Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Ago 18
di Fulvio Beltrami
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Gli esiti delle elezioni presidenziali in Rwanda tenutesi venerdì 4 agosto erano scontati. Un plebiscito per il Presidente uscente Paul Kagame che si assicura la vittoria con il 98% dei voti. I due candidati dell’opposizione si attestano a percentuali inferiori al 1%. Il candidato indipendente (sostenuto dalla Francia) Philippe Mpayimana ha ricevuto lo 0,73% dei voti mentre Frank Habineza, leader del Partito Democratico Verde lo 0,47% Secondo gli osservatori della CEMAC, EAC e dell’Unione Africana, le elezioni sono state trasparenti e lo spoglio delle urne un esempio di perfezione elettorale.
«Le elezioni ruandesi rappresentano un esempio unico nella regione da seguire. Si sono svolte in un clima di pace e pieno rispetto delle regole democratiche internazionali» afferma l’ex vice presidente keniota Moody Awori, a capo degli osservatori della EAC. Da notare che nonostante due tentativi di invasione portati avanti dal gruppo terroristico ruandese Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda – FDLR e respinti dal pronto intervento delle forze di difesa, Paul Kagame non ha dichiarato lo stato d’emergenza che avrebbe ulteriormente penalizzato l’opposizione o rinviato le elezioni, limitandosi a schierare reparti d’elite dell’esercito alle frontiere con Congo e Burundi e a rafforzare la sicurezza interna.
Paul Kagame non necessitava di ricorrere a delle frodi essendosi già assicurato la vittoria grazie a tre precisi fattori. Il primo fattore è da ricercare nell’indiscusso supporto a Kagame garantito dalla maggioranza della popolazione (hutu e tutsi) per essere riuscito a superare le divisioni etniche che portarono al genocidio del 1994 e aver trasformato un Paese agricolo e sotto il controllo economico della Francia (epoca HutuPower di Juvenal Habyrimana) in un Paese indipendente e in piena crescita economica, modello per l’intero Continente.
Un Paese dove le povertà è stata fortemente ridotta, la classe contadina (per la maggior parte hutu) beneficiaria di un progressivo aumento del tenore di vita. Un Paese dove le pari opportunità delle donne sono seconde solo alla Norvegia e la protezione ambientale è in assoluta la più avanzata in tutta l’Africa. Un Paese che si sta avviando a tappe forzate verso la Quarta Rivoluzione Industriale: robotica, nanotecnologie, Print 3D, grazie al supporto e ai finanziamenti di importanti multinazionali americane del settore tra le quali Microsoft che proprio in Rwanda intende installare la prima Silicon Valley dell’Africa Orientale.
Gli altri due fattori che hanno garantito la vittoria di Kagame riguardano la gestione della campagna elettorale. Il governo di Kigali ha proibito a tutti i partiti di accedere a finanziamenti stranieri, mossa considerata obbligata per impedire che Parigi potesse tentare di influenzare le elezioni come la Russia ha recentemente fatto negli Stati Uniti e tentato in Francia. Il governo ha inoltre limitato la campagna elettorale a sole tre settimane offrendo così poco tempo ai partiti di opposizione per divulgare il loro programma politico. Kigali ha infine eliminato l’avversario più pericoloso in quanto proveniente dall’interno del potere, l’imprenditrice Diane Rwigara, che non ha potuto candidarsi per mancato raggiungimento del quorum di firme necessario. Si mormora che il governo abbia pesantemente influenzato questo mancato quorum attraverso il suo capillare controllo dell’amministrazione pubblica e capi tradizionali a livello nazionale.
Questi innegabili tattiche sono state attuate sia per impedire un inquinamento della democrazia da parte di forze genocidarie e suoi sostenitori internazionali sia per assicurarsi la vittoria assoluta poiché il Fronte Patriottico Ruandese e il Presidente Paul Kagame sono ossessionati nel compiere la loro missione storica per il bene del Paese. Una missione che si può sintetizzare in due punti. Rendere irreversibile la nuova era di pace e fratellanza tra hutu e tutsi sconfiggendo le ultime forze reazionarie HutuPower ancora operative nella Regione dei Grandi Laghi evitando un secondo genocidio. Rendere il Paese, dove 23 anni fa un milione di persone sono state massacrate in soli 100 giorni, una Nazione economicamente e socialmente sviluppata che possa garantire un futuro alla sua popolazione.
Il modello amministrativo imposto da Paul Kagame è fonte di invidia per i nemici del Rwanda. In prima linea la Francia, i terroristi ruandesi delle FDLR e i farisei del Vaticano collegati ad associazioni cattoliche che dal 1957 supportano l’ideologia di supremazia razziale HutuPower e sono attualmente in netto contrasto con Papa Francesco, l’unico Papa che nel marzo 2017 ha avuto il coraggio di ammettere l’orribile complicità della Chiesa Cattolica nel genocidio del 1994, chiedendo scusa e promettendo a Kagame e al popolo ruandese un cambiamento radicale dei rapporti tra la Santa Sede e il Paese vittima dell’ultimo Olocausto del Ventesimo Secolo.
Questi farisei, da ventitre anni ostili al governo ruandese, rientrerebbero nell’orbita dei nemici interni del Papa rivoluzionario che sognano la sua morte e stanno lavorando per accusarlo di ‘eresia formale’ che farebbe decadere automaticamente Bergoglio dalla carica di Pontefice. Sia la Francia che i farisei del Vaticano agiscono in concerto continuando a mantenere forti legami con le FDLR, gruppo guerrigliero responsabile del genocidio ruandese, di quasi un milione di morti congolesi all’est del Congo, delle migliaia di esecuzioni extragiudiziarie in Burundi dal 2015 ad oggi e giustamente inseriti nella lista delle più pericolose organizzazioni terroristiche internazionali redatta dagli Stati Uniti.
Gli attacchi tentati per delegittimare la palese vittoria democratica di Paul Kagame sono stati attuati in due fasi seguendo una regia ben studiata. La prima fase della campagna anti Kagame è stata attuata tre settimane prima del voto ad opera della associazione americana in difesa dei diritti umani Human Rights Watch – HRW, che ha sempre dimostrato profonde e inspiegabili ostilità di stretta natura politica verso il governo del Fronte Patriottico Ruandese fin dai tempi del Presidente Hutu post genocidio: Pasteur Bizimungu.
HRW ha pubblicato un rapporto accusando il governo ruandese di esecuzioni sommarie di oppositori e di regnare grazie al terrore e alla violenza cieca. Secondo questo rapporto le forze di difesa ruandesi avrebbero impunemente ucciso 37 persone tra il luglio 2016 e il marzo 2017. Le vittime sarebbero state dei piccoli criminali dediti a furti di banane, moto, vacche, trafficanti di marijuana che attraversavano illegalmente la frontiera con il Congo e pescatori illegali. HRW nel suo rapporto accusa il governo di Kigali di attuare esecuzioni extragiudiziarie invece di assicurare a questi piccoli criminali un equo processo accusando il Presidente Paul Kagame di commettere una flagrante violazione della legge ruandese, del diritto internazionale e dei diritti umani. Nelle conclusioni del rapporto HRW lancia un appello al governo ruandese a «cessare immediatamente le esecuzioni sommarie di piccoli criminali sospettati dalle forze di sicurezza e di assicurare serie inchieste contro i responsabili di queste violazioni dei diritti umani senza alcun tentativo di dissimulazione o insabbiamento».
A distanza di due settimane dalla pubblicazione del rapporto si scopre che HRW si è basato su testimonianze indirette e fonti inaffidabili di informazioni sospettate di essere vicine al gruppo terroristico ruandese FDLR. Le 37 vittime citate nel rapporto non sono altro che terroristi ruandesi delle FDLR che avevano sconfinato in Rwanda dal vicino Congo, attaccando villaggi isolati. L’intervento dell’esercito regolare ruandese, sotto segnalazione della popolazione hutu, ha causato scontri a fuoco dove 42 e non 37 terroristi sono stati uccisi mentre altri 12 sono stati catturati. I terroristi delle FDLR provenienti dal Congo sono stati abbattuti in quattro combattimenti avvenuti proprio nel periodo preso in considerazione da HRW: luglio 2016 – marzo 2017. Nel rapporto HRW stranamente non menziona gli ultimi due tentativi di invasione compiuti dalle FDLR dal vicino Burundi.
Le accuse di HRW sono state smentite da un dipendente di origine ruandese della associazione americana che riconosce che le vittime fatte passare nel rapporto come piccoli delinquenti erano in realtà dei terroristi delle FDLR e sono stati uccisi durante dei combattimenti ingaggiati con le forze dell’ordine ruandesi che stavano proteggendo le comunità rurali hutu dai continui attacchi di questo gruppo terroristico attuati dal vicino Congo.
HRW attua le proprie indagini nella Regione dei Grandi Laghi attraverso il suo personale locale prevalentemente di cittadinanza congolese, alcuni di essi con dubbi di essere degli hutu ruandesi rifugiati in Congo dopo il genocidio e successivamente naturalizzati congolesi. La composizione degli ‘esperti’ che redigono questi rapporti è considerata dalla maggioranza dei governi della regione come un elemento di dubbio sulla imparzialità dell’operato di HRW che costantemente pubblica rapporti contro i governi ruandese e ugandese basati su testimonianze anonime e su abili alterazioni dei fatti descritti come nel caso di questo ultimo rapporto sulle presunte esecuzioni extragiudiziarie del governo di Kigali.
Ancora più strano HRW non condivide con i governi di Kampala e Kigali i propri rapporti prima della loro pubblicazione per raccogliere contro testimonianze e pareri, non chiede di partecipare alle indagini per verificare questi rapporti e non offre alcuna possibilità di replica ai governi soggetti alle sue periodiche campagne di denuncia. Comportamenti poco etici che compromettono la credibilità dei rapporti pubblicati sempre prima di importanti appuntamenti politici come in questo caso le elezioni presidenziali in Rwanda.
Due ore dopo la proclamazione dei risultati elettorali HRW ha dichiarato che il governo ha limitato le campagne elettorali dell’opposizione compromettendo la libera concorrenza democratica nelle elezioni, affermando che vari sostenitori dell’opposizione e anche dei giornalisti sono stati oggetti di violenze o detenzioni arbitrarie durante la campagna elettorale. Come per il rapporto queste dichiarazioni non sono sorrette da prove concrete. I soli casi di intimidazione assodati sono avvenuti contro i sostenitori della imprenditrice Rwigara e sono inseriti nella spietata guerra politica sotterranea tra il Clan Ugandese (guidato da Kagame) e gli altri clan tutsi rappresentati da Rwigara.
Il secondo attacco teso a screditare il governo di Kigali e offuscare l’evidente supporto popolare di Paul Kagame e conseguente vittoria elettorale è stato orchestrato qualche giorno prima del voto ed inviato a varie testate giornalistiche occidentali subito dopo i risultati definitivi delle elezioni. La maggior parte delle redazioni contattate ha scelto di non pubblicare queste notizie, non verificabili per il timore di prestarsi a oscure strumentalizzazioni politiche. Tra i rari quotidiani che hanno pubblicato queste notizie vi è unquotidiano italiano, vittima nel 2015 di un blackmail orchestrata dai servizi segreti burundesi per depistare le indagini sul omicidio di Stato delle tre suore italiane avvenuto a Bujumbura nel settembre 2014.
Le tre connazionali furono barbaramente uccise in quanto avevano scoperto i piani di preparazione del genocidio contro la minoranza tutsi orchestrati dal regime dittatoriale del ex Presidente Pierre Nkurunziza dal luglio 2015 illegalmente al potere nel Paese. La blackmail aveva come obiettivo quello di incolpare rispettabili preti italiani residenti in Burundi con in chiaro obiettivo di allontanare i sospetti dal governo burundese. Questa blackmail fu inviata a vari quotidiani europei. La maggioranza di essi, riconoscendo l’inganno, decisero di non pubblicare le false notizie.
Si ignora la fonte della secondo attacco diffamatorio contro il governo ruandese ma chiara è la sua struttura. Un attacco basato su una interpretazione fuorviante di un comunicato ufficiale e una Fake News riguardante il rapporto tra le due classi sociali ruandesi: hutu e tutsi. La blackmail tende a far credere che vi sia una crisi tra il governo di Kigali e il suo storico alleato: gli Stati Uniti, prendendo a testimonianza il comunicato emesso dalla Casa Bianca il 5 agosto sulle elezioni presidenziali in Rwanda.
«Gli Stati Uniti si congratulano con il popolo del Rwanda per la loro attiva e pacifica partecipazione alle elezioni presidenziali del 4 agosto ma è disturbata dalle irregolarità osservato durante il voto e le rinnovate preoccupazioni per l’integrità dello scrutinio. Elogiamo i Media ruandesi di riportare ogni caso di intimidazione su alcuni candidati dell’opposizione e i cittadini ruandesi, la Commissione Elettorale Nazionale e gli ufficiali di governo per aver denunciato questi abusi. Rimaniamo proccupati per la mancanza di trasparenza nell’offirre ad ogni candidato la possibilità di partecipare alle elezioni. Speriamo che sia discussa in Parlamento una nuova legge elettorale prima delle elezioni amminsitrative previste per il 2018. Gli Stati Uniti si schierano al fianco del popolo Ruandese nei loro sfrozi di costruire una democrazia inclusiva e un forti istituzioni per assicurare a lungo termine una stabilità democratica e un prosperoso futuro per tutti», recita il comunicato.
Gli ignoti detrattori hanno tentato di presentare questo comunicato come la prova più evidente che l’alleanza tra Washington e Kigali sia incrinata mettendo in seria difficoltà il “regime” di Paul Kagame. Nulla di più lontano dalla realtà. Il comunicato, apparentemente avverso a Kigali riprende terminologie e frasi simili al comunicato stampa pubblicato dalla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali del 2010. Un comunicato che è stato stranamente seguito da un rafforzamento delle relazioni tra Stati Uniti e Rwanda.
Per la Casa Bianca Kigali rimane un alleato strategico nella Regione dei Grandi Laghi. Una scelta tattica attuata anche grazie alle pressioni della lobby ebraica americana e di Israele che identificano il Rwanda con la Shoa ebraica della Seconda Guerra Mondiale. L’obiettivo del comunicato ‘avverso’ del 2010 era di lanciare un avvertimento di disapprovazione della politica imperiale di Paul Kagame verso il Congo. Nel 2009 il Rwanda aveva appoggiato la ribellione tutsi congolese guidata dal Generale Nkunda. Un’azione disapprovata dall’Amministrazione Barak Obama.
L’attuale comunicato non deve essere interpretato come un attacco al governo di Kigali ma come un monito diretto a Paul Kagame e al suo Clan Ugandese e un supporto indiretto all’imprenditrice Rwigara. Nel evidente conflitto all’interno dei clan tutsi gli Stati Uniti temono che la stabilità del Paese sia compromessa. Gli strateghi della Casa Bianca ritengono che la linea dura di Kagame possa creare un conflitto inter clanico dagli esiti imprevedibili. L’Amministrazione Trump tende a supportare i clan rappresentati da Rwigara considerata più confacente agli interessi americani nella regione. In effetti Madame Rwigara e i suoi potenti finanziatori ruandesi sono determinati a combattere Kagame e il Clan Ugandese, denunciando eventuali eccessi per conservare il potere. Il temporaneo appoggio di Trump a Rwigara sembra effimero. Sarà sufficiente per Kagame assicurare il grande capitale americano che è l’uomo più indicato per difendere i loro interessi regionali e questo appoggio a Rwigara si scoglierà come neve al sole.
La fake news è tesa a dipingere una situazione della maggioranza degli Hutu come disperata. Sarebbero vittime di uno spietato dominio della minoranza tutsi e coverebbero venti di ribellione. Fonti ignote affermano che la maggioranza hutu sarebbe sul procinto di ribellarsi alla spietata élite tutsi facendo credere che una guerra civile sia imminente. Nulla di più lontano dalla realtà. La maggioranza hutu ruandese sotto la guida di Paul Kagame ha potuto godere di un invidiabile aumento del tenore di vita mai registrato in trent’anni di Dominio Razziale del Hutu Power. L’accesso hutu alla educazione universitaria è triplicato così come quello ai posti dirigenziali di esercito, imprenditoria e governo.
Non si è in grado di comprendere se Kagame sia spinto da motivazioni morali o da pragmatiche considerazioni politiche ma l’integrazione inter etnica è un dato di fatto innegabile in Rwanda. A dimostrazione di ciò i due tentativi di invasione attuati nei mesi scorsi dai terroristi ruandesi FDLR sono stati fallire proprio dalle masse contadine hutu che non solo hanno rifiutato di appoggiare questi terroristi ma hanno denunciato la loro presenza in territorio ruandese provocando l’immediato intervento delle forze armate.
Se la maggioranza hutu fosse brutalmente repressa e nutrisse desideri di ribellione perché non si è unita alla forza militare che promuove la supremazia Hutu in Rwanda? Autorevoli media che hanno inviati nella regione hanno si segnalato gli eccessi dell’Amministrazione Kagame in materia di sicurezza ma hanno evitato di dare importanza ai comunicati di ‘routine’ della Casa Bianca e di pubblicare la fake news di una fantomatica ribellione hutu. Tra essi Voice Of America, New York Times e CNN. Gli ultimi due media sono dichiaratamente anti Trump ma i loro corrispondenti sanno distinguere tra informazione e fake news. Condizione elementare per ogni redazione che non voglia correre il rischio di cadere facile preda di occulte e ignote strumentalizzazioni politiche. La Intelligence ugandese pensa che gli autori di questo fallito attacco mediatico contro il Rwanda siano giornalisti ruandesi in esilio con stretti rapporti con i terroristi delle FDLR e i servizi segreti francesi.
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