Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Mar 31
di Fulvio Beltrami
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Il 27 aprile 1972 una ribellione di poliziotti hutu scoppiò nelle città di Rumonge e Nyanza-Lac al confine con la Tanzania. I ribelli ricevettero rinforzi da una guerriglia hutu entrata in Burundi dalla Tanzania e da mercenari congolesi appartenenti al signore della guerra Pierre Mulele che aveva tentato nel 1964 – 1965 di rendere indipendente la provincia del Kivu, est del Congo (attualmente composta dalle provincie del Nord Kivu e Sud Kivu). I territori epicentro della ribellione furono dichiarati “indipendenti” proclamando la Repubblica di Martyazo. I leader della ribellione erano studenti universitari burundesi esiliati in Tanzania: Celius Mpasha, Albert Butoyi, Daniel Ndaburiye e l’ex parlamentare Ezechias Biyorero alias Yussuf Ibrahim. Questi leader avevano creato stretti legami con il governo ruandese del presidente Grégoire Kayibanda che accettò di finanziare la ribellione nel paese gemello: il Burundi. Il presidente Kayibanda fu il primo leader hutu a conquistare il potere in Rwanda nel 1969 dopo essere stato tra gli organizzatori del referendum del 1961 che aboli’ la monarchia costringendo il re Kigali V Ndahindurwa ad abdicare a favore della Repubblica. Kayibanda, spesso accusato di essere stato un moderato, in realtà organizzò le milizie genocidarie HutuPower per conquistate il vicino Burundi. Fu destituito dal Generale Juvénal Habyarimana nel colpo di stato avvenuto nel luglio 1973.
Il regime di Kayibanda addestrò e armò i ribelli hutu che invasero il Burundi a partire dalla Tanzania, convinse il presidente tanzaniano Julius Nyarere a sostenere l’avventura militare in nome della sacra alleanza tra hutu e popolazioni bantu contro il comune nemico: i tutsi, e pagò i servizi dei mercenari congolesi: i taglia gole di Mulele. Il gruppo ribelle che invase il Burundi era composto da 400 miliziani a cui si aggiunsero i 232 poliziotti ammutinati a Rumonge e Nyanza-Lac. Una volta riunitesi le forze genocidarie coinvolsero contadini e operai hutu per espandere la rivolta provinciale a tutto il Paese. In pochi giorni le forze genocidarie contavano circa 8.000 uomini a livello nazionale. Si tentò di convincere i soldati hutu a ribellarsi ai loro ufficiali tutsi. Nonostante il verificarsi di ribellioni in alcune caserme, le rivolte all’interno del esercito furono casi marginali ed isolati. Gli ufficiali tutsi riuscirono a mantenere il controllo delle Forze Armate. La maggioranza dei soldati e sotto ufficiali hutu decisero che avevano maggior interesse nel sostenere il governo del presidente Michel Micombero che ad unirsi alla ribellione HutuPower orchestrata da Kigali e Dodoma (capitale della Tanzania).
I civili arruolati dai guerriglieri hutu furono organizzati in bande di 50, 100 uomini guidate da esperti militari tra cui vari elementi dell’esercito genocidario hutu ruandese. Queste bande seminarono terrore e morte nei territori “liberati” uccidendo in meno di una settimana 15.000 cittadini burundesi appartenenti alla classe sociale tutsi. Queste bande erano principalmente armate di bastoni spacca teste e machete forniti dal governo hutu di Kigali. Il carattere genocidario della ribellione hutu del 1972 è innegabile. I piani di Kigali erano quelli di unificare i due Paesi gemelli ritornando alle glorie pre coloniali del Urundi ma con una sostanziale differenza: la creazione di una Nazione non più governata dall’equilibrio tra le due classi sociali ma dal HutuPower che prevedeva l’annientamento totale della minoranza tutsi. Preparativi per far scattare un genocidio parallelo erano in corso in Rwanda. Piani mai attuati dopo il fallimento della ribellione hutu in Burundi e rinviati fino al fatidico aprile 1994.
La natura genocidaria della ribellione fu immediatamente compresa dal presidente Michel Micombero di origine tutsi. Il 29 aprile fu dichiarata la legge marziale su tutto il territorio nazionale e il 30 aprile truppe scelte dell’esercito mossero contro gli insorti. A debellare la ribellione furono inviati i reparti scelti composti a maggioranza da tutsi supportati da reparti misti di cui lealtà dei soldati e sotto ufficiali hutu era al di sopra di ogni sospetto. Le compagnie miste non “sicure” rimasero confinate nelle caserme e le armi chiuse nei depositi sorvegliati da truppe d'élite tutsi. Negli stessi giorni la ribellione si diffuse a Gitega e nella capitale Bujumbura grazie al supporto dei ribelli congolesi di Mulele affiancati da 5.000 civili hutu in armi. A Gitega iniziarono i massacri etnici contro i tutsi cosi’ come in alcuni quartieri della capitale. Nelle prime 24 ore dell’attacco 3000 civili tutsi caderono sotto i colpi dei machete. Il governo fu costretto a richiamare una delle due divisioni dell’esercito inviate a debellare la ribellione ai confini con la Tanzania per dirottarla su Gitega, mentre la capitale veniva difesa dalla Guardia Presidenziale, soldati d'élite addestrati in Israele. Secondo alcune fonti storiche consiglieri militari israeliani parteciparono alla difesa della capitale invasa dalle orde genocidarie hutu.
In un consiglio di guerra convocato dal Presidente Micombero il 29 aprile lo Stato Maggiore dell’esercito e il partito tutsi al potere: UPRONA (Partito della Unione e del Progresso Nazionale) annunciarono il rischio di sopravvivenza per l’intera classe sociali tutsi: circa 1,2 milioni di persone e l’impellente necessità di fermare il genocidio. Come prima mossa Micombero dissolse il suo governo incaricando l’esercito (controllato dai tutsi) dell’esercizio amministrativo e della difesa del Burundi. Circa 18.000 soldati appoggiati da artiglieria pesante e da blindati furono impiegati nei tre fronti: Rumonge – Nyanza Lac, Gitega e Bujumbura. Riportata una facile vittoria nella capitale, l’esercito si concentrò su Gitega, Rumonge e Nyanza Lac, queste provincie gli ultimi bastioni genocidari hutu a cadere. L’offensiva iniziò il 30 aprile 1972. Gli ordini erano di abbattere i ribelli prendendo solo i prigionieri indispensabili per ottenere informazioni ma che non eccedessero il numero di 100 individui.
L’esercito repubblicano scatenò un inferno di ferro e fuoco contro le forze genocidarie bloccando l’offensiva ordinata dal regime HutuPower di Kigali, liberando le città e i territori occupati, riportando l’ordine democratico su l’intero paese in meno di dieci giorni. Il compito di sventare il genocidio contro i tutsi e debellare le forze mercenarie del Rwanda fu affidato a tre personaggi chiave della comunità tutsi burundese: il Generale Comandante dello Stato Maggiore dell’esercito: Thomas Ndabememye, al Ministro degli Interni: il Colonnello Albert Shibura e al Ministro della Informazione e Segretario esecutivo del partito tutsi UPRONA: Andrè Yanda. L’esercito repubblicano fu affiancato da una milizia para militare formata da giovani tutsi: la Gioventù Rivoluzionaria del Principe Rwagasore (IRR).
Tra il 30 aprile e il 2 maggio 1972 le operazioni militari si limitarono a evitare il genocidio e a sconfiggere le forze ribelli affiancate dai mercenari congolesi e ruandesi. Fu in una riunione dello Stato Maggiore e il presidente Micombero avvenuta nella serata del 2 maggio 1972 che prevalse la linea dura del Ministro degli Affari Esteri Artèmon Simbabaniye noto con il nome di “Hutu butcher” il macellaio di Hutu. Simbabaniye convinse che il governo doveva infliggere una punizione esemplare a tutti i cittadini di origine sociale hutu al fine di prevenire future ribellioni e tentativi di genocidio. Le proprizioni della mattanza di tutsi attuata in pochi giorni dalle forze genocidarie hutu ruandesi-burundesi e il concreto pericolo che le masse hutu si unissero al genocidio a livello nazionale, convinsero presidente, governo ed esercito che la linea estremistica tutsi di Simbabaniye fosse l’unica soluzione alla crisi.
La repressione che segui’ la sconfitta dei genocidari hutu e dei mercenari regionali fu spietata quanto ingiustificabile. La sconfitta delle forze genocidarie di per se allontanava il rischio di rivolta popolare e la possibilità di riprendere il genocidio. Nonostante questa evidente realtà dal 03 maggio al 12 maggio 1972, circa 300.000 cittadini hutu furono abbattuti in tutto il paese per “dare l’esempio”. I cadaveri abbandonati nelle strade crearono una emergenza sanitaria che costrinse il personale medico civile e militare a lottare contro l’insorgere di epidemie. Migliaia di corpi furono bruciati per evitare lo scoppio di colera, peste, e altre epidemie legate alla decomposizione dei corpi e al relativo inquinamento delle falde acquifere causato dai liquidi e resti umani. Non fu risparmiato nessuno, nemmeno i bambini sotto i cinque anni. Si identificavano le zone da “ripulire” che venivano prima accerchiate e poi attaccate. La carneficina terminava quando l’ultima vittima aveva tirato il suo ultimo respiro. Ogni attacco liquidava dai 6000 ai 12000 civili. La milizia giovanile tutsi JRR giocò un ruolo criminale di primo ordine nell’eccidio di civili, rendendosi responsabile anche dello sterminio di tutti i criminali comuni e prigionieri politici hutu presenti nelle prigioni.
La rappresaglia contro i civili hutu prese le dimensioni di un genocidio anche se questo non è mai stato storicamente ammesso dalla minoranza tutsi e dalla maggioranza dei settori dell’informazione mondiale. All’interno del genocidio contro gli hutu fu inserito il piano di annientamento della intellighenzia e della leadership politica hutu del Paese. Circa il 82% degli intellettuali, leader politici, dottori, professori universitari, maestri, borgomastri e ufficiali amministrativi hutu fu abbattuta in meno di una settimana. Tutti eliminati assieme alle loro famiglie nel tentativo di privare alla maggioranza hutu di una leadership capace di organizzare future ribellioni. Non furono risparmiati neanche i preti cattolici, questi ultimi vittime delle manipolazioni dei missionari e del clero occidentale presente in Burundi. All’epoca la Chiesa Cattolica aveva compiuto una gravissima scelta di campo creando nel 1957 il Manifesto Bahutu e predicando la rivoluzione sociale hutu contro i tutsi.
Riuscito nell’intento in Rwanda il Vaticano, tramite i missionari belgi, francesi e italiani operativi in Burundi, lavorava come quinta colonna a favore dell’avvento della ideologia razziale nazista e alla creazioni del Urundi hutu etnicamente puro. Il clero occidentale conosceva bene le conseguenze genocidarie di questa politica ma le consideravano un male minore rispetto al diabolico dominio dei “figli di Satana”: i tutsi. Durante il genocidio contro gli hutu decine di preti burundesi furono uccisi per il loro supporto attivo nel tentativo di genocidio contro i tutsi. Ironia della sorte, missionari e preti occidentali, fomentatori della rivolta hutu furono risparmiati dall’esercito e dalla milizia para militare tutsi per paura di conseguenze internazionali. Furono proprio questi complici occidentali delle forze genocidarie Hutu venute dalla Tanzania che si proposero come “credibili e indipendenti” testimoni oculari dell’Olocausto subito dagli hutu, offrendo all’opinione pubblica internazionale una loro versione partigiana degli avvenimenti che accuratamente nascondeva il tentativo genocidario dei ribelli hutu, presentando il genocidio attuato dai tutsi come premeditato. Al contrario il genocidio attuato dall’esercito e milizie tutsi era frutto di un criminale opportunismo politico affiorato dalla paura di estinzione condivisa da 1,2 milioni di persone.
Queste forze medioevali della Chiesa Cattolica sopravvissero alle innumerevoli crisi e conflitti che si sono succeduti nel Paese dal 1972 ai giorni nostri continuando per decenni a diffondere odio razziale, invocando il genocidio divino contro i figli di Satana e sostenendo partiti e governi genocidari da quello di Melchiorre Ndadaye a quello di Pierre Nkurunziza. Le forze reazionarie del potere temporale cattolico sono state indebolite e allontanate per volontà del Papa Francesco nel 2015 in piena crisi burundese, privando al regime illegittimo di Nkurunziza i servizi di un prezioso alleato. L’indebolimento e la distruzione attuata dall’interno, che ha coinvolto vittime illustre quali famose congregazioni e media cattolici, si è resa necessaria per imporre una visione di riconciliazione hutu tutsi, il superamento degli odi etnici e la promozione della integrazione sociale, politica ed economica a livello regionale. Una politica considerata da Papa Francesco più consona e rispettosa del Messaggio Evangelico.
Il crimine contro l’umanità commesso dal governo tutsi trova una parziale spiegazione sulla composizione provinciale dei suoi autori appartenenti alla élite di Bururi. I principali attori del genocidio contro gli hutu, precedentemente elencati, appartenevano al clan tutsi della provincia di Bururi e alla stessa collina di Matana. Il clan di Bururi era riuscito a penetrare l’esercito, le istituzioni democratiche, l’amministrazione, la polizia, la magistratura e il partito al potere, UPRONA creando la psicosi del rischio di Olocausto perenne contro i tutsi per poter comandare indisturbati. Fu il clan di Bururi che creò la milizia giovanile delle JRR con lo scopo ufficiale di offrire alla comunità tutsi di una struttura di autodifesa popolare. In realtà le JRR svolsero compiti genocidiari identici alla attuale milizia genocidaria HutuPower di Nkurunziza: le Imbonerakure. Il clan di Bururi era caratterizzato da un odio atavico contro la maggioranza hutu che non si differenziava dalla ideologia di morte del HutuPower. Giustamente alcuni storici africani coniarono l’appropriato termine di Tutsi-Power, l’altra faccia della ideologia genocidaria hutu.
L’avvento al potere del clan tutsi di Bururi e le ondate genocidarie del 1972 si inseriscono nella crisi di potere della classe dominante tutsi burundese tra gli Hima e i Banyaruguru. I primi fautori della Repubblica i secondi fedeli alla Monarchia. I clan tutsi Hima presero il sopravvento il 28 novembre 1966 grazie al colpo di stato attuato dal clan di Bururi guidato dal Capitano Michel Micombero futuro presidente burundese che pose fine alla dinastia dei Re Mwanutsa e alla Monarchia burundese. Durante la Prima Repubblica i clan Hima occuparono i posti di comando nel governo e nell’esercito impedendo agli intellettuali hutu la partecipazione alla vita politica del Paese e diminuendo il ruolo di comando detenuto storicamente dagli Banyaruguru i clan tutsi vicini alla famiglia reale. Nel luglio 1971 gli Hima distrussero le ultime sacche di potere Banyaruguru accusando i leader sopravvissuti di preparare un colpo di stato per re-instaurare la Monarchia. Furono fucilati nel gennaio 1972 a seguito della sentenza di morte pronunciata da un tribunale militare che organizzò un processo farsa contro le vittime.
Gli Hima erano paragonabili ai nazisti ruandesi del HutuPower in quanto sostenevano la superiorità tutsi, impedivano ogni ruolo della maggioranza hutu che non fosse di sudditanza. La sconfitta dei clan reali Banyaruguru privò al paese dell’equilibrio tra hutu e tutsi che era stato alla base della amministrazione del Burundi da parte della Monarchia, lasciando libero sfogo a correnti etniche apparentemente opposte ma aventi la stessa radice ideologica nazista di superiorità Hutu o Tutsi. Gli avvenimenti del 1972 sono stati soggetti a vari processi di revisionismo storico attuati dalle forze medioevali della Chiesa Cattolica con l’obiettivo di minimizzare il genocidio contro i tutsi ed esagerare quello subito dagli hutu. Questo criminale servizio di bassa propaganda elargito dai “diffusori del Verbo” ha contribuito al rafforzamento dei rancori che sono alla base della battaglia politica e della guerra civile che si sta consumando oggi in Burundi.
Il regime di Nkurunziza è ormai motivato dalla vendetta e dalla rivincita del 1972. L’alleanza con le forze ruandesi che perpetuarono il genocidio in Rwanda nel 1994: le FLDR ha accentuato questi spiriti di rivincita rendendoli irreversibili. Ora il regine CNDD-FDD è irreparabilmente orientato verso una soluzione genocidaria che stenta ad attuarsi come si dovrebbe a causa della mancata partecipazione delle masse contadine hutu che hanno compreso lo storico ruolo di vittime e carnefici a loro destinato dai propri dirigenti. Dall’altra parte l’opposizione democratica sta faticando a contenere le spinte estremiste Hima di una parte dei giovani tutsi che sognano di ritornare alle vecchie glorie del clan di Bururi. Entrambe le posizioni sono anacronistiche e criminali ma esiste una sostanziale differenza. I giovani Hima rappresentano una minoranza tra i tutsi e tra l’opposizione democratica composta da hutu e tutsi. Non ricevono nemmeno l’appoggio del governo ruandese orientato verso gruppi armati intere etnici. La situazione li rende politicamente e militarmente incapaci di nuocere alla nazione. Il regime CNDD-FDD, nonostante che anch’esso rappresenti una minoranza tra la popolazione hutu, detiene il potere e i mezzi per attuare il genocidio strisciante iniziato nel novembre 2015.
Al di la di faziose ricostruzioni storiche gli orrendi avvenimenti del 1972 sono in sintesi caratterizzati da un tentativo di genocidio contro i tutsi attuato dagli estremisti hutu fermato da un contro genocidio attuato dall’esercito e dal governo tutsi. Quest’ultimo di gravità innegabilmente maggiore rispetto al primo e sotto il punto di vista militare totalmente inutile. L’elemento scatenante del dramma rimane comunque l’ideologia HutuPower fomentata dal Rwanda e dalla Chiesa Cattolica dell’epoca. Circa 58.000 civili hutu burundesi si rifugiarono in Rwanda definita all’epoca la Hutu Land (lo Stato Hutu). Le tensioni tra il Rwanda a guida hutu e il Burundi a guida tutsi aumentarono sfiorando a più riprese la guerra. I rifugiati hutu burundesi furono vittima di propaganda etnica elargita dal governo nazista ruandese che li riorganizzò in una guerriglia genocidaria che tentò di conquistare il Burundi e attuare il genocidio dei tutsi nel maggio 1973. Tentativo di invasione debellato sul nascere dall’esercito tutsi del Burundi.
I rifugiati hutu burundesi servirono come mano d’opera nel genocidio del regime nazista perpetuato nel 1994. Alla liberazione del paese da parte del Fronte Patriottico Ruandese guidato dal leader guerrigliero Paul Kagame i rifugiati hutu burundesi emigrarono in Zaire e Tanzania. I primi formarono la base di reclutamento del gruppo terroristico ruandese FDLR, i secondi la base di reclutamento della guerriglia genocidaria hutu CNDD-FDD attualmente al potere e causa degli orrori e dei crimini contro l’umanità perpetuati oggi nel Burundi nel tentativo di conservare il potere contro la volontà popolare. La popolazione burundese (hutu e tutsi) unita dall’obiettivo di ripristinare democrazia e pace sta lottando per superare il trauma collettivo del 1972 trasformando gli avvenimenti genocidari non in un pretesto di vendetta ma come una lezione storica da evitare a tutti i costi.
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