Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Set 15
di Fulvio Beltrami
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Ufficialmente la crisi che attanaglia il piccolo Paese nel cuore dell’Africa è iniziata nell’aprile 2015 quando scoppiarono proteste popolari di massa. La causa dei motti popolari fu la decisione del Presidente Pierre Nkurunziza di presentarsi ad un terzo mandato. La Costituzione ne prevedeva solo due mentre gli accordi di pace di Arusha (Tanzania) del 2000 sancivano un equilibrio di potere tra le due etnie, hutu e tutsi, e un’alternanza alla Presidenza. Gli accordi di pace firmati nel 2000 grazie alla mediazione di Stati Uniti, di Nelson Mandela e della Comunità di Sant’Egidio, mettevano fine a una guerra etnica che durava dall’ottobre 1993 quando il presidente Hutu Melchior Ndadaye fu ucciso da tre ufficiali dell’esercito sotto il controllo tutsi.
Il cruento assassinio di Ndadaye (impiccato e ucciso a baionettate) fu considerato dagli autori come un’azione preventiva. All’epoca i tutsi controllavano l’esercito considerandolo l’unica garanzia contro i massacri etnici attuati dagli estremisti tutsi in collaborazione con il regime HutuPower ruandese di Juvénal Habyarimana. Ndadaye, leader del FRODEBU era stato democraticamente eletto nel luglio del 1993.
Nei primi 100 giorni del suo mandato aveva promosso una pericolosa retorica HutuPower. Nel vicino Rwanda il regime stava combattendo i ribelli del Fronte Patriottico Ruandese guidati da Paul Kagame. L’estremismo hutu si stava rafforzando. Si parlava già di centinaia di migliaia di cittadini ruandesi inseriti nella liste della morte. In quel contesto vi erano forti rischi che il Presidente Ndadaye provocasse delle pulizie etniche contro i tutsi per ‘ripulire’ il Paese incoraggiato dal regime ruandese.
Nei successivi 4 anni e 8 mesi furono eletti 4 Presidenti Hutu (François Ngeze 6 giorni, Sylvie Kinigi 101 giorni, Cyprien Ntaryamira 60 giorni e Sylvestre Ntibantunganya 2 anni e 101 giorni) mentre la guerra civile imperversava. Per stabilizzare il Paese, il Maggiore tutsi Pierre Buyoya, (già autore di un colpo di Stato nel 1987 contro il Colonello Presidente tutsi Jean-Baptiste Bagaza), attuò un secondo colpo di Stato con il beneplacito di Stati Uniti, Italia, Inghilterra e Vaticano. Fu un golpe incruento e concordato. Il Presidente Sylvestre Ntibantunganya, informato preventivamente dallo stesso Boyoya, non organizzò la resistenza. Si limitò a rifugiarsi presso l’Ambasciata degli Stati Uniti come da copione prestabilito.
Piere Nkurunziza, ex professore di educazione fisica, si aggregò nel 2001 alle milizie delle Forze di Difesa della Democrazia (FDD) e al partito estremista hutu Consiglio Nazionale di Difesa della Democrazia (CNDD). Il FDD contava all’epoca 25.000 uomini sotto il comando di Jean-Bosco Ndayikengurikie impegnati a combattere il governo.
In meno di un anno Nkurunziza usurpò il comando costringendo Ndayikengurukiye ad una scissione che gli risultò fatale. Il fondatore delle FDD rimase con soli 5.000 uomini, scomparendo dalla scena politica del Burundi. Nel 2002 Nkurunziza al comando di 20.000 miliziani, per aumentare il suo prestigio a livello internazionale, firmò una tregua con il Governo di Pierre Buyoya, facendo intendere che fosse il primo passo verso dei colloqui di pace.
Al contrario la tregua fu utilizzata per rifornirsi di armi, munizioni, reclutare nuovi uomini. Preso il controllo del CNDD-FDD, Nkurunziza rafforzò all’interno del partito armato l’ideologia di morte ruandese Hutupower del 1957 (la base teorica del genocidio ruandese). Per imporre questa ideologia, Nkurunziza isolò il gruppo fondatore del partito composto per la maggior parte da intellettuali hutu di Bururi, regione sud del Burundi, guidati da Leonard Nyangoma. Vennero sostituiti con estremisti hutu di Ngozi, città natale di Nkurunziza.
Per 10 anni portò avanti una spietata guerriglia contro le forze regolari. Una resistenza armata costellata da massacri etnici ordinati da Nkurunziza. L’odio che l’ex professore di educazione fisica serbava verso i tutsi veniva espresso trucidando civili inermi. Speso donne, vecchi, bambini.
Nkurunziza è di etnia mista (padre Hutu, madre Tutsi). In tenera età vide uccidere suo padre da dei soldati tutsi. Visse durante un ventennio di governi a maggioranza Tusti costellati da reciproche pulizie etniche e massacri reciproci. Si formò durante la sua giovinezza impregnato del ‘Male Burundese’ come viene definita l’incapacità da parte del popolo burundese di abbandonare il ciclo di odi e vendette etniche per costruire una Nazione multietnica dove la coesistenza non sia un sogno ma una consolidata realtà.
Il ‘Male Burundese’ si origina con il colonialismo belga quando vengono sovvertiti i delicatissimi equilibri di potere tra hutu e tutsi che assicuravano la pace interna ai regni ruandesi pre-coloniali. Da sempre la popolazione del Rwanda vede una netta maggioranza di hutu (85%), mentre i tutsi sono il 13% della popolazione. I Batwa (pigmei) il 2%.
Trattasi dei sopravvissuti allo sterminio della popolazione originaria del Paese attuato dalle migrazioni bantu (hutu) e nilotiche (tutsi) avvenute migliaia di anni fa. Il colonialismo belga, per meglio regnare, favorisce i tutsi. Nel periodo post-indipendenza si sceglie di favorire gli hutu in quanto i primi nutrivano chiare tendenze nazionalistiche dannose per il mantenimento di servitù economica della ex colonia belga.
I numerosi crimini di guerra ordinati da Nkurunziza gli procurarono una condanna a morte emessa dal Tribunale di Bujumbura durante un processo in contumacia. Condanna basata su testimonianze e prove inconfutabili, annullata dallo stesso Nkurunziza quando assunse la carica di Presidente. Per sentirsi maggiormente al sicuro, il dittatore abolì la pena di morte nell’aprile 2009.
All’epoca la comunità internazionale salutò positivamente questa decisione credendo che fosse un passo verso il rafforzamento dei diritti umani in Burundi. In realtà era solo un’assicurazione necessaria a proteggere Nkurunziza da eventuali revival giuridici contro di lui.
Nel 2017 utilizzò la stessa tecnica per sottrarsi alla inchiesta giudiziaria per crimini contro l’umanità varata presso la Corte Penale Internazionale. Per evitare qualsiasi problema giuridico, questa volta a livello internazionale, decretò l’uscita del Burundi dalla CPI. La tattica fu ripetuta lo scorso anno: incalzato dalle indagini delle Nazioni Unite per i crimini contro l’umanità in corso, Nkurunziza ordinò la chiusura degli uffici della ex capitale Bujumbura dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani.
Come uno spietato assassino ha potuto raggiungere i massimi vertici dello Stato non avendo vinto militarmente? Nkurunziza conquistò la Presidenza grazie agli accordi di pace di Arusha del 2000. Questi accordi dovevano servire a porre fine non solo alla guerra civile che durava da ormai 10 anni ma anche al ciclo di violenze etniche che caratterizzava la storia post coloniale del Burundi. Gli accordi si basavano su un complicato sistema di alternanza al potere. Un’alternanza che doveva divenire una efficace medicina contro il ‘Male Burundese’.
Nella nomina del Presidente vi era la necessità (condivisa da tutti) di eleggere un Hutu. Gli Stati Uniti, Nelson Mandela e la Comunità di Sant’Egidio scelsero il male minore, Pierre Nkurunziza, in quanto l’altra grande formazione ribelle hutu, le Forze Nazionali di Liberazione (FNL) interpretava l’ideologia HutuPower in maniera più estremistica rispetto al CNDD-FDD. L’errore che la comunità internazionale commise fu quello di scegliere tra due criminali di guerra, Nkurunziza e Cossan Kabura, leader del FNL. A nessuno venne in mente di puntare su politici hutu moderati non infetti da atavico odio etnico. A posteriori, per scusarsi, si disse che Nkurunziza fu una scelta obbligata. Se non fosse stato nominato Presidente avrebbe ripreso la guerra civile.
Una possibilità assai probabile ma che avrebbe messo il leader del CNDD-FDD in una posizione fuorilegge. Avrebbe combattuto un governo hutu, democraticamente legittimato. La popolazione era allo stremo delle forze dopo dieci anni di guerra e desiderava solo la pace. Le masse hutu non avrebbero compreso la continuazione delle ostilità contro un governo hutu da loro eletto. Il CNDD-FDD avrebbe progressivamente perduto il sostegno popolare. Sarebbe diventato un gruppo terroristico. Avrebbe lanciato sporadici attacchi dalle sue basi all’est del Congo. Sarebbero iniziate le defezioni tra i suoi ranghi creando le basi per un’offensiva militare governativa risoluta e decisiva. Questo lo scenario più probabile se non fosse diventato Presidente.
La scelta del male minore, Nkurunziza si rivelò un disastro. Un volta giunto al potere, il 26 agosto 2005, Nkurunziza potè esprimere tutta la sua natura violenta e dar sfogo ai sentimenti di vendetta derivanti dalle turbe psicologiche innescate durante la sua gioventù da violenze etniche subite.
Mentre Stati Uniti e Sud Africa presero le distanze dal dittatore dopo le elezioni farsa del 2010 quando Nkurunziza ottenne il secondo mandato, Sant’Egidio, pur iniziando a comprendere la vera natura del Capo di Stato burundese, continuò ad appoggiarlo fino agli inizi del 2017. Eppure i massacri etnici-politici erano all’ordine del giorno. Già 300.000 burundesi erano fuggiti nei Paesi vicini per non essere massacrati dal regime HutuPower. I profughi ora sono oltre i 400.000.
L’appoggio ad oltranza di Sant’Egidio era basato sulla convinzione di poter ancora frenare gli aspetti più aberranti del dittatore e di convincerlo a rispettare gli accordi di Arusha dopo due mandati consecutivi. Alla base di questa scelta non vi era una condivisione con l’ideologia HutuPower, ma la speranza di poter ancora rimediare in un qualche modo.
Nella scelta di sostenere ancora il dittatore potrebbero aver giocato un ruolo dei missionari italiani appartenenti all’ordine dei Saveriani di Kamenge noti per il loro estremismo politico e le loro aperte simpatie HutuPower. Ora i saveriani hanno abbandonato queste prese di posizione grazie all’intervento di Papa Francesco. Il Santo Padre sta imponendo un nuovo corso nella Chiesa Cattolica della Regione dei Grandi Laghi dopo lo storico incontro con Paul Kagame. Il nuovo corso si basa sulla fine delle rivalità etniche e l’integrazione socio economica dei popoli della regione.
I primi dubbi sulla scelta fatta da Sant’Egidio furono espressi da Matteo Maria Zuppi, attuale Arcivescovo di Bologna. L’appoggio di Sant’Egidio a Nkurunziza finì nel 2017 grazie ad un serio dibattito interno alla Comunità. Alcuni media avevano iniziato ad interrogarsi sulle ragioni che spingevano una rispettabile associazione cattolica famosa per promuovere la pace a sostenere un sanguinario dittatore africano. In quel periodo Sant’Egidio rifiutò interviste sull’argomento, ma comprese che l’attenzione mediatica iniziava ad aumentare. Continuare ad appoggiare il dittatore burundese avrebbe messo a repentaglio la reputazione della Comunità.
Questo breve riassunto della storia recente del Burundi è necessario per far comprendere che la crisi burundese non nasce nell’aprile 2015, ma che ha radici nel lontano ottobre 1993 con la morte di Ndadaye. Purtroppo anche quest’ultima affermazione è semplicistica. La vera origine del ‘Male Burundese’ è datata 13 Ottobre 1961, giorno della morte del Principe Louis Rwagasore. Per spiegare la complicata storia del Burundi post-colonialismo occorrerebbe un vero e proprio saggio storico. Di certo non può essere esaurientemente spiegata nel ristretto ambito di un articolo se non tramite semplificazioni storiche.
Prendiamo come buona la semplificazione che data l’inizio dell’attuale crisi politica nell’aprile 2015. A distanza di 4 anni possiamo affermare che la strategia di Pierre Nkurunziza è stata funzionale per mantenersi al potere. Durante i suoi tre mandati presidenziali, Nkurunziza ha dimostrato la stessa abilità (in campo politico) di quella detenuta in campo militare durante la guerra civile.
Approfittando della profonda divisione tra la classe tutsi e l’analfabetismo della masse hutu, Nkurunziza ha progressivamente imposto l’ideologia razziale HutuPower a dosi graduali fino ad arrivare nel 2018 a chiarire il suo progetto politico: la creazione di un Regno monoetnico Hutu con lui Prete Re per diritto divino.
Nkurunziza ha un fanatico atteggiamento verso la religione. E’ convinto che Dio gli abbia affidato la missione di forgiare una grande Nazione Hutu. Si è autoproclamato pastore e fondato un nuovo culto, la Chiesa di Rocher, di cui sua moglie ricopre il ruolo di Grande Sacerdotessa. Nella sua residenza a Bujumbura gruppi di preghiera si danno il cambio giorno e notte per pregare per il Padre della Nazione e per il Burundi.
Sbaragliare l’opposizione è stato un gioco da ragazzi. Già nel 2010 Nkurunziza aveva capito quanto inconsistenti fossero i partiti di opposizione hutu e tutsi e la società civile. Gli ‘opposant’ scelsero di non partecipare alle elezioni farsa del 2010, attendendo la fine del secondo mandato. Erano convinti che Nkurunziza avesse rispettato gli accordi di pace di Arusha e si fosse messo da parte. La storia dimostra quanto opposizione e società civile burundesi fossero lontani all’epoca nel comprendere le reali intenzioni del dittatore.
L’unica forza veramente temibile, il FNL, fu combattuta militarmente ricacciando i miliziani nell’est del Congo e impedendogli di conquistare il Burundi. Spesso gli storiografi ignorano che la guerra civile burundese non è finita nel 2004. È continuata fino al dicembre 2008 trasformandosi da guerra etnica a guerra tra hutu. Nkurunziza seppe tenere a bada anche l’ala politica del FNL nata dalla scissione del 2002 e guidata da Agathon Rwasa.
Mentre l’ala militare veniva combattuta senza pietà, l’atteggiamento rivolto verso a Rwasa era di tutt’altra natura. Fino al 2016 non si registrano particolari repressioni verso Rwasa e il suo partito, ma, piuttosto, tentativi ben riusciti di inglobarlo a fasi alterne all’interno del regime. Solo nel 2018, quando Rwasa fonda un temibile partito hutu concorrente al CNDD-FDD, Nkurunziza decide di reprimere nel sangue l’iniziativa iniziando una serie interminabile di assassini politici di fedeli a Rwasa.
Durante questi 15 anni di potere, Nkurunziza ha silenziosamente eliminato tutti i moderati all’interno del suo partito. Se il FNL era apertamente HutuPower, nel CNDD-FDD esistevano varie correnti di pensiero. Tra esse forte era la corrente moderata hutu. Tale corrente è stata sterminata nel più assoluto silenzio. Chi è stato ucciso, chi costretto all’esilio, chi all’ubbidienza cieca al leader supremo per paura di venir ucciso. Allo stato attuale esiste una debole quinta colonna all’interno del CNDD-FDD che si limita a importanti fughe di notizie quando ne ha l’occasione. Di certo questa opposizione latente non è attualmente in grado di rovesciare Nkurunziza.
L’ex professore di educazione fisica si è dimostrato abile anche nel far fallire il golpe tentato da parte dell’esercito nel maggio 2015 e di contenere sul nascere l’opposizione armata del FNL, FOREBU e RED Tabara. Nel secondo semestre 2015 ha attuato una efficace politica del terrore riuscendo ad eliminare l’opposizione politica, la società civile, le voci critiche, i media indipendenti, le associazioni in difesa dei diritti umani. In meno di un anno ha creato un deserto su cui regnare.
Nkurunziza è stato sorprendentemente abile anche a controllare e reprimere i più estremisti all’interno del suo partito. Il principio di base è semplice da comprendere: la legittimità politica di Nkurunziza deriva dall’estremismo HutuPower, ma solo lui deve essere individuato dalle masse hutu come il sincero difensore dalla ‘tirannia’ della classe tutsi burundese e baluardo contro l’imperialismo del vicino Rwanda.
Per mantenere questo primato non ha esitato un solo istante ad eliminare fisicamente e personalmente il Generale Adolphe Nshimirimana nell’agosto 2015. Numero due del regime burundese e braccio destro dell’ex Presidente Nkurunziza, Nshimirimana aveva svolto una parte fondamentale per bloccare il fallito colpo di stato del 13 maggio 2015 ad opera del Generale Godefroid Niyombare.
Fu il principale ideatore della sanguinaria e orrenda repressione delle proteste popolari che scoppiarono nell’aprile 2015, quando Pierre Nkurunziza, al termine del suo secondo mandato presidenziale, annunciò l’intenzione di effettuare una riforma costituzionale sui limiti della Presidenza per poter presentare la sua candidatura alle imminenti elezioni.
Il Generale Adolphe era diventato troppo potente e su di lui gravava il sospetto che volesse sostituirsi a Nkurunziza. Il pericolo (vero o presunto che fosse) fu evitato con un colpo di pistola sparato dal dittatore in pieno viso di Adolphe durante una riunione alla Presidenza.
Nkurunziza è riuscito a controllare anche il successivo numero due del regime, il Generale Alain Guillaume Bunyoni (oggetto dell’inchiesta giudiziaria della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità). Nonostante Bunyoni abbia il controllo delle forze di polizia e dei servizi segreti e sia in ottimi rapporti con il gruppo terroristico ruandese FDLR, si limita a mantenere la seconda posizione nel partito, evitando di rendere troppo evidenti le sue mire di diventare il Numero Uno. Bunyoni è consapevole che potrebbe fare la fine del Generale Adolphe.
L’ex professore di ginnastica ha dimostrato una grezza, ma efficace capacità di tessere alleanze internazionali che permettono a lui e al suo regime di sopravvivere e di contrastare le aperte ostilità delle Nazione Unite, Stati Uniti e Unione Europea. Turchia, Russia, Egitto, Cina: tutti divenuti alleati e complici grazie a future promesse di sfruttamento dei giacimenti di nichel e terre rare che il Burundi possiede anche se mai sfruttati.
Nkurunziza è riuscito anche a far leva sulla storica anche se anacronistica alleanza ideologica tra estremisti Hutu e Bantu della Tanzania e del Sudafrica. Queste alleanze strategiche hanno permesso al dittatore di tener testa alle potenze occidentali, alle Nazioni Unite e al Rwanda. È riuscito addirittura a giocare su divisioni e competizioni tra Ruwnda e Uganda risalenti alla disputa di Kisangani nel 2002 per le risorse naturali congolesi. Sfruttando la ripresa delle guerra fredda tra Kampala e Kigali nel 2018, il dittatore burundese è riuscito ad assicurarsi una ambigua amicizia del presidente ugandese Yoweri Kaguta Museveni in chiave anti-ruandese.
È riuscito a far tacere le ONG internazionale obbligandole a prestare soccorso umanitario in collaborazione con le autorità di regime e ad assumere il personale su base etnica privilegiando gli hutu. Gli espatriati delle ONG operano in un contesto di estrema violenza dove ogni notte persone vengono barbaramente trucidate. Si deve far finta di non vedere e di non sentire. Alcune ONG hanno scelto di interrompere le attività per non fare il gioco del regime.
Altre hanno scelto di rimanere nonostante che i fondi internazionali per gli aiuti umanitari siano crollati. Anche le agenzie ONU sono rimaste nonostante la chiusura degli uffici dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani. Una decisione che trova le sue ragioni umanitarie: se le agenzie ONU interrompessero gli aiuti umanitari quel poco di assistenza sanitaria, educativa e alimentare crollerebbe. Anche l’opposizione burundese concorda con la scelta di rimanere fatta dalle agenzie ONU.
Per l’attuale regime, dalle ceneri della Repubblica deve sorgere un Regno Hutu dove non vi sia posto per i tutsi. Questa minoranza etnica o se ne va in Ruanda (o dove più gli aggrada) oppure verrà eliminata. Molti tutsi sono già fuggiti dal Paese. Quelli che restano sono usati come scudi umani. Nkurunziza ha sapientemente giocato la carta del genocidio, ventilando la minaccia qualora fosse attaccato da forze esterne o se potenze straniere appoggiassero un’offensiva dell’opposizione armata. Questa minaccia ha finora bloccato ogni azione militare contro il regime. La comunità internazionale vuole evitare un altro Rwanda 1994. Questa è una importante carta giocata dal dittatore. Allo stato attuale è possibile solo la soluzione militare per rimuoverlo dal potere. Questa viene bloccata dalla minaccia del genocidio.
Nonostante le promesse fatte nel 2018 di non presentarsi alle elezioni presidenziali del 2020 in cerca di un quarto mandato, in realtà Nkurunziza parteciperà alle elezioni con la vittoria già in tasca. Il suo obiettivo non è il quarto mandato, ma una radicale trasformazione del potere. Da Repubblica Presidenziale vuole trasformare il Burundi in un Regno Hutu.
Nel luglio 2018 si parlava della candidatura di sua moglie, Denise Nkurunziza, come stratagemma per mantenersi al potere. Una ipotesi ora totalmente scartata. Per realizzare il sogno del Regno Hutu, Nkurunziza ha affidato a pseudo esperti storiografi burundesi e belgi, il compito di creare una irrealistica mitologia di antichi regni hutu mai esistiti. Una epopea hutu pre-coloniale del tutto inventata sul modello della epopea teutonica, altrettanto folle e irreale, che avevano inventato i nazisti per giustificare il loro diritto divino a comandare sul mondo intero e i loro crimini contro l’umanità.
Nkurunziza è stato altrettanto abile nel comprendere l’importanza della propaganda di regime e del sapiente utilizzo dei social media. Ha tolto l’incarico al suo consigliere Willy Nyamitwe che si era montato troppo la testa tra il 2015 e il 2016, affidandolo a professionisti del settore: una agenzia di comunicazioni messa a disposizione dal governo cinese. È stato creato un fitto network di simpatizzanti in Patria e tra la diaspora. Utilizzando spesso profili falsi questi simpatizzanti diffondono odio etnico su Facebook, Twitter e altri social media. Sono addestrati anche a scagliarsi con un coro di proteste, smentite, ingiurie e minacce contro ogni pubblicazione che informa sui crimini commessi dal regime. I falsi profili sono una garanzia. Molti temono di essere riconosciuti e di venire processati qualora il regime cadesse.
E che dire del capolavoro di diplomazia estera che ha permesso al regime di ritrovare l’alleanza politica e militare della Francia perduta nel 2016 per volontà dell’ex Presidente Francois Hollande? Ora la Francia è nuovamente al fianco del regime HutuPower. È ripresa la Cooperazione Militare. I primi fondi (25 milioni di Euro) sono già arrivati camuffati in sostegno all’educazione. In Burundi circolano già consiglieri militari francesi. Una scelta pericolosa che potrebbe compromettere la distensione in atto con il Rwanda e potrebbe coinvolgere nuovamente la Francia in un secondo genocidio nella regione dei Grandi Laghi a distanza di un quarto di secolo.
Ad una visione esterna è innegabile che Pierre Nkurunziza ha il pieno controllo del Burundi e compie efferati crimini contro l’umanità senza timori. Una idea che ha in testa è molto semplice e chiara: il Burundi agli Hutu e il Rwanda ai Tutsi. Almeno fino a quando i rapporti di forza non saranno a lui favorevoli permettendogli di regolare i conti con Paul Kagame e di terminare la ‘missione’ di Aghate Habyarimana. Missione fallita nel 1994 dopo ‘appena’ un milione di morti tra hutu moderati e tutsi.
Agathe Kanziga in Habyarimana, moglie di Juvenal Habyarimana, era in realtà a capo del potente clan mafioso degli Hutu del Nord denominato Akazu (piccola casa in Kinyarwanda). Gli Akazu utilizzavano l’ideologia HutuPower per proteggere i loro business miliardari mentre la popolazione hutu viveva in una povertà degradante. Quando il marito Juvenal firmò ad Arusha (Tanzania) la pace con i guerriglieri tutsi di Paul Kagame che doveva avviare una governo di unità nazionale, la dolce maestrina organizzò l’assassinio del Presidente il 6 aprile 1994 dando il via al genocidio. Attualmente è in Francia protetta dal governo di Parigi.
Eppure dietro le apparenze si nasconde un serio e giustificato dubbio. Nkurunziza comanda veramente il Burundi?
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