Genocidio Ruandese. Svezia e Norvegia contribuiscono alla giustizia

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Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Giu 21

Genocidio Ruandese. Svezia e Norvegia contribuiscono alla giustizia

La condanna all’ergastolo inflitta dal tribunale di Stoccolma a Stanislas Mbanenande, accusato di genocidio, riconferma la volontà del paese scandinavo di contribuire alla giustizia del genocidio in Rwanda nel 1994, seguendo l’esempio della Norvegia. Italia, Francia e Vaticano rifiutano ancora di collaborare con la giustizia internazionale

di Fulvio Beltrami

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Giovedì 19 giugno la corte d’appello di Stoccolma ha riconfermato la condanna inflitta a Stanislas Mbanenande per la sua partecipazione al genocidio compiuto nel 1994 in Rwanda. Mbanenande, 55 anni, cittadino ruandese con attuale cittadinanza svedese, sconterà la pena all'ergastolo in una prigione di stato. La sentenza chiude il primo processo a dei criminali ruandesi nel paese. Mbanenande, all’epoca 35enne, organizzò tra l’aprile e il giugno 1994 omicidi di massa, stupri collettivi e rapimenti presso la prefettura di Kibuye nell'ovest del Rwanda. La difesa accusò la giuria di aver ricevuto prove inventate dal governo ruandese dichiarando che il suo cliente è in realtà una vittima del regime di Kigali essendo un noto oppositore politico. Gli argomenti della difesa non sono stati sufficienti per convincere la corte d’appello di Stoccolma a invalidare la condanna decisa dal tribunale il 5 novembre 2012.

Troppe le prove presentate durante il processo del 2012, il processo in assenza presso il tribunale di Kigali nel 2009 e da Trial Track Impunity Always, un'associazione svizzera di avvocati internazionali fondata nel 2002 con l’obiettivo di offrire servizi di indagine e di difesa alle vittime dei crimini internazionali: genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, torture e rapimenti politici. Prove inconfutabili dimostrano che Stanislas Mbanenande tra il 12 e il 16 aprile 1994 organizzò il massacro della collina Ruhiro, prefettura di Kibuye, dove furono uccisi 238 tutsi. Mbanenande partecipò personalmente al massacro uccidendo varie vittime a colpi di machete. Il 17 aprile 1994 Mbanenande partecipò al massacro compiuto all’interno della chiesa cattolica di Saint Jean a Kibuye in collaborazione con il prete della diocesi: 348 vittime per la maggioranza imprigionate in copertoni di auto e date alle fiamme.

Il 18 aprile 1994 Mbanenande organizzò e partecipò al massacro nello stadio Gatwaro a Kibuye dove furono uccisi 4.836 tutsi. Le attività genocidarie di Mbanenande continuarono fino al 30 giugno 1994 quando uccise quattro hutu moderati poche ore prima della liberazione della città da parte del Fronte Patriottico Ruandese. Le vittime erano testimoni oculari delle sue atrocità compiute nella prefettura. Mbanenande ha anche partecipato al famoso massacro della collina di Bisesero sempre a Kibuye: 2.832 morti. Successivamente rifugiatosi nel vicino Zaire grazie alla protezione dei soldati francesi dell’Operazione Tourqoise, Mbanenande riuscì ad arrivare come rifugiato politico in Svezia nel 2007, divenendo cittadino nel 2008 grazie agli aiuti del Vaticano. La magistratura svedese rifiutò la richiesta di estradizione sottoposta dal tribunale di Kigali nel 2010, dichiarando però l’intenzione di processare il presunto genocidario. La procedura giudiziaria fu aperta nel 2011.

La conferma della condanna all’ergastolo della Corte d’Appello di Stoccolma rappresenta un'ulteriore conferma della volontà dei paesi scandinavi di collaborare con la giustizia ruandese ed internazionale nell’individuazione, arresto e condanna dei responsabili dell’Olocausto ancora a piede libero. Nel 2013 il governo norvegese arrestò Eguene Nkuranyabahizi, approvando il 9 aprile 2014 la sua estradizione in Rwanda. Nkuranyabahizi, 41 anni, viveva in Norvegia come rifugiato politico dal 1999 grazie all’aiuto offerto dalla chiesa cattolica. All’epoca giovane maestro di scuola elementare, Nkuranyabahizi, è accusato di aver partecipato allo sterminio degli alunni tutsi della sua scuola e a vari massacri svoltisi nelle zone di Nkakwa e Cyahinda avvenuti nell'aprile 1994, dove furono uccisi 7.500 tra tutsi e hutu moderati. Riuscì a scappare negli ultimi giorni del genocidio, rifugiandosi in Burundi sotto falsa identità e riuscendo ad avere la cittadinanza burundese.

I tentativi della difesa di bloccare l’estradizione furono vani. Il tribunale norvegese giudicò prive di basi le motivazioni presentate dalla difesa che il proprio cliente non avrebbe ricevuto un processo equo in Rwanda. Nello stesso anno il Tribunale di Oslo condannò a 21 anni di reclusione Sadi Bugingo, accusato di aver partecipato al genocidio in varie città del Rwanda. Purtroppo Francia, Italia e Vaticano mantengono tuttora un atteggiamento di non collaborazione e di boicottaggio della giustizia internazionale nei confronti del genocidio. La maggior parte dei responsabili dell’Olocausto ruandese sono protetti dai tre governi, compreso la ex First Lady Agathe Habyrimana, detta anche la Dama della Morte, mandante dell'omicidio di suo marito, il presidente Juvenal Habyrimana il 6 aprile 1994. L'omicidio del presidente fu preso come pretesto per inziare il genocidio programmato due anni prima.

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