Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Gen 16
di Fulvio Beltrami
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In questo primo mese del 2014 il continente africano è stato marcato da due avvenimenti significativi: il tour diplomatico del ministro cinese degli Affari esteri: Wang Yi, dal 6 al 11 gennaio, e dal tour diplomatico del primo ministro Giapponese Shinzo Abe, dal 10 al 13 gennaio.
Il ministro degli Affari esteri Wang Yi ha reso visita a Djobouti, Etiopia, Ghana e Senegal con l’obiettivo di rafforzare le relazioni diplomatiche ed economiche in questi paesi africani.
La tappa più importante e difficile è stata quella in Senegal.
Dakar ha allacciato le relazioni diplomatiche con la Cina solo nel 2005. Fin dalla rivoluzione di Mao Tze-tung il Senegal ha riconosciuto solo il governo di Taiwan, considerando la Cina: “territorio occupato dalla ribellione comunista”.
Dal 2002 Pechino ha concentrato i suo sforzi per attivare le relazioni diplomatiche con il Senegal e penetrare il suo mercato. Oltre ad essere una tra le nazioni più industrializzate e democratiche dell'Africa Occidentale, il Senegal è stato per decenni il pupillo prediletto della Francia.
La penetrazione economica cinese ha come obiettivo geostrategico quello di penetrare nei cosiddetti “territori d’oltremare” francesi per mettere in difficoltà i piani egemonici della France-Afrique sul continente africano.
La tattica prevede di indebolire la potenza economica europea, creandosi un progressivo spazio nello sfruttamento delle risorse naturali africane. Questa strategia nel cuore della France-Afrique è iniziata proprio in Senegal nel 2005.
In nove anni gli scambi commerciali tra Senegal e Cina hanno raggiunto i 466 milioni di euro, secondo i dati rilasciati dall’ambasciata cinese a Dakar nell’agosto 2013.
Il 95% dell’export senegalese si riversano sul mercato cinese grazie al trattamento speciale garantito al paese africano che prevede l’azzeramento delle tariffe doganali per tutti i suoi prodotti: minerari, agricoli e manifatturieri.
Gli attuali progetti sono concentrati sul rafforzamento delle infrastrutture senegalesi tramite le riabilitazioni di importanti arterie stradali in undici distretti del paese e la costruzione di 130 km di autostrada per collegare la città di Thiès (est) a Touba (centro) al fine di favorire il commercio interno.
È proprio durante la visita in Senegal che il ministro Wang Yi lo scorso 10 gennaio ha pronunciato il discorso più importante di tutto il tour africano. “L’amicizia tra Cina e Africa non smette di approfondirsi su una base pragmatica di amicizia. La Cina sarà sempre l’avvocato dell’Africa per difendere gli interessi del Continente”, ha dichiarato il ministro cinese durante una conferenza stampa.
Dal 10 al 13 gennaio si è svolta la visita del primo ministro giapponese Shinzo Abe in Costa d’Avorio, Etiopia, e Mozambico, accompagnato da una cinquantina di capitani d’industria. Era dal 2006 che un Premier giapponese non effettuava una visita ufficiale in Africa.
In Costa d’Avorio Shinzo Abe ha rafforzato il sostegno del Giappone al presidente Alassane Ouattara, giunto al potere grazie ad un intervento armato francese contro il presidente Gbagbo destituito con la forza nel 2011 in occasione della ripresa della guerra civile a seguti delle contestate elezioni del 2010.
Promettendo un prestito di 90 milioni di dollari il Giappone dimostra di allinearsi alla politica della Francia di sostegno dell’attuale regine ivoriano.
In Mozambico il primo ministro ha annunciato un prestito di 538 milioni di euro a basso tasso di interesse per finanziare la modernizzazione della rete stradale nel nord, necessaria per far decollare l’economia in questa parte del paese recentemente teatro della ripresa del conflitto deciso dalla storica ribellione degli anni Ottanta: RENAMO. Al momento le attività della ribellione sono contenute dall’esercito governativo, forte dell’appoggio popolare. Nel nord sono concentrati i più importanti giacimenti di gas e le mine di carbone.
In Etiopia Shinzo Abe ha firmato una serie di accordi commerciali con il governo e la Camera del Commercio di Addis Abeba.
Le visite diplomatiche, quasi contemporanee, delle due potenze asiatiche non sono casuali ma inserite nel contesto della guerra fredda tra Pechino e Tokyo in atto dal 2010.
Una guerra fredda che l’anno scorso ha visto una pericolosa accelerazione con il conflitto territoriale sulle isole Senkaku e la visita del primo ministro Shinzo Abe al santuario Yasukuni dove sono onorati come eroi i militari dell’Impero Giapponese. La Cina ha considerato tale visita come un insulto alla memoria del milione di cinesi uccisi durante l’occupazione giapponese della Manciuria dal 1931 al 1945.
Le divergenze sulla politica da adottare verso la Repubblica Democratica Popolare della Corea (Corea del Nord), i reciproci rigurgiti nazionalisti e xenofobi, il potenziamento tecnologico dell’esercito cinese e i tentativi del primo ministro Shinzo Abe di far passare al Parlamento l'emendamento costituzionale che permetta all’esercito giapponese di affrontare eventuali conflitti esteri, sono altri pericolosi segnali di un'escalation che sta preoccupando Stati Uniti e Russia. Le due potenze occidentali hanno iniziato una serie di contatti informali per individuare le migliori strategie per far ritornare alla ragione le due potenze asiatiche ed evitare un futuro conflitto dalla conseguenze disastrose per l’economia mondiale.
La guerra fredda che si sta consumando in Asia si è ora spostata in Africa.
“Paesi come il Giappone, la Gran Bretagna e la Francia non costruirebbero mai delle ville e degli mastodontici edifici ministeriali ai leader africani. La politica del Giappone è di incoraggiare lo sviluppo del capitale umano”, ha dichiarato alla Bbc il primo ministro Shinzo Abe facendo chiaro riferimento ai finanziamenti cinesi degli edifici pubblici in Africa come la sede dell’Unione Africana ad Addis Abeba.
La reazione di Pechino non si è fatta attendere. Il ministro Wang Yi ha annunciato di disapprovare l’attitudine del Giappone di promuovere i propri interessi in Africa sulla base di considerazioni puramente politiche.
Secondo Wang Yi, Tokyo starebbe corteggiando le nazioni africane nell’obiettivo di ottenere il loro appoggio per conquistare un seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La guerra fredda Sino-Nipponica in Africa vede il Giappone totalmente svantaggiato.
Tra il 2009 e il 2011 la bilancia commerciale tra il paese del Sol Levante e l’Africa si è attestata a 16,9 miliardi di euro, mentre quella cinese, nello stesso periodo, registra 96,1 miliardi di euro.
Le accuse del Giappone rivolte alla Cina di essere un predatore delle risorse naturali del continente africano e di non essere interessata a consolidare relazioni commerciali giuste e paritarie, rischiano di risultare retoriche se confrontate alla realtà.
Dopo la catastrofe di Fukishima nel marzo 2011 e la progressiva chiusura delle centrali nucleari, il Giappone è costretto ad importare gas naturale, carbone e petrolio per alimentare le sue centrali elettriche convenzionali. Per raggiungere questo obiettivo Tokyo ha emulato la Cina rivolgendosi al mercato africano.
Il suo principale partner economico è il Mozambico, gigante mondiale del GNL (Gas Naturale Liquefatto) divenuto vitale per assicurarsi il fabbisogno energetico nazionale del Giappone. Le multinazionali nipponiche Mitsui e Nipppon Steel Corportation hanno effettuato importanti investimenti locali nel settore.
Una riflessione sulla guerra fredda in atto ci viene gentilmente offerta dal Professore Gilbert Khadiagala, esperto di politica internazionale presso l'Università di Makerere, Kampala, Uganda.
“La prima fase della Cina moderna è stata quella di dotare il paese di uno Stato forte, un'identità nazionale e un processo di sviluppo basato su due pilastri: la rivoluzione industriale e la rivoluzione verde.
La seconda fase si è concentrata sulla necessità di modernizzare il paese e renderlo una potenza economica mondiale aprendosi al capitalismo con un approccio graduale e controllato al fine di permettere al Partito Comunista, l’unica entità nazionale esistente in Cina, di non soccombere alle spinte centrifughe e anarchiche del libero mercato.
La terza fase, quella che assistiamo attualmente, è una fase di espansionismo economico e politico intrapreso contemporaneamente su due Continenti: Africa e Asia.
Entrambe le fasi sono state gestite e coordinate da un Partito Comunista che ha dimostrato un’inaspettata flessibilità politica adottando dittatura e moderate aperture democratiche secondo le esigenze dei vari momenti storici senza mai perdere il controllo sulla nazione.
La Cina ha un vantaggio sul Giappone di almeno 20 anni nelle relazioni economiche e politiche in Africa. Molti paesi conoscono il Giappone solo per il mercato della macchine usate e quello informatico, attualmente minacciato dalle multinazionali Sudcoreane: Nissan e Samsung.
Ossessionato dal declassamento economico che comporta una perdita d’influenza politica sulla scena internazionale, Tokyo tenta di far fronte al suo rivale asiatico in Asia e ora in Africa, con scarse possibilità di riuscirci per quanto riguarda il nostro Continente.
Nel tentativo di contenere la potenza cinese il Giappone si rivolge ad alleati occidentali per la penetrazione in Africa: le ex potenze coloniali: Gran Bretagna e Francia.
Una logica simile a quella adottata in Asia dove Tokyo si appoggia ad Australia, Corea del Sud e Stati Uniti.
Come conseguenza la Cina accelera la sua influenza sul Continente a detrimento delle storiche nicchie di influenza inglesi e francesi.
Non è un caso che la visita diplomatica del ministro cinese degli Affari esteri Wang Yi abbia riguardato due paesi francofoni sui quattro visitati: il Senegal, paese strategico per la France-Afrique e Gibuti, paese altrettanto strategico ospitando le basi militari francesi che, per carenza di fondi, ora sono condivise con l’esercito americano.
In Uganda, paese legato storicamente alla Gran Bretagna, la Cina ha raggiunto un semi monopolio nelle realizzazione delle infrastrutture a scapito delle multinazionali europee, tra le prime quelle italiane, e sta attuando una spietata concorrenza con le multinazionali anglofone e francofone (Tullow, Total) nello sfruttamento degli idrocarburi.
Tokyo, al contrario della Cina, non possiede una conoscenza approfondita dell’Africa, quindi non è in grado di comprendere in tempo l’astuzia dei dirigenti africani nel strumentalizzare la guerra fredda in atto per trarre benefici unilaterali.
Per esempio non è un caso che l’Etiopia, in meno di una settimana abbia ricevuto il ministro degli Affari esteri cinese e il primo ministro giapponese, promettendo ad entrambi un idilliaco futuro di scambi commerciali privilegiati.
Inoltre il Giappone è handicappato a causa del suo orgoglio nazionalista, base politica dell’attuale governo, che storicamente è abbinato a sogni imperiali e ad un profondo razzismo verso le razze “inferiori”, siano esse africane, asiatiche o occidentali.
Anche la Cina possiede un buona dose di razzismo ma, a differenza del Giappone, questo razzismo è dovuto dall’ignoranza e non da un senso di superiorità razziale.
Questo permette agli investitori cinesi di amalgamarsi alla società africana in cui operano e di interagire con essa ottenendo ottimi risultati per rafforzare i loro business e di conseguenza i loro profitti.”
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