Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Apr 7
di Fulvio Beltrami
Fulvio Beltrami - 05/04/2020
I dati forniti il 4 aprile dalla Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di 1.051.635 casi di contagio e 79.332 decessi da Coronavirus a livello planetario. L’Africa al momento sembra non essere particolarmente colpita. Il totale dei casi di contagio confermati sono 6.342 in tutto il continente pari a meno del 0,5% dei contagi a livello mondiale. Particolarmente colpiti i paesi del Nord Africa con il 68% dei casi di contagio registrati nel continente. Seguono i paesi dell’Africa Occidentale (tra essi molti paesi francofoni) con il 21%.
In Sud Africa la situazione più grave. Da solo il paese
registra il 21% con 1.505 casi di contagio. Gli altri paesi
africani non superano la quota 100 ad eccezione della Repubblica
Democratica del Congo (134 contagi) e del Kenya (122).
Le basse percentuali registrate in Africa non possono essere
spiegate con le misure di contenimento attuate dai vari governi. Se
da una parte è vero che la maggioranza dei governi africani
ha chiuso le frontiere, avviato capillari campagne di
sensibilizzazione e prevenzione, ridotto le attività
commerciali, produttive, bancarie e della amministrazione pubblica
ed hanno imposto il coprifuoco serale, la cultura di
socializzazione e le conseguenti abitudini della maggioranza della
popolazione africana sono radicate e, purtroppo, facilitano la
diffusione del contagio da COVID-19.
Anche le necessarie misure di confinamento risultano difficili da attuare. Almeno il 60% della popolazione africana lavora (e sopravvive) nel settore informale, fatto di piccoli lavori e commerci in grado di sostenere il pane quotidiano ma di non permettere alle persone di uscire dal ciclo di povertà. Con queste percentuali è impossibile attuare un confinamento senza scontrarsi sul netto rifiuto della popolazione, correndo il rischio di rivolte popolari. «Con il coronavirus ho delle probabilità di morire. Se non lavoro sono certo. Meglio rischiare di prendersi la malattia che morire di fame». Questo è il pensiero comune di milioni di africani.
Le vere ragioni per la bassa percentuale di contagio evidenziata dai dati del OMS, potrebbero risiedere nel clima africano (sospettato di indebolire o inibire il virus) e nella debolezza dei sistemi sanitari pubblici che non permette di avviare campagne di test a tappeto sulla popolazione per individuare le reali dimensioni del contagio.
Se al momento il coronavirus sembra progredire a rallentatore in Africa, si nota una preoccupante escalation di xenofobia rivolta contro gli Europei e gli Occidentali in generale. Purtroppo i dati relativi ai contagi iniziali dimostrano che il virus è stato “importato” dall’Europa. Molti francesi e italiani, per esempio, sono arrivati in Africa prima che i vari governi decidessero di chiudere le frontiere, portandosi il virus con loro. Alcuni erano totalmente ignari del loro stato di salute. Altri, purtroppo, erano consapevoli di essere stati contagiati ma hanno preferito partire per l’Africa accusando sintomi lievi e non desiderosi di sottoporsi alla quarantena nei loro paesi. Tutt’altro atteggiamento è stato adottato dai visitatori cinesi. La maggioranza di loro, giunta nei paesi africani, si è posta in quarantena volontaria per evitare il rischio di diffondere il virus se fossero stati contagiati a loro insaputa.
Il contagio importato dall’Europa è stata la principale causa del diffondersi dell’epidemia in Africa. Difronte a queste evidenze la popolazione sta reagendo in modo istintivo, accusando i “bianchi” di aver portato il virus e la morte nei loro paesi. Questo pensiero sta creando preoccupanti fenomeni di xenofobia. Già si registrano le prime violenze contro gli occidentali. A Kinshasa, venerdì 3 marzo, un pullman che trasportava degli occidentali verso l’aeroporto internazionale per essere rimpatriati è stato attaccato da centinaia di giovani disoccupati, inferociti contro i “bianchi portatori del Coronavirus”.
Il tentativo di linciaggio è stato sventato solo in quanto qualche decina di persone adulte è riuscita a far ragionare la folla minacciosa. La polizia non è intervenuta (forse condividendo i sentimenti dei giovani dimostranti) mentre scarso è stata la difesa dei tre poliziotti all’interno dell’autobus. Per fortuna non vi sono state delle vittime. Solo dei vetri del pullman infranti dal fitto lancio di sassi. I passeggeri occidentali sono arrivati all’aeroporto in grave stato di shock ma incolumi.
In Burundi, sabato 4 marzo è stato organizzato dal Belgio un volo speciale per rimpatriare 112 occidentali e le loro famiglie. Un gesto dovuto visto che il governo (illegalmente al potere dal 2015) per ragioni politiche ha scelto di negare i casi di contagio nel proprio paese affermando alla popolazione e ai media internazionali che il “Burundi è protetto da Dio in virtù di un patto santo e quindi sarà risparmiato dalla pandemia mondiale”. Questa decisione di non intervento è giustificata dalla necessità di rispettare il calendario delle elezioni presidenziali previste per maggio che dovrebbero legittimare il partito al potere dal 2005, tramite un cambiamento di maquillage alla Presidenza.
Le autorità burundesi hanno reagito negativamente al
rimpatrio degli occidentali, considerato come una mancanza di
fiducia nel governo. Presso l’aeroporto internazionale hanno
impedito ai congiunti di origine burundese e ai figli meticci di
poter lasciare il paese. Ora sono in corso difficili trattative con
varie Ambasciate occidentali tra cui il Belgio. Le stesse
autorità hanno deciso di non applicare le misure preventive
consigliate dal OMS per impedire il diffondersi del contagio e
impediscono alla società civile e alle chiese cattolica e
protestante di promuovere iniziative di sensibilizzazione che non
siano state decise dalle autorità.
Mentre il partito a potere organizza meeting e concerti previsti
dalla campagna elettorale, diffondendo così il contagio,
molti cittadini rifiutano di andare all’ospedale in quanto
circola la voce che i pazienti testati positivi correrebbero il
rischio di essere arrestati dalla polizia politica. Una
informazione difficile da verificare a causa della chiusura al
mondo esterno del Paese attuata dal governo dal 2016, ma divenuta
una verità tra i social media e la popolazione
burundese.
Gli episodi in Congo e Burundi non sono stati i primi casi di xenofobia collegata alla pandemia e al rapporto tra Nord e Sud del mondo. Il 14 marzo, nello Zimbabwe, la responsabile del Portafoglio della Difesa, durante un meeting politico a Chinhoyi, (nord del paese) ha accusato Stati Uniti e Unione Europea di mantenere le sanzioni economiche nonostante la pandemia mondiale.
“Sono vent’anni che l’Occidente ci impone
della sanzioni economiche per costringere a piegarci alla sua
volontà. Anche ora in questo difficile momento di crisi
sanitaria, le sanzioni continuano, dimostrando il vero volto dei
bianchi”. Le affermazioni fatte dall’esponente del
governo hanno infiammato la popolazione dello Zimbabwe ora,
estremamente ostile verso gli occidentali anche se non si sono
ancora registrati casi di violenze.
L’attacco all’Occidente è chiaramente
strumentale e nasconde disegni politici, considerando che i casi
registrati fino ad oggi nello Zimbabwe sono solo 10. Eppure
l’odio razziale sembra aver fatto breccia nei cuori della
popolazione. Le sanzioni sono state imposte dieci anni fa in
risposta alla brutalità del regime di Robert Mugabe, morto
in esilio a Singapore il 6 settembre 2019. Il suo regno era
iniziato con la carica di Primo Ministro nell’aprile 1980
seguita dal primo mandato presidenziale nel dicembre 1987.
Da allora il “Dinosauro dell’Africa” aveva controllato il paese facendolo precipitare in una mostruosa dittatura grazie ad una propaganda pseudo panafricana anti coloniale. Nel primo decennio Duemila lo Zimbabwe era economicamente collassato aumentando la rabbia popolare che portò ai movimenti rivoluzionari del 2017. Ora al suo posto vi è il Generale Emmerson Mnangagwa, ex fedelissimo del Dinosauro, salito alla Presidenza il 21 novembre 2017 con un colpo di stato contro Mugabe. L’ex allievo è stato riconfermato Presidente l’anno successivo tramite elezioni caratterizzate da innumerevoli frodi elettorali.
L’attacco all’Occidente con l’obiettivo di
uscire dalla crisi economica e rafforzare il governo Mnangagwa
attraverso la fine delle sanzioni ha ricevuto pieno sostegno da
parte dell’Unione Africana. Sabato 4 marzo l’Ufficio
dei Capi di Stato e dei Governi dell’Unione Africana ha
ufficialmente chiesto a Stati Uniti e Unione Europea la fine della
sanzioni economiche contro lo Zimbabwe e il Sudan. Richiesta
avvallata dal Presidente dell’Unione Africana, Cyril
Ramaphosa, Presidente del Sudafrica.
In una riunione tenutasi a Nairobi sulla gestione della pandemia
mondiale, vari esperti hanno lanciato il grido d’allarme
sull’ondata di xenofobia contro i bianchi che si sta
diffondendo in tutta l’Africa. Casi minori di xenofobia si
sono registrati in Algeria, Egitto, Kenya, Marocco, Nigeria e
Sudafrica. In vari altri paesi africani si sta rafforzando la
convinzione che il Coronavirus sia la “malattia dei
bianchi” aumentando l’odio e il risentimento che covano
tra gli africani da oltre 50 anni nei confronti
dell’Occidente.
Il Ministro keniota della Sanità, Mitahi Kagwe, ha informato che sono stati osservati preoccupanti fenomeni sociali in Kenya dove la popolazioni modifica i comportamenti e i rapporti a seconda del profilo razziale dell’interlocutore. Vi è paura e diffidenza (che possono sfociare in razzismo aperto) verso i cinesi ma sopratutto verso gli Europei e gli Italiani. Un fenomeno preoccupante visto che l’industria del turismo in Kenya occupa un importante posto nell’economia nazionale. Lunga la costa città come Malindi e Mombasa sono mete turistiche molto rinomate e piene di turisti italiani.
“Ci appelliamo a tutti i nostri cittadini invitandoli a non fare delle discriminazioni razziali contro gli stranieri, di qualunque nazionalità essi siano. Non maltrattiamo i nostri ospiti, e comportiamoci con gentilezza e cordialità, come abbiamo sempre fatto prima del coronavirus” ha chiesto il Ministro Kagwe tramite un comunicato stampa.
La pandemia Covid-19 è destinata a far emergere
problematiche mondiali assopite e per decenni rimaste irrisolute.
Tra esse il rapporto tra Occidente e Africa, storicamente basato su
un predominio eurocentrico spesso conflittuale e violento. Al
mancato sviluppo e alla rapina delle risorse naturali (spesso
attuata in complicità con i governi africani incuranti delle
loro popolazioni) dal primo decennio Duemila si è aggiunto
il tentativo occidentale di bloccare i flussi migratori. Tentativo
che ha creato solo violazioni dei diritti umani e un peggioramento
della frattura tra Continenti. Un vero e proprio controsenso
ideologico, considerando che l’Occidente si è
strutturato sulle ideologie di “libero mercato” e
“villaggio globale” ma nello stesso tempo impedisce i
ciclici flussi migratori creando la “Fortezza
Europa”.
La chiusura delle frontiere, adottata dalla maggioranza dei paesi
africani nel tentativo di impedire o rallentare il contagio
Covid-10, porta inevitabilmente alla luce le precarie relazioni
Nord-Sud dove i fenomeni di xenofobia si manifestano in entrambi
gli emisferi. Siamo in un’epoca dove il Sud del mondo
(tramite l’emergere di nuove potenze mondiali quali la Cina)
sta rivendicando il diritto allo sviluppo mentre il Nord rivendica
il diritto alla supremazia. Un diritto divenuto impraticabile in
quanto basato sullo sfruttamento delle risorse naturali dei paesi
poveri tramite l’uso della forza, sia essa militare o
finanziaria. Sono proprio queste forze e superiorità che
stanno venendo a meno in Occidente, ostinato a conservare una
supremazia che, forse, non esiste più o, nelle migliori
delle ipotesi, si sta progressivamente sgretolando.
Al dato di fatto che la pandemia in Africa per la maggior parte dei casi è stato “importata” dall’Europa, si aggiungono comportamenti e dichiarazioni aggravanti e sconsiderate che non fanno altro che alimentare la xenofobia degli africani sostenuti dal desiderio di rivincita e dal sentimento di rancore verso chi ha tramato (con complici locali) per impedire lo sviluppo e una vita degna a milioni di persone.
La proposta di trasformare gli africani in cavie da laboratorio per testare un nuovo vaccino contro il Covid-19 avanzata da Jean-Paul Mira, capo della unità cure intensive presso l’ospedale di Cochin, Parigi e da Camille Locht, direttore delle ricerche presso l’istituto nazionale di salute Inserm, ha funto come detonatore di una situazione esplosiva preesistente dettata da decenni di mancato sviluppo e dalla fonte di contagio in Africa che, purtroppo è più occidentale che asiatica.
Anche se queste infami affermazioni sono state condannate dai
governi europei e dal mondo medico scientifico, esse hanno
riportato alla memoria degli africani le decine di sperimentazioni
illegali e spesso pericolose compiute su cavie umane in Africa
proprio sfruttando la loro povertà, la loro disperazione e
la compiacenza e corruzione dei loro governi.
Dalla fine degli anni Novanta le multinazionali americane ed
europee hanno sperimentato in Africa decine di vaccini e medicinali
di vario tipo. È vero che i governi avevano dato i necessari
permessi e che le “cavie” venivano informate dei rischi
firmando liberatorie legali. Purtroppo è altrettanto vero
che i consensi dati dai governi spesso erano frutto di corruzione o
di sudditanza politica mentre le cavie si sottoponevano ai test di
laboratorio dietro una manciata di soldi per poter mangiare o nella
speranza di salvarsi da orrende epidemie quali l’Ebola.
Sfruttando governi di cui ultima preoccupazione è il
benessere delle loro popolazioni, e centinaia di donne e uomini
abbruttiti dalla miseria e affamati, le multinazionali occidentali
hanno sperimentato decine di vaccini e medicinali contro
l’AIDS, l’Ebola e svariate altre malattie. Lontano dai
laboratori europei e americani (rigidamente regolamentati) le
multinazionali come la Bayer hanno potuto portare avanti una
ricerca scientifica libera dai vincoli legali ed etici.
Spesso i risultati di questi sperimenti non sono stati
soddisfacenti e vari vaccini o farmaci venivano classificati come:
“non efficaci” oppure “non compatibili con il
metabolismo umano”. Unico dettaglio: il numero tutt’ora
sconosciuto di vittime africane di questi test, siano esse decedute
o sofferenti di patologie, mutazioni genetiche e malattie croniche
derivanti dagli ‘effetti naturali”. Questi crimini
(perché non vi è altro termine per definirli) sono
rimasti impuniti. I poveri in Africa non hanno i soldi per poter
pagare un pool di avvocati e tentare causa a delle
multinazionali.
Mira e Locht, nella loro proposta, si sono dimenticati di dire che
la società civile, le congregazioni religiose e la gente
comune in Africa si è ribellata alle sperimentazioni imposte
dalla multinazionali, mettendo ora a serio rischio politico
qualsiasi governante compiacente che firma le necessarie
autorizzazioni.
Ad aggravare la situazione sono stati i Twitter della Inserm,
dove Lotch lavora. Secondo l’istituto francese le frasi dei
due ricercatori sono state estrapolate dal contesto generale dai
social media. Secondo il Inserm il dibattito ruotava attorno
all’uso potenziale del vaccino BCG (il vaccino contro la
tubercolosi) nella cura del Covid-19 partendo dalla costatazione
che le popolazioni che hanno subito vaccinazioni di massa contro la
TB (come in Africa) sembrano più resistenti al virus.
Nel pubblicare questi Twitter la Inserm ha introdotto il hashtag
#FakeNews, con la chiara intenzione di assimilare le dichiarazioni
dei due ricercatori al mondo della cospirazione, della
disinformazione. Questo, agli occhi degli africani è
risultato come l’ultima e intollerabile offesa diretta alla
loro intelligenza. “Saremo anche poveri ma non stupidi”
ha sentenziato un mio caro amico professore presso
l’Università Makere a Kampala. Un caro amico che ora
mi guarda con occhi diversi…
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