Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Feb 18
di Fulvio Beltrami
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Durante il meeting del National Revolutionary Army (NRM), svoltoso la scorsa settimana presso la località Kyankwanzi, Domenica 16 febbraio 2014 il Presidente Yoweri Museveni ha promesso ai quadri del suo partito di firmare la controversa legge anti-gay approvata dal Parlamento il 20 dicembre 2014.
La legge, nota con il nome “Kill The Gay Bill”, é stata proposta nel ottobre 2009 dal Parlamentare David Bahati, sostenuto dalla Chiesa Protestante e dalla First Lady: Janet Museveni.
Per tre anni il disegno di legge, che prevedeva anche la pena di morte, é stato presentato al Parlamento a più riprese. La discussione é stata sempre rinviata per ordine del Presidente Yoweri Museveni timoroso delle ripercussioni internazionali in caso di approvazione.
Il 20 dicembre 2013 la legge é stata approvata dal Parlamento a seguito di una iniziativa semi illegale attivata dal Presidente del Parlamento Rebecca Kadaga, approfittando dell’assenza del Primo Ministro Amama Mbabazi e del Presidente Museveni, entrambi impegnati a gestire le difficili crisi regionali della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan.
La proposta di legge, che non rientrava nell’ordine del giorno, fu approvata nonostante che non fosse stato raggiunto il quorum necessario (51%), attestandosi al 38% dei voti, causa l’assenza della maggioranza dei Parlamentari.
Immediatamente il Primo Ministro aveva giustamente definito illegale la legge e il Presidente Museveni si era rifiutato di firmarla.
“Questa legge é inutile in quanto i gay si nasconderanno continuando a praticare i loro atti omosessuali e lesbo per denaro.
Il cuore della proposta di legge é il dibattito sulla omosessualità per riuscire a definire con esattezza come ci dobbiamo comportare dinnanzi a queste persone anormali. Le dobbiamo uccidere? Le dobbiamo imprigionare per tutta la loro vita? Oppure dobbiamo aiutarle per farle uscire dal loro stato di anomalia fisica e psicologica?
Io sono più propenso per questa soluzione. Occorre comprendere le ragioni che spingono un essere umano a compiere tali bestialità in modo di poterlo aiutare efficacemente.
Per esempio le lesbiche diventano tali perché sono brutte e non riescono a trovare un marito. Aiutiamole a trovare un partner e formare una famiglia normale. Vedrete che saranno grate. Se le imprigioniamo le trasformiamo in martiri.”, dichiarò il Presidente Museveni il 16 gennaio 2014.
A distanza di un mese esatto il Presidente Museveni si dichiara favorevole alla legge anti-gay.
“Non ho alcun problema a firmare la legge che punisce la prostituzione omosessuale, l’esibizionismo e la promozione dell'omosessualità. Sono conscio che l’Uganda dovrà affrontare una grande battaglia conto la Comunità Internazionale per questa decisione ma sono pronto combatterla con il supporto di tutti voi e a vincerla.”, dichiara domenica scorsa il Presidente davanti all’assemblea dei delegati NRM invitati a Kyankwanzi.
Il Presidente Yoweri Museveni, al potere da 27 anni, é rinomato per essere un astuto uomo politico non incline a politiche contraddittorie e con un preciso piano a lungo termine per raggiungere i suoi due principali obiettivi: trasformare l’Uganda in una Super Potenza regionale e mantenersi al potere il più lungo possibile.
Quindi cosa é successo durante questo mese che ha fatto cambiare improvvisamene la sua posizione sul tema della omosessualità?
Il categorico rifiuto di firmare la legge era dettato dalle prevedibili reazioni della Comunità Internazionale e delle conseguenze, in un periodo in cui il Paese necessita di un’ottima immagine internazionale, essendo impegnato in due guerre estere (Somalia e Sud Sudan) e in progetti di destabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo con il diretto supporto di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Il meeting straordinario del NRM presso Kyankwanzi verteva sulla nomina del candidato del partito al potere per le prossime elezioni Presidenziali previste per il 2016.
A grande sorpresa il Presidente Museveni si é dichiarato disponibile a presentare la sua candidatura nonostante le promesse fatte nel 2012 di terminare il suo quarto mandato Presidenziale e di ritirarsi dalla scena politica nazionale.
Le ragioni della sua ennesima candidatura sono da ricercare nella necessità di gestire la fase d’avvio della produzione petrolifera prevista tra il 2016 e il 2017. Nel 2004 sono stati scoperti importanti giacimenti petroliferi nel nord del Paese capaci di trasformare l’Uganda in una Nazione ad economia di petrodollari, se i profitti petroliferi verranno gestiti in modo oculato. Le attività estrattive sono state affidate a tre multinazionali: Tullow (Gran Bretagna), Total (Francia)e CNOOC (Cina).
Nel progetto economico del Presidente Museveni i giacimenti di petrolio devono servire per rendere l’Uganda un paese industrializzato. Per raggiungere questo obiettivo la maggioranza del greggio estratto verrà raffinato in Uganda e venduto sul mercato locale e regionale. Una esigua percentuale sarà venduta all’Europa e alla Cina. Una mega raffineria ad Hoima entrerà in funzione nel 2017 con una capacità iniziale di 20.000 barili giornalieri, destinata a raggiungere i 120.000 barili entro il 2020.
Per rafforzare l’impatto finanziario del petrolio sull’economia ugandese, il Presidente Museveni si é assicurato il diritto di raffinare e vendere anche i giacimenti petroliferi congolesi del Lago Alberto e i giacimenti del Sud Sudan.
Il primo tramite una trattativa diretta con il Presidente Joseph Kabila, avvenuta all’insaputa del Parlamento Congolese nel febbraio 2011 tramite versamento di qualche milione di dollari su conti offshore intestati al Capo di Stato Congolese. La seconda tramite l’attuale appoggio militare dell’esercito ugandese (UPDF) al Presidente Salva Kiir per contrastare al ribellione del ex Vice Presidente Riek Machar, nell’attuale guerra civile iniziata il 15 dicembre 2013.
Conscio dell'immaturità della classe politica ugandese incline alla corruzione e alle mire mai assopite delle multinazionali di invertire i piani di produzione per esportare la totalità del greggio ugandese in Europa e Asia, il Presidente ha posto la produzione petrolifera sotto il suo diretto controllo, mettendo ai posti chiave suoi uomini di fiducia.
La difesa dei pozzi petroliferi é stata affidata a reparti speciali del UPDF comandati da suo figlio: Muhoozi Kainerugaba, attualmente al comando delle contingente militare ugandese in Sud Sudan.
Al Fisco é stato nominato il fedelissimo Generale Kale Kayihura, attuale capo della polizia nazionale, incaricato di sorvegliare le tasse pagate dalle multinazionali petrolifere.
L’attuale Direttrice del Fisco, Allen Kagina é stata nominata Direttrice della Autorità Petrolifera Ugandese.
Sia Kayihura che Kagina, oltre ad essere dei rinomati professionisti, appartengono all’etnia del Presidente: i Banyangole e godono della fama di essere fedeli ed incorruttibili.
Le nomine di uomini fidati per il controllo dell’industria petrolifera é stato evidentemente considerato non sufficiente dal Presidente Museveni. Considerazione che lo ha spinto a presentare nuovamente la sua candidatura per assicurarsi una corretta gestione delle risorse petrolifere.
La corretta gestione deve essere inserita nella particolarità della gestione del potere tipica del Rwanda e Uganda. Le economie di entrambi i Paesi si basano sulla rapina delle risorse naturali dei vicini deboli come il Congo e il Sud Sudan.
A differenza di altri Capi di Stato africani, Yoweri Museveni e Paul Kagame riservano una minima parte per i loro conti bancari personali, utilizzando la maggioranza di questi proventi per sviluppare il proprio paese, unica garanzia per mantenere il potere quasi in eterno.
L’Uganda é il primo paese africano che ha veicolato la maggioranza della produzione petrolifera sui mercati nazionale e regionale. Le multinazionali sono state costrette ad accettare ma continuamente fanno leva sui Parlamentari ugandesi affinché modifichino la legge.
Nel aprile 2013 il Presidente Museveni di persona é dovuto intervenire al Parlamento affinché si approvasse la legge sulla raffineria di Hoima. Un nutrito gruppo di parlamentari (sopratutto appartenenti al suo partito: NRM), stavano per optare per un oleodotto per l’esportazione di greggio a paesi terzi.
La stessa Unione Europea, sempre nel 2013, ha proposto il pagamento degli aiuti bilaterali attraverso l’ipoteca delle riserve petrolifere ugandesi. Proposta rifiutata seccamente dal Presidente Museveni.
Dinnanzi ai continui tentativi delle multinazionali e alla spasmodica ricerca di denaro facile tipica dei Parlamentari ugandesi, la scelta del Presidente di ricandidarsi é divenuta obbligatoria.
Le alternative sarebbero state il Primo Ministro Amama Mbabazi e il Presidente del Parlamento Rebecca Kadaga. Entrambi facili da piegare alle volontà dell’Occidente: il primo in quanto iper corrotto e la seconda ossessionata di potere e fama internazionale.
Il meeting del NRM a Kyankwanzi ha rappresentato l’occasione unica di ottenere l’appoggio della maggioranza dei quadri di partito alla candidatura di Yoweri Museveni alla Presidenza.
É in questo contesto che il fronte anti-gay, per la maggior parte all’interno proprio del NRM, ha visto la miglior occasione per far passare la legge.
Durante i cinque giorni del meeting il gruppo omofobico, capeggiato da Rebecca Kadaga, ha condotto dei colloqui privati con Museveni scoprendo le carte. Il loro appoggio alla presidenza in cambio della firma della legge Kill The Gay Bill.
Un dictact molto efficace che ha messo con le spalle al muro il Presidente.
All’interno del NRM vi é una considerevole percentuale di quadri che appoggiano la candidatura del Primo Ministro Mbabazi. Il mancato sostegno del fronte anti-gay avrebbe compromesso la candidatura di Museveni.
Un altro segnale d'allarme sono state le dichiarazioni di alti ufficiali del potentissimo esercito ugandese (UPDF) a favore della legge, sintomo che la lobby omofobica é riuscita a creare delle pericolose divergenze all’interno del UPDF, che controlla la vita economica e politica del paese in misura più discreta ma maggiormente efficace dell’esercito egiziano.
Inizialmente Museveni ha tentato di fare alcune concezioni per ottenere l’appoggio politico necessario. Il 13 febbraio scorso il Presidente ha accettato di firmare un decreto legge che nega la scarcerazione su cauzione in attesa di processo per i sospettati di stupro e di omosessualità, nella speranza che questo gesto fosse sufficiente a calmare i crociati anti gay.
Al contrario questa decisione ha galvanizzato maggiormente la lobby che ha preteso la firma della legge.
Sabato 15 febbraio il Presidente ha tentato un secondo stratagemma promettendo di firmare la legge solo se verrà dimostrato scientificamente che l'omosessualità si tratti di un comportamento criminale e non di una malattia genetica. Il compito di determinare la natura dell'omosessualità é stato affidato a 14 esperti tra psicologi e medici del Ministero della Sanità e della prestigiosa Università di Makerere.
Il verdetto, giunto il giorno successivo, era scontato in quanto é internazionalmente riconosciuto che l'omosessualità non rientra nelle patologie mediche e psicologiche, non é frutto di disfunzioni genetiche e non si trasmette da padre a figlio.
Completamente sconfitto il Presidente Museveni ha dichiarato la volontà di firmare la legge anti gay domenica 16 febbraio.
“La ragione che mi ha spinto a titubare sulla firma alla legge era il dubbio che mi tormentava riguardante la possibilità che gli omosessuali fossero vittime di un problema genetico o di una malattia. In quel caso avrei rifiutato di trattare dei cittadini ugandesi ammalati come dei criminali. Pensavo che come una persona può nascere albino per disfunzioni genetiche poteva nascere omosessuale per le stesse ragioni.
Ora che le massime autorità scientifiche e mediche del Paese mi hanno sottoposto prove inconfutabili che l'omosessualità non é causata da malattie o disfunzioni genetiche, posso firmare la legge con il cuore sereno, conscio di aver attuato una scelta obiettiva e non emozionale come quella che fece Hitler negli anni Trenta nel dichiarare la superiorità della razza ariana.” Questa la giustificazione del Presidente riportata dai media nazionali.
Un discorso tagliato proprio alla fine. Fonti provenienti da alcuni quadri di partito presenti al meeting di Kyankwanzi informano che il discorso del Presidente si sarebbe concluso cosi: “Vi siete dannati per anni per avere questa legge. Ora io la firmo e voi smettete di fare ostruzionismo. Dobbiamo passare alle cose serie”.
Una frase significativa che confermerebbe lo scambio avvenuto: legge anti omosessualità in cambio del supporto alla Presidenza per permettere a Museveni di gestire la delicata fase di avvio della produzione petrolifera.
Sabato 15 febbraio verso le 10 di sera (ora locale dell’Uganda) Museveni ha ricevuto una telefonata dal Presidente Americano Barak Obama, secondo quanto riportato su Twitter dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Susan Rice.
Durante la telefonata il Presidente Obama ha chiesto a Museveni di non firmare la legge anti-gay avvertendolo che un simile atto potrebbe seriamente compromettere le relazioni tra i due paesi. Gli Stati Uniti sono il principale alleato e finanziatore dell’Uganda.
Un telefonata caduta nel vuoto. Lunedì 17 febbraio Museveni ha confermato la sua disponibilità a firmare la legge.
Nella saga Kill The Gay Bill, durata 3 anni si nota che il delicato argomento: la criminalizzazione dell'omosessualità, si é prestato fin dall'inizio a innumerevoli strumentalizzazioni politiche.
Janet Museveni ha sempre supportato la proposta di legge fin dalla prima stesura del 2009 per compiacere la potente Chiesa Anglicana, principale finanziatore della carriera politica della First Lady che fino al 2012 nutriva ambizioni Presidenziali.
La spiegazione che Janet Museveni non si sia coinvolta nell'epilogo di questa lotta all’ultimo sangue é semplice: il marito, l’esercito e il partito hanno chiarito nel aprile 2013 l'impossibilità per la First Lady di essere considerata come candidato per il NRM alla Presidenza.
Il Presidente del Parlamento Rebecca Kadaga, ha iniziato a sostenere fanaticamente la legge dal 2012 quando anch’essa ha maturato ambizioni Presidenziali.
Nel novembre 2012 aveva promesso al popolo ugandese il più grande regalo di Natale facendo approvare la legge durante il dibattito previsto per il 15 dicembre 2012.
Per supportare l’approvazione il 13 dicembre si era recata a Roma per farsi benedire da Papa Benedetto XVI presso la Basilica di San Pietro. Per essere presente al Vaticano diede ordine di ritardare il funerale di suo padre facendo conservare per oltre una settimana la salma presso la cella frigorifera dell’Ospedale Generale di Mulago.
Una benedizione che scatenò un acceso dibattito in Italia sull'opportunità politica dell’azione del Papa che costrinse il Vaticano a giustificarsi dinnanzi all’opinione pubblica italiana.
Bloccata la discussione parlamentare del 2012 dal Presidente Museveni, Rebecca Kadaga ha fatto approvare la legge l’anno successivo utilizzando metodi anti costituzionali ed illegali, distruggendo così la fama duramente conquistata di essere il difensore della Costituzione e del Parlamento dinnanzi allo strapotere del Presidente Museveni.
L’atto anti costituzionale commesso ha spinto il NRM a non considerare la sua candidatura alla Presidenza in quanto Kadaga ha dimostrato di essere una figura politica inaffidabile e pronta a tutto per raggiungere i suoi obiettivi.
Pur essendo la legge anti gay la causa della fine del suo sogno di gloria e potere, Kadaga ha condizionato la lobby anti-gay all’interno al NRM per costringere il Presidente Museveni a firmare. Un puro e semplice atto di vendetta personale di una donna pronta a tutto per il potere.
Le dure prese di posizioni del Primo Ministro Amama Mbabazi del gennaio scorso contro la legge omofobica non hanno trovato conferma durante gli avvenimenti di questi ultima settimana.
Il Primo Ministro utilizzava la sua posizione contro la legge per presentarsi come valida alternativa agli occhi di Stati Uniti ed Europa.
Durante il meeting di Kyankwanzi le logiche etniche, caliniche e militari tipiche della politica ugandese hanno costretto Mbabazi a rinunciare alle sue pretese Presienziali e a sostenere la candidatura di Museveni, accettando di rinviare per altri cinque anni le sue mire di potere assoluto.
Dinnanzi alla sconfitta subita Mbabazi non si é opposto alla approvazione di una “insignificante legge contro i gay”, limitandosi a pronunciare il suo rammarico per la scelta fatta dal Presidente.
Anche la Chiesa Cattolica ha avuto un ruolo altamente ipocrita nella saga “Kill the Gay Bill”.
Il 21 dicembre 2013 il rappresentante del Nunzio Apostolico in Uganda, l’Arcivescovo Michael Blume dichiarò la ferma opposizione alla legge anti-gay. Una presa di posizione estremamente importante visto che i Cattolici rappresentano il 42% della popolazione Ugandese.
L’Arcivescovo Michael Blume non si é però pronunciato riugardo la scelta politica del Arcivescovo di Kampala: Cyprian Lwanga, a favore della legge anti-gay.
Una scelta chiarita pubblicamente nel 2012 tramite una lettera ufficiale indirizzata al Presidente Museveni e firmata assieme ai leader della Chiesa Anglicana e della Comunità Mussulmana in Uganda. Scelta riconfermata, con più discrezione, durante l’incontro a porte chiuse avvenuto tra il Presidente e i leader tradizionali e religiosi nel gennaio 2014.
A differenza di Blume, un perfetto sconosciuto, Cyprian Lwanga é considerato il vero rappresentante del Vaticano nel Paese, dai oltre 10 milioni di fedeli ugandesi che seguono ciecamente i suoi orientamenti di fede.
Dal novembre 2013 il Presidente Museveni ha incaricato l’Arcivescovo Lwanga di presentare l'invito ufficiale a Papa Francesco affinché visiti l’Uganda in occasione della celebrazione del Cinquantenario dei Martiri Ugandesi che ricorda l’eccidio di 22 preti cattolici avvenuto nel 1886 ed attuato dal Re dei Buganda Kabaka Mwanga nella località di Namugongo, ora un quartiere periferico di Kampala, la capitale.
Pur essendo di fede Protestante Museveni necessita della visita del Santo Padre per aumentare il suo prestigio e quello del Paese. La presenza di Papa Francesco rappresenta anche un colossale affare economico poiché attirerebbe centinaia di migliaia di fedeli dei Paesi vicini: Burundi, Congo, Kenya, Rwanda e Tanzania, trasformando l’Uganda in una temporanea meta di pellegrinaggio.
Vederemo se Papa Francesco accetterá di visitare il secondo Paese africano che ha approvato una durussima legge contro i diritti umani delle minoranze sessuali dopo la Nigeria.
Il principale partito di opposizione Forum for Democratic Change (FDC) é troppo impegnato nella lotta politica interna che rischia di distruggerlo e nella sterile difesa del ex Sindaco di Kampala: Erias Lukwago rimosso dal Presidente Museveni nel novembre 2013 a causa di comprovate accuse di incompetenza e corruzione, per offrire una seria opposizione alla legge che viola i principali diritti umani. A dimostrazione di ciò il FDC non ha emesso alcun comunicato in merito.
E le minacce di Barak Obama? Significativa la risposta ufficiale offerta da Tamale Mirundi Rappresentante della Presidenza: “Le relazioni tra Uganda e Stati Uniti non sono state costruite ieri. Si basano su precisi interessi regionali ed internazionali che non saranno certamente compromessi con la legge approvata contro l'omosessualità.”.
Un’affermazione assai realistica visto gli immensi interessi economici e geo-strategici degli Stati Uniti nella Regione dei Grandi Laghi che possono essere garantiti esclusivamente grazie alla collaborazione di quattro Paesi: Kenya, Etiopia, Rwanda e Uganda, quest’ultimo la principale potenza militare della regione, che normalmente accetta di fare il “lavoro sporco” a livello internazionale per conto della Casa Bianca.
Un esempio? Sono oltre 6.000 le truppe speciali Ugandesi assunte da Contractor Americani ufficialmente impegnate in attivitá di sorveglianza in Iraq e Afganistan, ma in pratica utilizzate in prima linea contro i gruppi legati ad Al –Qaeda e contro i Talebani.
La difesa degli omosessuali ugandesi da parte dell’Amministrazione Obama rischia di risultare ipocrita non solo per gli interessi economici e geo-strategici con l’Uganda ma anche per la situazione delle minoranze sessuali negli Stati Uniti. Gli Stati della Federazione più conservatori hanno nei loro codici giuridici leggi che limitano le libertá sessuali che, in vari casi, sono subdolamente omofobiche per esempio considerando reato i rapporti orali e anali senza distinzione di sesso.
L’ultimo esempio é quello del Kansas dove il 11 febbraio 2014 é stata varata una legge segregazionista nei confronti dei gay. Il Bill 2453 nega i diritti civili fondamentali quali l’assistenza sanitaria, la sicurezza delle forze dell’ordine, o l’impiego presso amministrazioni pubbliche e scuole. La recente legge é stata dichiarata anti Costituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che, purtroppo, non ha il potere di farla abolire in quanto considerata una legge interna allo Stato del Kansas.
Mentre Yoweri Museveni si presenterà alle elezioni del 2016 venendo immancabilmente rieletto alla Presidenza, gli omosessuali ugandesi rischiano l’ergastolo e i noi giornalisti una pena a 7 anni di reclusione per aver scritto articoli come questo, considerati una chiara propaganda e promozione della omosessualità.
La bufera é passata e dell’argomento tra un mese non ne parlerà più nessuno. Nessun media occidentale dedicherà un solo articoletto sulle persecuzioni, gli arresti e le vendette personali che subirà la comunità gay ugandese d’ora in avanti, a meno che la vittima non sia un omosessuale occidentale, di razza bianca.
Anyway... Fate attenzione! Nessun media regionale é in grado di affermare con sicurezza che la pena di morte sia stata veramente sostituita con l’ergastolo poiché il testo di legge non é stato pubblicato. Solo Museveni, Kadaga, Mbabazi e una ristretta minoranza dei Parlamentari Ugandesi conoscono i contenuti, fino ad ora gestiti come segreto di stato. Lo scopriremo solo con la prima condanna esemplare di uno di questi pericolosi criminali.
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