Kenya, non si può morire per Odinga

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Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Ago 18

Kenya, non si può morire per Odinga

Il leader dell’opposizione del Kenya, Raila Odinga, dinnanzi ai risultati, ancora provvisori ma che chiariscono una netta vittoria del Presidente Uhuru Kenyatta, è convinto che le elezioni siano state truccate ed invita la popolazione alla rivolta. I tentativi di contestare le elezioni con il supporto popolare sono falliti mentre anche l’alleato storico di Odinga, gli Stati Uniti lo abbandonano considerandolo non più credibile…

di Fulvio Beltrami

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Il leader dell’opposizione del Kenya, Raila Odinga, dinnanzi ai risultati, ancora provvisori ma che chiariscono una netta vittoria del Presidente Uhuru Kenyattaè convinto che le elezioni siano state truccate.

Ripercorrendo la strategia del suo omologo ugandese Kizza Besyge,Odinga ha tenato di ribaltare gli esiti elettorali per accedere alla Presidenza mobilitando le masse popolari. Varie proteste si sono verificate a Nairobi, ma circoscritte nello slum diKibera (roccaforte dell’opposizione) e in alcune cittadine del est del Paese. La Polizia ha immediatamente contenuto le proteste, appoggiata da reparti speciali dell’Esercito. Il bilancio è di 24 manifestanti uccisi secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo100 secondo l’opposizione. Venerdì è stato l’epicentro delle violenze post elettorali, ma già dal giorno successivo la partecipazione alle manifestazioni era crollata.

Il tentativo di Raila Odinga di aizzare la popolazione per accedere alla Presidenza è di fatto fallito in quanto la popolazione non si è prestata al gioco. Anche nelle aree dove la sua tribù (Luo) egemonizza il territorio si è notato una evidente riluttanza ad accogliere l’appello per contestare gli esiti elettorali.

Parallelamente alla fallita mobilitazione popolare, Raila Odinga ha cercato supporti internazionali alla sua causa rivolgendo alle Nazioni Unite e agli Stati Uniti la richiesta di considerare nulle le elezioni e di rifarle. Si è rivolto al ONU e alla prima potenza occidentale, in quanto conscio che la sua richiesta non sarebbe stata accettata dai Paesi membri della East Africa Community (EAC) a lui ostili: Rwanda, Tanzania, Uganda. Questi Paesi hanno accettato gli esiti elettorali e si sono già congratulati con il vincitore Kenyatta. Le risposte alla richiesta di Odinga del Segretario Generale ONU e del Presidente americano sono state contrarie. Antonio Guterres ha riconosciuto la trasparenza e l’assenza di irregolarità di rilievo nel voto invitando i partiti kenioti a risolvere le dispute post elettorali nello stretto ambito costituzionale senza creare inutili e pericolose tensioni sociali. Il messaggio di Guterres è stato espresso tramite il portavoce della Segreteria Generale ONU, Farhan Haq.

La risposta della Casa Bianca ha distrutto ogni speranza residua di appoggio internazionale per Odinga. «Gli Stati Uniti si congratulano con il popolo keniota per il successo di elezioni come si congratula con i candidati e i pubblici ufficiali per aver garantito elezioni pacifiche, eque, e trasparenti. Ci associamo alle osservazioni di tutti gli osservatori nazionali e internazionali che confermano la credibilità di queste elezioni», recita il comunicato stampaemesso dalla Casa Bianca. Il Presidente Donald Trump ha personalmente richiesto ai leader politici kenioti di risolvere le loro dispute elettorali nelle aule di tribunale e non nelle piazze. La presa di distanze degli Stati Uniti segnano la rottura definitiva e irreversibile del supporto offerto dalle elezioni del 2007 ad oggi a Odinga.

Questa decisione non sembra frutto delle stravaganti idee di Trump, ma di un’attenta analisi della Casa Bianca, che non ritiene più credibile il candidato dell’opposizione. Per non perdere uno strategico alleato nell’Africa Orientale e lucrosi affari in Kenya, gli Stati Uniti hanno deciso l’inversione della rotta appoggiando Uhuru Kenyatta. Le sue personali responsabilità nei crimini contro l’umanità commessi durante le violenze post elettorali del 2007-2008 passano quindi in secondo piano. Kenyatta anche dagli americani viene considerato l’unico fattore di stabilità esistente nel Paese. Dinnanzi alla imprevedibile crisi in Burundi, all’instabilità cronica nell’est del Congo e alla guerra civile senza fine nel Sud Sudan, gli Stati Uniti si allineano alla decisione di Rwanda, Tanzania e Uganda di non appoggiare un leader politico considerato un perdente e pericoloso per la stabilità regionale.

Dopo aver constatato il mancato supporto popolare e il mancato supporto politico internazionale, Raila Odinga ha invitato alla calma gli abitanti dello slum di Kibera e la minoranza dei manifestanti che sono scesi nelle piazze a livello nazionale. Odinga invita ad attendere il piano di lotta che sarà deciso dalla National Super Alliance (NASA) informando che non presenterà alcuna petizione presso la Corte Suprema per richiedere l’annullamento delle elezioni. Tale richiesta sarà ottenuta grazie alla mobilitazione popolare, promette Odinga.

Da domenica scorsa i quadri di partito della coalizione d’opposizione NASA sono riuniti a Nairobi per decidere il piano di battaglia più idoneo per annullare le elezioni. Il piano di battaglia dovrebbe essere reso noto alla Nazioni oggi o al più tardi domani. Fonti interne alla NASA confidano al quotidiano d’opposizione ‘Daily Nation‘ che i principali leader sono divisi se continuare la battaglia politica nelle piazze o accettare la vittoria di Kenyatta. Una forte percentuale di essi è riluttante a utilizzare la pressione popolare per ottenere la cancellazione delle elezioni a causa della decisa e violenta reazione delle forze dell’ordine che hanno dimostrato di essere compatte attorno a Kenyatta, riconfermato alla Presidenza. Sottolineano, inoltre, che senza appoggio internazionale la lotta per la democrazia è persa in partenza.

Le possibilità di Raila Odinga di annullare le elezioni sono pressoché zero. Come nel caso dello storico oppositore ugandese Kizza Besyge, la popolazione keniota ha deciso che non vale la pena di morire per Odinga. La decisione è basata su un dato di fatto e su un errore strategico commesso da Odinga nelle ore successive agli esiti elettorali. A distanza di 10 anni i kenioti sono ancora traumatizzati dalle violenze post elettorali avvenute tra dicembre 2007 e febbraio 2008. Ci sono ancora 200.000 senza tetto e negli epicentri delle violenze, l’economia stenta ancora a riprendersi. Dieci anni fa il Kenya ha rischiato di entrare in un scenario da incubo: guerra civile senza fine come in Somalia nel 1991 con reali rischi di genocidio come avvenne nel 1994 in Rwanda.

La maggioranza della popolazione keniota è conscia che il rieletto Presidente Uhuru Kenyatta è responsabile dei crimini contro l’umanità avvenuti nel triste ma recente passato. E’ altrettanto cosciente che anche Raila Odinga aizzò i suoi supporter e l’etnia Luo durante gli avvenimenti favorendo massacri e pulizie etniche contro l’etnia al potere: i Kikuyu. Nonostante che Raila Odinga sia sfuggito dalla giustizia internazionale soprattutto grazie alla protezione politica all’epoca garantita dagli Stati Uniti, la sua inconfutabile corresponsabilità nei crimini contro l’umanità è stata chiarita senza ombre di dubbio nel famoso rapporto sulle violenze elettorali del Giudice Philip Waki

Il rapporto fu frutto di mesi di indagini condotte dal Giudice keniota e dal suo team investigativo e chiarisce le origini e le dinamiche del genocidio sventato dalla popolazione, che dopo due mesi di orribile mattanza si rese conto dell’inganno politico e spontaneamente fermò le violenze. Il giudice Waki dimostrò che gli scontri etnici post elettorali non erano spontanei, ma preparati mesi prima delle elezioni. I responsabili, secondo questo rapporto, sono: l’ex Presidente Mwai Kibaki supportato dall’attuale Presidente Uhuru Kenyatta, e l’ex Primo Ministro Raila Odinga, supportato da William Rutho, attuale Vice Presidente. Il rapporto Waki fu consegnato di persona all’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan con la precisa raccomandazione di aprire procedure giudiziarie sui mandanti e sugli esecutori delle violenze.

L’errore strategico commesso da Odinga è stato quello di precipitarsi nello slum di Kibira per convincere gli abitanti a sollevarsi contro il Governononostante fosse consapevole della dura reazione delle forze dell’ordine. Questa mossa ha fatto ricordare le azioni prive di scrupolo di Odinga durante le violenze post elettorali 2007 – 2008. Il suo gesto è stato tacitamente condannato dalla maggioranza dei kenioti in quanto l’appello alla rivolta è indirizzato alle classi sociali più deboli, escluse dal miracolo economico e facilmente manipolabili. Una tattica utilizzata nel 2011 e nel 2016 anche dall’oppositore ugandese Kizza Besyge.

I tentativi di aizzare i disperati, incuranti della perdita delle loro vite, risultano in entrambi i casi controproducenti. Besyge e Odinga tramite queste mosse appaiono agli occhi delle rispettive popolazioni come avidi politici senza scrupoli disposti a qualunque azione e incuranti delle conseguenze per ottenere a tutti i costi il potere. Un atteggiamento che di certo non li rende valide alternative ai Presidenti in carica e che scoraggiano le centinaia di migliaia di cittadini stufi di democrazie corrotte o controllate ma che non vogliono morire per Odinga o Besyge.

 

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