà civili occidentali escluso il diritto di mettere in discussione il regime. Le elezioni sono il momento culmine della strategia di Museveni, servendo come conferma del suo potere assoluto seguendo più o meno i canoni democratici occidentali. Le misure preventive adottate nel immediato periodo post elettorale sembrano funzionare come potente antidoto contro sollevazioni popolari. Ai leader della opposizione Museveni ha offerto due alternative: o essere schiacciati come “ratti” o essere perdonati. Durante la conferenza stampa presso la sua fattoria il Grande Vecchio ha informato che non vede alcun ostacolo in una riconciliazione con Besigye e l’ex Primo Ministro Mbabazi. “Se i vecchi compagni di lotta desiderano redimersi sono i benvenuti. Io sono per l’integrazione non per il confronto. Questa è la mia politica regionale. Io ho la missione di rendere il paese una potenza del Primo Mondo. Non mi curo delle rivalitá individuali”.
La maggioranza silenziosa degli Ugandesi, composta dal 42% di astenuti al voto ( percentuale che arriverebbe al54% secondo alcune fonti autorevoli) sembra non essere disposta a sacrificarsi per presunti ideali di libertà nutriti dall’opposizione. È ferma convinzione di questa maggioranza silenziosa che Besigye farebbe anche peggio del Vecchio una volta giunto al potere. I milioni di ugandesi che si astengono dalla partecipazione attiva della vita politica del loro paese attendono il naturale corso degli eventi. L'età avanzata del Sebo e la malattia pronosticata a Besigye (anche se mai ufficializzata) saranno prima o poi dei potenti rimedi allo stato attuale delle cose. La nuova generazione di militari, commercianti e cittadini in generale sta attendendo il decorso della natura. Nel frattempo stanno creando le condizioni politiche e sociali per una reale democrazia confacente alla realtà ugandese. Che piaccia o meno il Brigadiere Generale Muhoozi è parte integrante della strategia politica della nuova generazione ugandese. Diversità nella Continuità è il motto che sta circolando tra i giovani consci di vivere nel miglior paese della regione: la famosa Perla d’Africa.
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