Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Apr 23
di Fulvio Beltrami
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L’Amministrazione Kenyatta sta progressivamente sostituendo il principale e storico alleato Americano con la Cina, considerata piú affidabile, pragmatica e consona ai piani di sviluppo economico del Kenya.
I rapporti commerciali tra Kenya e Cina hanno raggiunto la ciffra astronomica di 30 milioni di dollari al giorno secondo i dati forniti dal settimanale The East African. Dati che confermano il trand dei rapporti commerciali tra Africa e Cina valutati nel 2013 ad oltre 200 miliardi di dollari.
Dopo Sudan e Zimbabwe la Cina ha trasformato le sue relazioni diplomatiche ed economiche con il Kenya rendendo questo strategico paese dell’Africa Orientale il suo partner privilegiato nella regione, a scapito degli investitori occidentali e degli alleati storici: Gran Bretagna e Stati Uniti.
Il Presidente Uhuru Kenyatta ha adottato una linea strategica che prevede il progressivo distracco della “tutela” americana sostituendo il Sogno Americano con quello Cinese. Una strategia ideata dal Presidente ugandese Yoweri Museveni e seguita dagli altri paesi della Regione dei Grandi Laghi tra i quali Tanzania, e Rwanda.
Il motivo di questo spostamento di interessi ed alleanze, che altera profondamente gli equilibri geostrategici nel Continente, è dovuto principalmente da tre fattori: l’arroganza del partner americano, le continue pressioni dell’Amministrazione Obama di imporre valori etici quali i diritti umani da lei stessa continuamente violati in varie parti del mondo e nei suoi stessi confini, l’utilizzo di una giustizia unilaterale imposto alla Corte Penale Internazionale. Gli stessi motivi stanno portando ad una disaffezione di Nairobi rispetto alla ex potenza coloniale: la Gran Bretagna.
Dopo cinquant’anni di collaborazione con Gran Bretagna e Stati Uniti il Kenya ha tratto un bilancio poco soddisfacente. I rapporti commerciali sono spesso unilaterali ad esclusivo vantaggio di questi due paesi occidentali anglosassoni. La collaborazione non è stata in grado di avviare il necessario sviluppo industriale nel paese africano, che ora si trova in una delicata situazione di sicurezza interna per aver seguito l’ossessione della Casa Bianca della lotta contro il terrorismo internazionale. La partecipazione alla campagna militare in Somalia contro il gruppo islamico Al-Shabaab ha regalato al Kenya un’ondata di attentati terroristici e di stabilizzazione sociale e politica senza precedenti.
Inizialmente l’Amministrazione Kenyatta ha tentato di sostituire i partner storici con la Francia, accorgedosi peró che il nuovo socio in affari è forse peggiore dei precedenti. La Cina ha astutamente approffittato della frustrazione del Kenya, condivisa dal Governo e dal mondo imprenditoriale nazionale, per proporre un diveso modello di cooperazione economica sotto il motto "Winn Winn” (Tutti vincenti). Un modello che non interferisce negli affari interni e nelle scelte di politica estera del paese partner, (compresa la situazione dei diritti umani) ma che punta su obiettivi concreti e convenienti ad entrambi.
Durante la prima fase di penetrazione economica in Africa, caratterizzata da una classica operazione di rapina delle risorse naturali, la Cina ha creato una fitta rete di piccoli, medi e grandi imprenditori cinesi articolata su tutto il Continente. La creazione di questo network è passata inosservata fino a quando è divenuta una realtá ben visibile ed irreversibile, come del resto in molti paesi occidentali, Italia compresa.
Il network commerciale degli imprenditori cinesi ha avviato la seconda fase della penetrazione economica cinese in Africa: quella dell’Industrializzazione. Gli imprenditori cinesi, spesso sovvenzionati dal Partito Comunista, dal 2011 hanno inziato a creare fabbriche ed unitá produttive in vari paesi africani. Questa attivitá non deve essere confusa con il processo di delocalizzazione industriale dell’Occidente. Al contrario si creano realtá produttive non concorrenziali con quelle giá esistenti in madre patria.
L’obiettivo è quello di assicurarsi il quasi monopolio dello sfruttamento delle risorse naturali del Continente rinunciando peró ad una consistente percentuale, sottraendo almeno il 40% delle importazioni di materie prime necessarie a sostenere l’industria cinese per creare in Africa un nuovo mercato di prodotti finiti destinato ad innodare il pianeta.
Un’operazione svolta senza inviare un solo soldato in Africa né fomentare eterni conflitti regionali. L’unico conflitto in cui la Cina è direttamente coinvolta è quello del Sud Sudan dove Pechino si è trovata costretta a sostenere il Presidente Salva Kiir per difendere i suoi interessi petroliferi nella piú giovane e tormentata nazione africana. Interessi strategici considerando che la Cina importa dal Sud Sudan 1,9 tonellate di petrolio greggio corrispondente al 77% della produzione totale del paese.
La fase di industrializzazione è ben apprezzata dagli Stati Africani in quanto soddisfa una loro esigenza primaria negata per 50 anni dall’Occidente che ha sempre considerato il Continente come un semplice deposito di materie prime e prodotti agricoli unicamente destinati alle economie europea e americana. Ogni tentativo di invertire la continuazione di questa economia coloniale ha immediatamente provocato colpi di stato e guerre civili sapientemente originate dalle potenze occidentali.
Il Presidente Kenyatta ha ora deciso di fare il passo di qualitá, togliendo il monopolio del dollaro americano sugli scambi internazionali. Fino ad ora la Federal Reserve americana ha potuto controllare gli scambi commerciali tra Cina e Africa attraverso l’imposizione della sua valuta. Un’arma potente attuata per condizionare gli sviluppi delle relazioni commerciali tra il Continente e il gigante asiatico.
Il Governo Keniota ha deciso di aprire il primo canale in Africa di scambi commerciali direttamente in valuta Yuan senza la conversione in dollaro americano. Questo creerá un boom negli scambi commerciali tra i due paesi diminuendo sensibilmene i costi e le perdite causate dallo scambio di tre valuta: lo scellino keniota, il dollaro americano e lo Yuan.
Per il Kenya attuare un canale valutario diretto con la Cina significa aumentare la convenienza degli scambi commerciali e lanciare un chiaro messaggio agli Stati Uniti: Bye Bye American Dream.
Una situzione destinata ad aprire una falla gigantesca nella diga di costrizioni economiche e finanziarie creata dall’Occidente. Altri paesi africani sono pronti a seguire l’esempio del Kenya: Sud Africa, Angola, Nigeria, Uganda, Etiopia, Rwanda, Tanzania, Ghana, Guinea Equatoriale, Sudan, Sud Sudan, Repubblica del Congo-Brazzaville, Camerun. Il processo di valuta diretta è una micidiale arma utilizzata da Pechino per diminuire considerevolmente l’influenza americana in Africa compreso presso i suoi alleati strategici: Etiopia, Rwanda e Uganda. Queste tre potenze militari stanno sempre piú dimostrando la volontá di attuare una politica estera ed interna indipendente e spesso convergente agli interess Cinesi, dopo che gli Stati Uniti hanno speso miliardi per creare nei tre paesi potenti e modernissimi eserciti. Obama sembra andare di matto a questo constato.
La rivoluzione finanziaria attuata dal Kenya ha obiettivi ambiziosi: trasformare il paese in un centro finanziario regionale offrendo a Pechino la possibilitá di ridurre la dipendenza economica causata dal dollaro americano, rafforzando la sua valuta nazionale destinata a diventare la terza valuta internazionale.
Secondo l’analisi del famoso istituto economico americano Brooking Institution la riduzione della dipendenza del dollaro americano è un colpo mortale per gli Stati Uniti che si vedono privati della possibilitá di influenzare e controllare gli scambi economici internazionali di Pechino.
La diga che il Kenya sta aprendo è destinata a non essere confinata al Continente. Le Borse di Londra, Francoforte, e Lussemburgo hanno giá palesemente espresso la loro volontá di aprire scambi diretti utilizzando lo Yuan tramite il riconosciemento internazionale del valore di questa valuta. Per Londra questo è un atto dovuto dopo la richiesta rivolta alla Cina nel 2013 di aumentare gli investimenti in Gran Bretagna per salvare l’economia del ex Impero.
I paesi africani sotto il pugno di ferro della Cellula Africana del Eliseo, nota con il nome France Afrique, sono in entusiastico delirio. Emulando il Kenya, avranno la possibilitá di sottrarsi alla schiavitú finaziaria imposta da Parigi che prevede il deposito e il controllo delle loro riserve di valuta pregiata presso la Banca Centrale della Francia.
In risposta all’offensiva finanziaria cinese in Africa, Stati Uniti e Francia stanno aumentando la loro presenza militare nel Continente e i loro interventi diretti o indiretti in nome della lotta contro un terrorismo internazionale spesso creato da queste potenze o utilizzato strumentalmente come i casi della Libia e Siria dimostrano.
“Francia e Stati Uniti si stanno indirizzando da soli verso la trappola che all’epoca il Presidente Ronald Regan tese alla Unione Sovietica, costringendola a dissanguarsi con la corsa agli armamenti durante gli ultimi anni della guerra fredda. Gli Stati Uniti in particolare si stanno autodistruggendo. L’industria militare registra profitti astronomici ma non contribuisce al rafforzamento dell’economia nazionale e della occupazione. Al contrario sta distruggendo l’economia americana. Non è un caso che sempre piú Stati della Federazione siano praticamente falliti anche se nessuno osa ufficializzare la realtá. Il Sogno Americano sta tramontando e non credo che questo indirizzo storico riugardi solo l’Africa.”, commenta Gilbert Khadiagala, professore di scieze politiche e relazioni internazionali presso l’Universitá della Makerere, Kampala, Uganda.
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