Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Dic 31
di Fulvio Beltrami
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Il piccolo ma strategico paese dell’Africa Occidentale fondato alla fine dell’Ottocento dagli Stati Uniti: la Liberia, è da vari mesi sulle prime pagine dei media internazionali a causa dell'epidemia di Ebola che ha colpito la regione. Il paese africano era già conosciuto a causa della disumana e orribile guerra civile degli anni Novanta durata 14 anni e per il sanguinario regime di Charles Taylor condannato nel 2013 dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l'umanità. Il 16 dicembre scorso si sono tenute le elezioni del Senato in un clima politico e sociale assai teso causato dall’epidemia. Il paese ha registrato il più alto tasso di vittime provocate dall’Ebola a causa dell'incapacità del governo di gestire la crisi sanitaria nonostante gli aiuti internazionali. Un'incapacità che ha origini dalla cinica volontà della presidente Ellen Johnson Sirleaf, vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2011, di trascurare il sistema sanitario nazionale distrutto dai lunghi anni di guerra civile. In Liberia si conta un solo ospedale situato nella capitale, Monrovia: il JFK Hospital che versa in uno stato deplorevole.
Nel paese rari sono i centri di salute e non esistono ospedali periferici. Con una popolazione di oltre 4 milioni di abitanti il sistema sanitario nazionale conta 10 dottori qualificati e meno di una sessantina di infermieri, prevalentemente concentrati nella capitale. In Liberia non esiste un servizio sanitario vero e proprio, nemmeno privato. Non sorprende quindi che l’Ebola abbia facilmente cancellato migliaia di vite in pochi mesi. La scelta di non ricostruire il sistema sanitario nazionale è in perfetta linea con la politica del governo Sirleaf, al potere dal 2005. Il presidente, odiato dalla popolazione ma sostenuto da Stati Uniti e Onu, gestisce il paese tramite una politica predatoria e clientelare. Un mix tra corruzione, conflitti di interessi, arricchimento personale e svendita delle risorse naturali alle potenze occidentali e alla Cina. Nonostante che il paese sia ricchissimo di ferro, oro, petrolio e con un potenziale agricolo immenso la maggioranza della popolazione vive nella più disperata miseria. Gli indici dello sviluppo umano registrati in Liberia sono tutti drammaticamente in negativo a cominciare dalla speranza di vita: meno di 45 anni.
I vari ministri nominati dal presidente Sirleaf mantengono la residenza negli Stati Uniti, dove fanno studiare i loro figli e si sono allineati all'ideologia dominante che vede la Liberia un immensa cassaforte a cui attingere a man bassa, senza scrupoli ne pietà, alimentando così la corruzione che è divenuta endemica come nella Repubblica Democratica del Congo. L’educazione è pressoché inesistente: 90% di analfabeti. La rete stradale esiste solo nella capitale. Le uniche strade asfaltate all’interno del paese sono quelle che collegano la capitale con l'aeroporto internazionale e le miniere di ferro e oro. Solo il 40% della capitale ha elettricità e acqua potabile. Il resto del paese vive nella più totale oscurità e l’acqua potabile è stata trasformata da diritto a lusso. Il 98% della popolazione giovanile è disoccupata cronica. Le uniche possibilità offerte per sopravvivere sono l’economia informale, la micro criminalità e la prostituzione. Le centinaia di migliaia di giovani disoccupati e disperati offrono un ottimo serbatoio di reclutamento qualora i vari Signori della Guerra liberiani decidano di riaprire le ostilità contro il governo.
In questo drammatico contesto le elezioni per il Senato hanno registrato una schiacciante vittoria dell’opposizione che ha strappato perfino il feudo presidenziale della contea di Boni, la contea dove è nata Ellen Johnson Sirleaf. Il risultato della disfatta nella contea di Boni è stato immediatamente annullato dal governo che ha artificialmente provveduto ad assegnare il 53,6% delle preferenze al candidato governativo: Morris G. Saytumah arrestando il candidato dell’opposizione Lahai G. Lansanah assieme a sua moglie, accusati di “tentativo di frode elettorale”. L’ex star del calcio e punta di diamante del Milan: George Weah ha ottenuto una schiacciante vittoria assicurandosi il seggio di Monrovia al Senato, grazie al 79,7% delle preferenze. Il secondo candidato: Robert Sirleaf, figlio del presidente, ha ottenuto un misero 11,2%. Il partito di Ellen Jonshon Sirleaf: il Unity Party ha perso i principali seggi in tutte le Contee del paese, riuscendo a far eleggere solo 4 Senatori. Robert Sirleaf si era presentato come candidato indipendente al partito controllato dalla madre-presidente. Una mossa strategica ideata da Ellen Johnson Sirleaf per creare un secondo popolo di opposizione alternativo controllato dalla famiglia. Nei mesi precedenti alle elezioni i media del regime avevano montato una falsa propaganda riguardo presunti dissidi tra il presidente e suo figlio. A settembre, quando le previsioni già confermavano la vittoria di Weah, il presidente rinviò le elezioni inizialmente previste ad ottobre. Un secondo tentativo di rinvio delle elezioni, attuato agli inizi di dicembre è stato bloccato dalla Corte Costituzionale che ha costretto la Famiglia Sirleaf a sottoporsi al giudizio popolare. In entrambi i casi di rinvio il presidente Sirleaf ha evocato come scusa il pericolo di diffusione tra la popolazione del contagio di Ebola. La scusa è stata utilizzata con successo per impedire un'adeguata campagna elettorale, ostacolando i comizi elettorali dell’opposizione. Nonostante questi boicottaggi la popolazione ha severamente punito il presidente e il governo in carica.
George Weah, fin dall’inizio della sua carriera politica in Liberia (si presentò alle presidenziali del 2005, un anno dopo dalla fine della guerra civile), rimane l’incontrastato leader scelto dalla popolazione. La sua ascesa al governo della Liberia è stata sistematicamente impedita da Stati Uniti e Onu che hanno tollerato se non incoraggiato le frodi elettorali attuate dal presidente Ellen Johnson Sirleaf. Nelle elezioni del 2005, svoltesi sotto la stretta sorveglianza dei Caschi Blu Onu, centinaia di migliaia di voti a favore di Weah furono gettati nell’oceano in pieno giorno. Nonostante questo episodio la Comunità Internazionale dichiarò le elezioni “libere e trasparenti”. Le elezioni del 2011 hanno registrato al primo turno un'umiliante sconfitta del Premio Nobel per la Pace, che riuscì ad accedere al secondo turno solo tramite un volgare trucco. Sotto ordine del presidente le percentuali del primo turno: 43,9% per il candidato dell’opposizione Winston Tubman (sostenuto da George Weah) e 32,7% per Sirleaf vennero invertite dalla Commissione Elettorale. Una protesta popolare organizzata nel novembre 2011 dall'opposizione contro questa inaudita frode elettorale terminò in un bagno di sangue. Il presidente ordinò alla polizia di sparare sui manifestanti con il tacito consenso del contingente nigeriano della Missione di Pace Onu in Liberia. La maggioranza dei corpi delle vittime furono confiscati dalle forze dell’ordine liberiane, caricati su elicotteri e gettati in mare per far scomparire le prove dell’eccidio, secondo quanto riportato da varie testimonianze oculari. A seguito di questo massacro l’opposizione rifiutò di partecipare al secondo turno delle elezioni dove si registrò la scontata vittoria della Sirleaf: 90,7% dei voti.
Una vittoria sminuita dalla bassa partecipazione al voto (28%) e dal coprifuoco decretato nel dicembre 2011 per evitare altre proteste dell’opposizione. Nel tentativo di attenuare il boicottaggio popolare al secondo turno, le Nazioni Unite aumentarono artificialmente la partecipazione al voto: da 28 al 38%. Divenuta sempre più impopolare, il presidente Sirleaf resta al potere manus militaris grazie al sostegno degli Stati Uniti e della Missione di Pace Onu in Liberia. In cambio il presidente ha accettato di abdicare alla sovranità nazionale, detenuta dalla multinazionale americana Unilever, presente nel paese dagli anni Quaranta. Inoltre la Sirleaf ha assicurato agli Stati Uniti ottimi contratti per il futuro sfruttamento dei giacimenti petroliferi scoperti nelle acque territoriali. La manna dell’oro nero, capace di ricostruire il paese, è stata immediatamente incanalata negli “affari di famiglia” grazie all’incarico ricevuto dal figlio del presidente, posto alla direzione della Compagnia nazionale Petrolifera. Una carica a cui Robert Sirleaf è stato costretto a dimettersi nel 2013 per evitare una sollevazione popolare.
Il secondo fattore che permette ad Ellen Johnson Sirleaf di mantenere il potere è la connivenza con i principali attori della guerra civile liberiana. Il suo governo è formato principalmente dai vari Signori della Guerra che devastarono per 14 anni il paese. Ad essi è garantita la più assoluta immunità goduta anche dallo psicopatico e cannibale Prince Johnson ex socio d’affari della Sirleaf e Charles Taylor che nutre la speranza di diventare presidente a seguito di accordi presi nel lontano 1988 con la Sirleaf al fine di convincerlo a partecipare alla prima guerra civile. Il sostegno di questi criminali liberiani, degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite sembra essere sempre meno efficace dinnanzi al desiderio della popolazione di liberarsi dell’orribile passato e di ottenere finalmente una vera democrazia e ricostruzione nazionale. Ellen Johnson Sirleaf fu il principale architetto della prima guerra civile liberiana (1989 – 1996) convincendo gli Stati Uniti a sostenere Charles Taylor e Prince Jonshon. Fu anche il principale architetto della seconda guerra civile (1998 – 2004) quando fu evidente che Charles Taylor aveva deciso di non rispettare gli accordi presi per la spartizione del potere.
La Commissione Verità e Giustizia, incaricata di indagare sui crimini contro l'umanità commessi durante le due guerre civili, nel suo documento sui risultati delle indagini, redatto nel 2004, dichiarò Ellen Johnson Sirleaf come la principale causa della tragedia durata 14 anni, consigliando che venisse interdetta a ricoprire qualsiasi carica pubblica. Il documento fu immediatamente confiscato dal governo provvisorio di Sirleaf, installato per decisione del Consiglio di Sicurezza Onu. I giudici e gli attivisti dei diritti umani della commissione furono costretti a fuggire all’estero in quanto perseguitati per aver osato mettere in discussione il potere della Sirleaf. La vittoria dell’opposizione e di George Weah è il più chiaro segnale che la popolazione liberiana è ancora fermamente convinta a spodestare il Premio Nobel della Pace considerata una nemica della nazione e un'usurpatrice.
Occorre comunque notare che il leader dell’opposizione Weah ha limitati margini di manovra. Difficilmente Weah potrebbe attuare la politica economica basata sul nazionalismo e sugli interessi della popolazione da lui promessa nelle elezioni del 2005. La Liberia rimane strettamente legata ai fondatori del paese: gli Stati Uniti. La Liberia fu fondata dalla Società Colonizzatrice americana nel 1820 a seguito di un programma teso a liberarsi di migliaia di ex schiavi neri riportandoli in Africa per diminuire le tensioni sociali negli Stati Uniti e le continue rivolte negre. Per 27 anni la Liberia fu un protettorato americano. Nel 1847 il protettorato ottenne l’indipendenza trasformandosi nella Repubblica della Liberia con capitale Monrovia, nome dato in onore al presidente americano James Monroe. Gli ex schiavi africani, denominati “Congo”, ricrearono il sistema di schiavitù economico di cui erano stati vittima negli Stati Uniti ai danni delle tribù autoctone del paese: Kpelle, Bassa, Grebo, Gio, Mano, Kru, Lorma, Kissi e Gola.
Per poter sopravvivere alle varie guerre indette dalle tribù autoctone per ricacciare in mare gli invasori, i vari governi formati dagli ex schiavi fecero ricorso all’aiuto militare americano accettando di abdicare alla sovranità nazionale. Dagli anni Quaranta il vero potere nel paese è gestito dalla multinazionale Unilever e il dollaro americano è stato imposto come vera e propria valuta nazionale anche se, teoricamente esiste il dollaro liberiano. Nell’aprile 1980 le tribù autoctone conquistarono il potere grazie al colpo di stato del sergente Samuel Doe. Dopo una breve luna di miele con Washington, Doe tentò di promuovere una politica nazionalistica sganciandosi dall’influenza americana appoggiandosi a Cuba e all’Unione Sovietica.
Il tentativo decretò la fine del regime. Nel 1989, sotto coordinazione di Ellen Johnson Sirleaf e gli aiuti finanziari del dittatore libico Gheddafi, gli Stati Uniti organizzarono una guerriglia comandata da Charles Taylor e Prince Johnson. Doe fu catturato, torturato e barbaramente ucciso nel settembre 1990. Il video della tortura del presidente Doe (dalla durata di quattro ore) è ancora reperibile nelle librerie della capitale Monrovia. Prendendo la scusa di intervenire a livello umanitario per combattere l’epidemia di Ebola, gli Stati Uniti hanno ora effettuato il passaggio di consegne dal protettorato Onu iniziato nel 2005 e mai dichiarato ufficialmente, ponendo nuovamente il paese sotto il protettorato americano. Attualmente vi sono quasi 6000 marines americani in Liberia ed è vietato che esercito e polizia nazionale siano armati.
Oltre ai colossali profitti ottenuti dalla Unilever con l’utilizzo di lavoratori liberiani in stato di semi schiavitù nelle proprie piantagioni disseminate nel paese, gli Stati Uniti si sono assicurati la futura produzione di petrolio. La Liberia è considerata dal Pentagono il paese più importante dell’Africa Occidentale dove vi sono le principali basi militari americane e il centro di diffusione della propaganda di Voice Of America per il Continente. Il pesante controllo americano impedisce ogni politica nazionale. Anche George Weah, speranza della popolazione liberiana, se riuscirà ad accedere al potere, dovrà scendere a compromessi con gli Stati Uniti per non subire la sorte che è stata riservata a Samuel Doe.
Questa è la principale ragione della bassa affluenza alle urne registrata durante le elezioni dello scorso 16 dicembre: 27,9%. La seconda è stata la paura di contagio da Ebola. Un esperto militare ugandese, riferendosi alle prossime elezioni presidenziali previste per il 2015, afferma che gli Stati Uniti necessiterebbero di un cambiamento di regime per evitare la balcanizzazione del paese e la ripresa della guerra civile. George Weah è il candidato naturale alla presidenza. Il problema di fondo è rappresentato dai dubbi nutriti fin dal 2005 dalla Casa Bianca: George Weah accetterà di essere l’ennesimo burattino di Washington o si trasformerà in un secondo Samuel Doe?
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