Burundi. Ritorna la diplomazia di Louis Michel

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Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Giu 3

Burundi. Ritorna la diplomazia di Louis Michel

Il grande Burattinaio dei Grandi Laghi: Louis Michel, ritorna alla ribalta dell’opinione pubblica occidentale per l’appello firmato da un gruppo di eurodeputati, ad intervenire in Burundi contro il regime di Nkurunziza. L’appello chiarisce senza mezzi termini gli alti rischi di genocidio ed invita la comunità internazionale ad intervenire prima del irreparabile. Louis Michel è noto per la sua grande esperienza diplomatica nella regione e per essere estremamente prudente prima di parlare

di Fulvio Beltrami

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Louis Michel, il grande burattinaio della diplomazia belga nella regione dei Grandi Laghi, è una figura di primo piano nella storia dell’Africa Orientale degli ultimi 30 anni. Supporter della riconquista del Rwanda da parte dell’attuale presidente Paul Kagame ideata dal presidente ugandese Yoweri Kaguta Museveni, Michel è stato uno degli artefici della caduta del dittatore Mobutu Sese Seko nello Zaire (1996). Ha successivamente supportato il regime di Kabila contro la pressione militare burundese, ugandese e ruandese nel 1998 e nelle due ribellioni Banyarwanda est del Congo nel 2009 e nel 2012.

Louis Michel è stato autore, assieme a Nelson Mandela e alla Comunità di Sant’Egidio, degli accordi di pace di Arusha che misero fino alla guerra civile in Burundi (1993 – 2004). Pur ostacolando i sogni francesi di riconquista del Rwanda, Louis Michel tra il 2005 e il 2012 aveva nutrito speranze sui presidenti Pierre Nkurunziza e Joseph Kabila in Congo. Speranze infrante dalla realtà. Da attento e pragmatico diplomatico Louis Michel, dopo aver constatato la deriva dittatoriale di entrambi i presidenti, ha iniziato a promuovere una campagna diplomatica internazionale per provocare un cambiamento di regime in entrambi i Paesi.

Nel novembre 2015 Louis Michel fu chiaro a proposito della situazione in Burundi. “Occorre abbattere il regime illegale di Pierre Nkurunziza!”. L’appello non fu ascoltato in quanto ancora Unione Europea, Francia e Stati Uniti speravano di far ragionare il dittatore burundese. All’appello di Michel seguì uno squallido teatrino diplomatico che di fatto ha portato a bloccare ogni azioni determinata per interrompere la catena di violenze che sta portando al genocidio.

In un contesto di inettitudine e non chiarezza politica della diplomazia internazionale nei confronti del Burundi anche il congelamento degli aiuti e le sanzioni economiche dell’Europa non hanno avuto l’impatto sperato anche se hanno messo economicamente in ginocchio il regime.

A distanza di 18 mesi dal primo intervento mondiale sul Burundi, Louis Michel ritorna a sensibilizzare l’opinione pubblica e la comunità internazionale. Un appello supportato da un anno di intense relazioni diplomatiche, che avverte del rischio di genocidio, definito da Michel come imminente. L’appello, firmato da un gruppo di eurodeputati, chiede immediate azioni per impedire la catastrofe compreso l’uso della forza. Frammenti Africani vi propone la traduzione integrale del testo originale in lingua francese.

Comunicato stampa sul Burundi degli eurodeputati guidati da Louis Michel.

Il 25 aprile 2015, il Signor Pierre Nkurunziza, Presidente della Repubblica del Burundi, ha preso una decisione carica di conseguenze. Si è assicurato un terzo mandato presidenziale, illegittimo e illegale, in violazione flagrante degli accordi di pace di Arusha del 2000 e della Costituzione che limitano la Presidenza a due mandati conseguitivi della durata singola di 5 anni. Questa decisione è stata presa nonostante l’opposizione dell'Assemblea Nazionale di approvare un emendamento costituzionale per legittimare il 3° mandato di Pierre Nkurunziza.

Questa volontà di conservare il potere a tutti i costi ha distrutto le regole elementari della democrazia provocando una forte resistenza pacifica della popolazione burundese che ha sfidato nelle piazze le pallottole della polizia, supportata dalle Imbonerakure, una milizia devota alla causa tristemente celebre per la sua crudeltà nell’eseguire crimini ignobili.

La repressione cieca che si è abbattuta sull’opposizione si è manifestata attraverso arresti arbitrari, reclusione senza processo, torture indescrivibili che hanno scatenato l’indignazione internazionale, esecuzioni extra giudiziarie, assassini di Stato, sparizioni ed esilio forzato. Numerosi rapporti di varie organizzazioni internazionali degni di fiducia, Ong indipendenti e testimonianze di giornalisti che hanno visitato il Burundi, donano una chiara visione del ampiore che ha assunto la repressione. Migliaia di persone sono state vittime del regime dittatoriale di Bujumbura. Oltre 420.000 cittadini hanno preso il cammino dell’esilio. Intere famiglie distrutte, progetti di vita distrutti. In breve una realtà tra le più tristi ed oscure della storia burundese.

Tutte queste funeste azioni di distruzione del Paese continuano ad essere attuate. Il regime ha distrutto i media privati, esiliato i giornalisti e reso inaudibili le voci di dissenso e dell’opposizione. Gli spazi di espressione libera e quelli politici sono stati distrutti attraverso la divisione, la repressione e l’esilio dei leader dell’opposizione. Contemporaneamente le grandi figure della società civile burundese, accorse in soccorso della popolazione, sono diventate bersagli del regime. Anche loro sono stati costretti all’esilio abbandonando la popolazione alla mercé di criminali.

In sintesi possiamo affermare che il Burundi di oggi sembra una vasta prigione a cielo aperto dove tutti gli spazi democratici sono stati distrutti e il regime ha instaurato come dialogo politico la violenza che ha sostituito la normale gestione amministrativa dello Stato.

Delle derive dalle conseguenze gravissime.

Da molto tempo le più alte autorità burundesi non esitano a utilizzare un linguaggio politico destinato a rivitalizzare le tensioni etniche contro i tutsi accusati di essere l’origine di tutti i mali burundesi e li accusano di voler distruggere la democrazia e prendere il potere con l’appoggio di potenze straniere. Queste accuse mai provate hanno l’obiettivo di strumentalizzare la questione etnica hutu tutsi e presentare gli hutu come vittime. Nonostante che l’opposizione sia per la maggioranza composta da hutu, il regime si scaglia senza sosta contro la minoranza tutsi. Una politica che sempre più sembra il preambolo per realizzare l’irreparabile: il genocidio politico etnico.

Inutile sperare sulla buona coscienza del regime e dubitare sulla fattibilità del progetto genocidiario che, storicamente, non è mai spontaneo ma preparato e creato artificialmente. Il genocidio è l’epilogo di una crisi prolungata inserita su antichi odi etnici e di una politica razziale tesa a colpevolizzare una parte della popolazione etnicamente identificabile, promuovere violenza e violazioni dei diritti umani, diffondere odi etnici e preparare il massacro di massa.

Episodi incontestabili sono già successi rivelando questa deriva e il pericolo di un genocidio. Tra i più spettacolari le manifestazioni delle milizie Imbonerakure e i loro slogan incitanti a mettere in cinta le donne dell’opposizione per far nascere dei futuri miliziani Imbonerakure. Un appello allo stupro collettivo che è divenuto una arma di guerra in Burundi e in tutta la regione. Non possiamo immaginare che tali propositi siano stati pronunciati senza un consenso preventivo del governo, che non ha sanzionato gli autori di questo incitamento alle stupro collettivo.

Un altro insidioso episodio destinato a risvegliare l’odio etnico, ha attirato l’attenzione degli osservatori internazionali. Durante gli accordi di pace ad Arusha nel 2000 si era deciso di erigere un monumento in orrore di tutte le vittime della guerra civile. Il regime di Nkurunziza qualche giorno fa ha inaugurato un monumento per ricordare le vittime hutu delle violenze del 1972. Si tratta di aumentare la divisione tra i burundesi, strumentalizzando le vittime. Quale infamia!

Un appello alla comunità internazionale.

 Il regime di Bujumbura resta sordo dinnanzi a tutti gli sforzi della comunità internazionale destinati a fermare questa deriva di violenza nel Paese. Delle missioni di alto livello sono state effettuate dal Consiglio di Sicurezza ONU, dall’Unione Africana e altre istanze internazionali e regionali per fermare queste violenze e prevenire delle peggiori. Nello stesso spirito sono state prese delle risoluzioni economiche che si sono scontrate contro l’intransigenza della dittatura burundese. Tutti gli sforzi di mediazione e di pace sono stati boicottati.

Dinnanzi a questo sistematico boicottaggio del potere e al rischio troppo elevato di un genocidio politico etnico a grande scala, la comunità internazionale si trova nell’obbligo morale di adottare misure urgenti per proteggere la popolazione burundese. La storia recente dimostra che nei Paesi della regione il genocidio non è un concetto astratto. L’esempio del genocidio dei tutsi in Rwanda nel 1994 ce lo ricorda dolorosamente.

Di conseguenza un appello urgente è lanciato alla comunità internazionale e ai Paesi democratici del mondo intero per:

  • Dissuadere il regime di Nkurunziza a non oltrepassare la linea rossa approvando un emendamento che sopprima nella attuale Costituzione tutti i riferimenti al numero di mandati presidenziali.
  • Domandare alla Comunità Economico dell’Africa Orientale di esigere da Nkurunziza l’accettazione di negoziati di pace inclusivi e senza condizioni. In caso di rifiuto, la EAC deve decretare un embargo economico e sulle armi contro il Burundi.
  • Mettere in applicazione la decisione della Commissione dell’Unione Africana di dispiegare in Burundi una forza di mantenimento della pace di 5000 uomini.
  • Inviare in Burundi senza ulteriori ritardi osservatori delle Nazioni Unite, come è stato previsto da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.
  • Esigere dal Consiglio di Sicurezza di prendere tutte le misure necessarie per onorare la sua obbligazione di proteggere il popolo burundese.
  • Domandare al Consiglio di Sicurezza di contattare la Corte Penale Internazionale per accelerare le indagini preliminari riguardanti i dossier già depositati dalle vittime della repressione.
  • Domandare a tutti i Paesi democratici di rinforzare le sanzioni contro il Burundi, e contro certi personaggi del regime identificati come autori di crimini di competenza del diritto internazionale. Queste sanzioni devono includere missioni ufficiali per dissuadere il regime a interrompere le sue azioni criminali.

I firmatari di questo appello intendono vedere delle azioni immediate di tutti gli attori internazionali interessati, attirando la loro attenzione sull’imminenza della catastrofe che si sta per abbattere sul Burundi e sulla regione se nulla sarà fatto. Domani sarà troppo tardi.

1. Louis MICHEL

2. Charles GOERENS

3. Gérard DEPREZ

4. Javier NART

5. Hilde VAUTMANS

6. Nathalie GRIESBECK

7. Marie ARENA

8. Marc TARABELLA

9. Cecile KYENGE Kashetu

10. Juan Fernando LÓPEZ AGUILAR

11. Maurice PONGA

12. Mariya GABRIEL

13. Michèle RIVASI

© Riproduzione riservata

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