Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Gen 22
di Fulvio Beltrami
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Il 22 dicembre 2013 il Presidente ugandese Yoweri Museveni ordina l’invio della Guardia Presidenziale a Juba con l’obiettivo di assistere alle operazioni di evacuazione dei stranieri intrappolati nel Sud Sudan dalla guerra civile scoppiata il 15 dicembre 2013. L’ordine é stato preceduto da una richiesta ufficiale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con avvallo di Washington, contemporanea alla richiesta del Presidente sud sudanese Salva Kiir.
Il 24 dicembre le truppe ugandesi stazionate presso la base sud sudanese di Yambio ed impegnate nelle operazioni contro la ribellione ugandese del Lord Resistence Army, ricevono l’ordine di raggiungere la Guardia Presidenziale presso la capitale. Tra le truppe ugandesi si registra la presenza di soldati americani. Presenza inizialmente negata dal Pentagono ma confermata da foto scattate dalle forze ribelli e pubblicate su Facebook dove due corpi di Marine americani vengono esibiti.
Il 25 dicembre Juba é nelle mani dell’esercito ugandese UPDF che limita gli spostamenti dell’esercito regolare e della Guardia Presidenziale sud sudanesi e confina il Presidente Salva Kiir nel Palazzo Presidenziale.
Il 26 dicembre giungono reparti d'élite del Commando Forze Speciali ugandesi per la protezione del Presidente Kiir. Il Brigadiere Generale Muhoozi Kainerugaba, figlio di Museveni, riceve il comando delle operazioni militari in Sud Sudan. Il Presidente Museveni tranquillizza che l’esercito é presente in Sud Sudan solo per proteggere i cittadini ugandesi.
Il 28 dicembre l’aviazione ugandese bombarda le postazioni ribelli presso Bor, la strategica capitale dello Stato di Jongley, dando il via ad una escalation militare del UPDF che decide di combattere al fianco dell’esercito sud sudanese rimasto leale al Presidente Salva Kiir. L’Uganda entra ufficialmente nel conflitto.
Il 03 gennaio reparti di fanteria, corazzati e artiglieria pesante oltrepassano la frontiera Sud Sudanese per evitare la caduta della capitale attaccata dalle forze ribelli del Dr. Riek Machar. Salvata la capitale, il UPDF si avventura in una serie di contro offensive per riprendere il controllo degli Stati in mano alla ribellione, confermando senza ombre di dubbio la situazione di guerra totale.
Una decisione presa senza consultare il Parlamento. A seguito di proteste interne, Museveni verso il 15 gennaio sottomette al Parlamento la decisione di inviare l’esercito in Sud Sudan. La discussione parlamentare é evidentemente influenzata da due fattori: primo il UPDF é già nel vicino paese impegnato in sanguinosi combattimenti. Secondo, il giorno prima della discussione parlamentare il Presidente Museveni ha telefonato ad ogni Parlamentare del suo partito: National Revolutionary Mouvement, per assicurarsi personalmente il loro sostegno ed evitare sorprese durante il dibattito. Il Parlamento approva a grande maggioranza l’avventura militare in Sud Sudan.
L’intervento ugandese é stato incoraggiato dai principali investitori regionali in Sud Sudan: Kenya ed Etiopia, dalle Nazioni Unite, l’Unione Africana, il IGAD (Autorità Inter Governativa per lo Sviluppo) e dagli Stati Uniti, nella speranza che l’esercito ugandese fosse in grado di ristabilire la pace in tempi brevi.
Nonostante lo sforzo militare compiuto dal UPDF, la situazione sul terreno si é complicata. Le principali città del paese: Bentiu, Bor, Malakal, dove si concentra il conflitto e i maggior giacimenti petroliferi, passano di mano quasi ogni giorno, rendendo le dichiarazioni ufficiali di vittoria redatte da entrambi i belligeranti difficili da constatare.
A complicare la situazione é l’entrata in scena di varie milizie da quella Nuer “White Army” (Armata Bianca) a quella ugandese “Arrow Boys” (Ragazzi Freccia), una milizia di difesa militare del nord Uganda creata durante la guerra civile contro il Lord Resistence Army negli anni Novanta. I massacri sui civili e le pulizie etniche prendono una drammatica accelerazione. I crimini di guerra commessi da Riek Machar e Salva Kiir ormai non si contano più. Crimini che probabilmente rimarranno senza colpevoli a causa della difficoltà di ottenere prove inconfutabili dei reali autori.
Nonostante le dichiarazioni ottimiste del Governo Ugandese e le presunte sconfitte militari subite dalle forze ribelli nelle cittá di Bor e Malakal, la guerra sembra destinata a durare. Tutto dipende dal sostegno di Khartoum alla ribellione. Un sostegno negato dal Presidente sudanese Omar El-Bachir, ma su cui si nutrono ancora molti dubbi.
Con il probabile prolungamento del conflitto e l’aumento progressivo di crimini di guerra e una catastrofe umanitaria ormai di dimensioni bibliche, la lobby interventista internazionale sembra vacillare.
Etiopia e Kenya hanno rifiutato la richiesta del Presidente Salva Kiir di intervenire militarmente al fianco del Governo “democraticamente” eletto. Il tradizionale alleato ugandese, il Rwanda si é limitato ad effettuare solo un gesto di solidarietà simbolico promettendo l’invio di un piccolo contingente di polizia ma all’interno della missione di pace ONU presente in Sud Sudan, azzerando i rischi di un coinvolgimento diretto nel conflitto.
L’Etiopia sembra puntare su una soluzione diplomatica, concentrando tutti gli sforzi sulla riuscita dei colloqui di pace in corso ad Addis Abeba, mentre il Presidente Uhuru Kenyatta, attuale Presidente della East African Community, sembra preferire la politica di non interferenza. Dopo gli sforzi di pace attuati durante la visita a Juba congiunta con il Primo Ministro Etiope, il Presidente Kenyatta sembra essersi disinteressato della crisi sud sudanese nonostante che il Kenya sia il secondo investitore regionale nel paese, alimentando il sospetto dei vari osservatori regionali che la sua visita ufficiale in Sud Sudan fosse in realtà una manovra propagandistica per creare un ruolo artificiale di mediatore della pace per cancellare il processo presso la Corte Penale Internazionale.
Le Nazioni Unite hanno specificato che era stata fatta una richiesta al Presidente Museveni di mediare la pace tra Salva Kiir e Riek Machar, senza specificare se oltre alla richiesta di mediazione era stata inoltrata quella del invio di truppe.
Susan Rice e il Presidente Barack Obama, temendo per l'impossibilità di ottenere una rapida vittoria sulla ribellione di Riek Machar e Rebecca Garang, stanno divenendo poco inclini all’avventura militare e sempre più favorevoli ad una soluzione pacifica del conflitto. Nonostante questa cambiamento tattico molti osservatori militari regionali scommettono sul costante flusso di armi e munizioni americane all’esercito regolare sud sudanese e a quello ugandese.
La soluzione pacifica del conflitto sembra essere stata sprecata dall’intervento militare dell’Uganda. Il Dr. Riek Machar ha posto tra le varie condizioni per firmare una tregua, il ritiro delle truppe ugandesi dal paese.
La soluzione ventilata anche da Museveni, durante i primi giorni del conflitto: dimissioni di Salva Kiir, tutela regionale sul paese, governo di transizione e elezioni anticipate é stata abbandonata per appoggiare l’attuale Governo di Juba.
La soluzione proposta ad Addis Abeba: governo di unità nazionale tra Riek Machar e Salva Kiir in attesa delle elezioni presidenziali del 2015 sembra impraticabile causa l’inasprirsi del conflitto.
Dinnanzi ai tentennamenti della lobby interventista il Presidente Museveni potrebbe ritrovarsi a breve tempo isolato a livello internazionale con il rischio di essere accusato di rappresentare una delle cause del prolungamento della guerra civile.
Ma un altro problema ben maggiore sta affiorando. Come finanziare la guerra in Sud Sudan? Il costo dell’intervento ugandese per una durata di un anno é stimato a 75,7 milioni di Euro. Somma che l’Uganda non dispone. Ai costi necessari per lo sforzo bellico si devono aggiungere le perdite che il conflitto sud sudanese sta infliggendo all’economia ugandese.
Il Sud Sudan é il principale importatore dei prodotti agricoli e manifatturieri ugandesi. La Banca dell’Uganda valuta a 169,2 milioni di euro il totale delle esportazioni avvenute nel 2012.
Adam Mugume, Direttore Esecutivo della Banca d’Uganda ha dichiarato alla stampa che l’economia ugandese soffrirà pesanti conseguenze inflitte da una lunga crisi nel Sud Sudan, prevedendo una riduzione della crescita economica per il 2014 del 0,5%.
“Dove si troveranno i fondi necessari per lo sforzo bellico e il sostegno ai mancati profitti di esportazione?”, domanda Mugume.
Due potrebbero essere le soluzioni. La prima risiede nel pagamento in petrolio del Governo di Juba per il sostegno militare dell’Uganda. La seconda é che l’intervento sia ufficialmente riconosciuto ricevendo chiaro mandato da Nazioni Unite, IGAD e Unione Africana.
La prima soluzione sembra farraginosa ad attuare. Anche se il UPDF riuscisse a prendere e mantenere il controllo dei giacimenti petroliferi negli Stati di Jongley, Upper Nile e Unity, dove si concentrano gli scontri, non vi sono adeguati collegamenti terrestri per trasportare il greggio in Uganda che continuerebbe a passare attraverso il Sudan. Inoltre i continui attacchi della ribellione renderebbe difficile l’estrazione del greggio. Si potrebbe ipotizzare che il Governo di Juba scelga di pagare cash in valuta pregiata lo sforzo militare ugandese ma al momento attuale le casse sud sudanese sono praticamente vuote.
La seconda soluzione sembra più fattibile anche se la posizione di parte adottata da Kampala potrebbe rendere difficile un mandato delle Nazioni Unite. Ottenere il mandato internazionale é vitale per l’Uganda, per accedere ai finanziamenti necessari e dividere i costi e la perdita di soldati con altri attori regionali sotto mandato ONU.
Il Sud Sudan é l’ultimo intervento diretto o indiretto del Presidente Museveni preceduto in ordine cronologico da: Rwanda, Burundi, Congo e Repubblica Centro Africana. L’Uganda contribuisce pesantemente alle missioni di pace in Liberia, Darfur, Costa d’Avorio e Timor Est. É alla guida della missione di pace dell’Unione Africana in Somalia e ha almeno 4000 mercenari che combattono al fianco dell’esercito americano in Afganistan. Per il suo intervento nelle varie missioni di pace il Governo di Kampala riceve 769,2 milioni di euro dalla Comunità Internazionale. Un vero e proprio tesoro che ha trasformato il UPDF in uno tra i migliori eserciti africani assieme a quelli di Angola, Egitto, Sud Africa.
Nel frattempo che si trovi una soluzione per reperire le finanze necessarie per lo sforzo bellico, l’esercito ha già battuto cassa. Il portavoce del UDPF ha dichiarato che il budget destinato alla difesa per il 2013/2014 é ormai esaurito e occorre ottenere un anticipo sul budget del 2014/2015 per sostenere i prossimi mesi della missione di “pace” in Sud Sudan. L’Uganda adotta l’anno commerciale anglosassone che inizia non in gennaio ma in luglio.
“Il Presidente Museveni nutre ambizioni imperialiste regionali, come i suo omologhi Uhruru Kenyatta e Paul Kagame. La differenza risiede nella capacità di Museveni di convergere le mire imperialistiche di Kenya e Rwanda verso gli interessi ugandesi, trasformando l’Uganda nel principale attore regionale capace di influenzare i destini di molte nazioni. In Centroafrica e Congo Museveni é interessato alle risorse naturali. Stesso dicasi per il Sud Sudan. La priorità é di avere il vicino paese stabile per il mercato ugandese e per inglobare il greggio sud sudanese nella produzione petrolifera totale dell’Uganda. Le mire economiche regionali sono realizzate con il mezzo più efficace a disposizione di Museveni: il suo esercito”, spiega Frederick Golooba, ricercatore indipendente ed esperto della politica dell’Africa Orientale.
Esistono anche motivazioni politiche internazionali oltre a quelle materiali che hanno spinto Museveni ad intervenire in Sud Sudan, come spiega Michael Pelletier, Vice Segretario della associazione Public Democracy for the Africa Bureau (Democrazia Pubblica per l’Ufficio Africano): prestigio e aumento dell’influenza dell’Uganda nell'arena internazionale.
Il Presidente Museveni si é conquistato il compito di risolvere i problemi del Continente. L’ex Segretario di Stato Hillary Clinton ha recentemente ringraziato Museveni per promuovere la sicurezza regionale. Di stesso parere sono l’Unione Africana, l’Amministrazione Obama, il Primo Ministro Inglese e una consistente parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonostante le condanne del 2013 per il supporto alla ribellione congolese M23.
“Museveni conosce alla perfezione i giochi della diplomazia intenzionale ed é in grado di manipolarli a suo favore. Ogni volta che l’Uganda riceve una condanna o una critica per il suo ruolo imperialista ed aggressivo, Museveni ricorda agli alleati occidentali il suo ruolo regionale, sottolineando che, in assenza delle truppe ugandesi, sarebbero costretti ad inviare le proprie. Gli interventi militari di Museveni sono utili per risolvere situazioni di indecisione da parte della Comunità Internazionale, assumendo il ruolo di leadership e accettando di sporcarsi le mani. Se l’avventura in Sud Sudan sarà coronata di successo il Presidente diventerá Museveni The Great (Museveni il Grande)”, osserva Mutebi Golooba.
Sfortunatamente nel Sud Sudan l’Uganda e i suoi sostenitori internazionali hanno scelto di sostenere un Presidente che manca di carisma e non é considerato tale dalla popolazione, come é il caso del omologo congolese Joseph Kabila e l’ex Presidente Centrafricano Francois Bozizé.
Salva Kiir non é un alleato affidabile né una figura facilmente malleabile nonostante che abbia un disperato bisogno dell’esercito ugandese. Il tentativo di entrare nella base delle Nazioni Unite a Bor effettuato dall’esercito regolare dopo la cattura della città per massacrare 9.000 civili che vi si erano rifugiati, ha evidenziato l’odio etnico che Kiir nutre contro i Nuer e il clan Dinka Bor che si é schierato dalla parte della ribellione grazie a Rebecca Garang, vedova del defunto leader del SPLM: John Garang.
Alle vive proteste delle Nazioni Unite, Kiir ha risposto accusando a sua volta la missione di pace ONU di prendere le parti della ribellione, di proteggerla e di fornire armi e munizioni. Accuse che si basano sul comprovato aiuto che Dr. Riek Machar ha ricevuto da parte del contingente Sud Coreano dei Caschi Blu che ha facilitato la sua fuga durante il tentativo di arrestarlo avvenuto il 15 dicembre 2013.
La prossima settimana l’Uganda celebrerà la “Grande Svolta”: la presa del potere del giovane guerrigliero marxista Yoweri Museveni. Una svolta che ha garantito 28 anni di potere incontrastato, una stabilità interna, un boom economico, trasformando l’Uganda da Stato Fallito a potenza militare ed economica Continentale. Il Sud Sudan potrebbe presentare l’ultima avventura del “Vecchio con il cappello”, essendo sempre più probabile l’uscita di scena di Museveni prima delle prossime elezioni presidenziali del 2016. Un’uscita di scena quasi contemporanea ad un altro duro della Regione dei Grandi Laghi: Paul Kagame. Entrambe le figure storiche regionali avrebbero scelto l'opzione Putin: governare i rispettivi paesi per procura, dietro le quinte.
Il Sudan potrebbe però trasformarsi nel secondo Vietnam ugandese dopo la Somalia se il conflitto tenderà a prolungarsi. L'assurdità della situazione risiede nel constato che se non vi fosse stato l’intervento militare ugandese Riek Machar avrebbe facilmente avuto ragione sul Presidente Salva Kiir e, forse, il dramma sud sudanese si sarebbe già concluso con un nuovo Governo composto dall’alleanza politica tra Nuer e Dinka Bor, risparmiando centinaia di migliaia di vite umane. Ma questa storia riguarda ad un mondo parallelo, se esiste.
Fulvio Beltrami
Kigali Rwanda.
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