Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Gen 13
di Fulvio Beltrami
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Le previsioni della Banca Mondiale per il 2014 parlano di una crescita economica media nel Continente del 5%. una cifra attualmente impensabile per le economie occidentali ormai a crescita zero.
Da un decennio l’Africa sta uscendo dall'eredità coloniale di regimi dittatoriali, sottosviluppo e povertà, sostenuta da una crescita economia senza precedenti storici, che in alcuni paesi raggiunge le due cifre.
Paesi come il Rwanda o l’Uganda hanno spezzato il ciclo di odi etnici, genocidi e dittature primitive quanto violente per imporsi sulla scena internazionale come principali attori economici e militari regionali, allargando gli spazi democratici e riuscendo ad influenzare sia il destino di interi paesi che le politiche geostrategiche occidentali nella Regione dei Grandi Laghi. Altri paesi, come il Ciad, seppur ancora saldamente controllati da despoti, sono nella fase di ripresa economica che apporta un miglioramento del tenore di vita delle loro popolazioni, a condizione che non mettano in discussione l’apparato di potere.
I blocchi economici presenti nel Continente stanno rafforzando la loro unione politica ed economica. Il più avanzato è la East African Community (Unione economica dell’Africa Orientale) che comprende: Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania e Uganda. Nonostante pericolose divergenze politiche interne con la Tanzania e il ruolo imperialista giocato da Rwanda e Uganda, la E.A.C.sta raggiungendo l’unione doganale e si appresta a porre le basi per l’unione politica e monetaria, pensate sul modello dell’Unione Europea.
Le recenti scoperte petrolifere stanno trasformando l’Africa nel futuro centro mondiale degli idrocarburi. Paesi come Angola, Ghana, Kenya, Liberia, Mozambico, Sierra Leone, Tanzania e Uganda hanno alte possibilità di trasformarsi in economie di petrodollari se i profitti derivanti dagli immensi giacimenti di petrolio e gas verranno sapientemente utilizzati. Il Ghana si è assicurato il raggiungimento di questa eventualità, adottando il modello Norvegese. L’Angola ha scelto la via degli investimenti nazionali ed internazionali. Gli altri paesi sono ancora in bilico e rischiano di cadere nella sindrome nigeriana, se non adottano politiche di investimento adeguate.
Gli idrocarburi si aggiungono ai pressoché illimitati giacimenti di minerali comuni e preziosi di cui accresce sempre di più la dipendenza dell’Occidente e dell’Asia. Il 62% della produzione di coltan mondiale necessaria per i prodotti di alta tecnologia ed informatica proviene dall’Africa. La produzione di energia elettrica in Francia, tramite le centrali nucleari, è assicurata da tre paesi: Niger, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Da qui la spasmodica guerra commerciale intrapresa da Stati Uniti, Europa, Cina e India per le risorse economiche Africane.
Il Sud Africa, entrato nel blocco economico dei paesi emergenti: Brics, sta attuando una strategia di investimenti espansionistica su tutto il Continente grazie alle sue decine di multinazionali operanti in vari settori, mentre la classe media africana ha raggiunto i 300 milioni di persone, un incredibile opportunità di mercato mondiale.
L’Angola, grazie ad un sapiente utilizzo dei suoi immensi giacimenti di petrolio e gas, sta diventando un investitore internazionale che aggredisce i mercati europei assorbendo istituti finanziari ed industrie. L’Angola ha assorbito il 30% dell’economia produttiva e di quella finanziaria del suo ex Master coloniale: il Portogallo. Supporta inoltre il 20% del debito nazionale Portoghese tramite prestiti, rallentando così il fallimento dello Stato ed alleviando il peso degli aiuti finanziari elargiti dall’Unione Europea per evitare il collasso del Portogallo. La seconda fase di espansione sui mercati europei, progettata dal governo di Luanda, riguarderà altri paesi deboli europei, tra i quali: Grecia, Italia e Spagna.
Questi risultati sono paralleli alla crisi economica dei Paesi Occidentali e al rallentamento della crescita industriale ed economica registrato in Cina.
Dal 2010 è sorto il fenomeno di immigrazione dai paesi occidentali verso il Continente. Questi “rifugiati economici”, come vengono definiti da vari esperti africani, riescono a trovare migliori opportunità di lavoro in Africa rispetto ai loro paesi di origine, raggiungendo un tenore di vita precluso in patria e apportando ai paesi africani indispensabili conoscenze tecnologiche, grazie ad una politica di immigrazione molto accomodante adottata da vari paesi africani.
Il Portogallo è l’esempio più eclatante. Migliaia di laureati disoccupati e di professionisti stanno inondando il mercato del lavoro delle loro ex colonie africane: Mozambico e Angola. Altri paesi che rientrano nel fenomeno di “rifugiati politici” sono: Belgio, Grecia, Italia e Spagna.
L’immigrazione verso l’Africa di questi paesi è cresciuta del 18% negli ultimi due anni, mentre quella dall’Africa verso l’Occidente sta progressivamente diminuendo, nonostante le periodiche tragedie di immigrati clandestini e gli allarmismi di invasione creati da partiti della destra e dell’estrema destra Europea.
Anche l’indicatore per eccellenza della mancanza di sviluppo del Continente: l’industria degli aiuti umanitari, è in forte declino. La miriade di Ong occidentali che spadroneggiavano negli anni Ottanta e Novanta sono ormai scomparse in vari paesi africani, rimanendo operative nelle “nicchie” di questo particolare mercato: i paesi che ancora soffrono di instabilità politica e guerre civili.
Il declino è dovuto dalla maggior stabilità e progresso economico dei paesi africani in contemporanea al fallimento della logica di cooperazione internazionale che, sconvolta da troppi scandali, malversazione dei fondi ed innefficacia, non è riuscita a far progredire il Continente come nei suoi obiettivi iniziali, inserendosi per la maggior parte nell’ultimo suo baluardo: il settore dell’emergenza e dell’assistenza ai profughi.
“Se i miliardi di dollari spesi in quarant’anni di cooperazione in Africa fossero stati destinati a progetti di industrializzazione, ora il Continente sarebbe più avanzato e le sue popolazioni vivrebbero meglio”, constata l’economista nigeriano Elumelu. Dal 2008 l’Unione Africana ha introdotto negli indicatori negativi dello sviluppo la presenza di Ong e Agenzie umanitarie Onu nel paese preso in analisi. Più questa presenza è accentuata, più il paese soffre di sottosviluppo.
Il settore della cooperazione, seppur in declino, assorbe una percentuale di “rifugiati economici” dall’Occidente. Trattasi di giovani disoccupati europei di esperienza e professionalità nettamente inferiore a quelle disponibili sul mercato del lavoro africano che le varie Ong assumono per comprimere gli stipendi a scopo di lucro. Dai 3.000 ai 4.500 Euro di stipendio garantiti dai Donatori istituzionali, lo stipendio elargito alla nuova generazione di cooperanti si aggira sui 1.500, 2.200 Euro. Il rimanente viene accumulato nelle casse delle Ong con la compiacenza degli Enti Donatori.
Paradossalmente la originaria forma di aiuti occidentali attuata dai missionari e sinonimo dell’espansionismo coloniale ai danni dell’Africa, attualmente risulta più efficace anche se di limitato impatto, rispetto al fallimento dei modelli di cooperazione portati avanti dalle Ong.
L’immagine di un Continente devastato dalle guerre civili e dalle dittature è ormai anacronistica. Nel 2014 sono pochi i paesi ancora prigionieri di questa fase storica: Mali, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia e Sud Sudan. Le crisi di questi paesi sono ancora legate alle dinamiche post coloniali con forti e nefaste interferenze di potenze occidentali tra cui spiccano Stati Uniti e Francia che dal 2012 hanno riaperto la guerra fredda degli anni Novanta, dopo un breve periodo di collaborazione per bloccare l’espansionismo cinese in Africa.
La prima guerra fredda, ha generato una serie di crisi interminabili tra il 1987 e il 2004 tra le quali: Burundi, Ciad, Congo-Brazzaville, Costa d’Avorio, Liberia, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Sudan-Sud Sudan, Uganda e il primo genocidio in suolo africano: il Rwanda.
Al momento la seconda guerra fredda, spietatamente combattuta da milizie ed eserciti africani con spaventosi danni materiali ed umani, sembra limitarsi al ristretto numero di paesi precedentemente elencati che hanno l’identica infelice caratteristica di essere Failled States (Stati Falliti) dove, però, investitori stranieri disposti ad accettare altissimi rischi, possono in breve tempo ottenere delle fortune.
All’interno di questi Stati Falliti esistono realtà di mercato diverse. Per esempio vi sono ottime opportunità di mercato e afffari nella capitale del Congo: Kinshasa e nella parte Occidentale del paese.
Esigui sono i paesi entrati nella fase post conflitto: Burundi, Ciad, Costa d’Avorio, Liberia, Sierra Leone, Sudan. Questi paesi sono in fragile equilibrio tra prospettive di sviluppo e possibilità di regresso con ancora focolai di conflitti al loro interno. L’attuale crisi del Sud Sudan è un monito estremamente chiaro di cosa comporta il fallimento della ricostruzione economica e democratica di un paese durante la fase di post conflitto.
Seppur invidiabile la crescita economica senza precedenti dell’Africa include insidiosi pericoli al suo interno. I principali sono: accentuata diseguaglianza sociale, disoccupazione, miope politiche di salvaguardia ambientale, agricoltura arretrata e mancanza di un vero e proprio sviluppo industriale autoctono, possibile solo attraverso le rivoluzioni industriale e tecnologica. Questi fattori, se non risolti, possono seriamente compromettere i successi registrati nel passato decennio.
Tony O. Elumelu, economista, banchiere e investitore nigeriano, direttore della Heirs Holdings, una compagnia finanziaria Continentale focalizzata in Africa su una miriade di importanti investimenti in diversi settori produttivi, è l’ideatore della dottrina economica Africapitalism che è sempre più accettata nei principali circoli economici del Continente.
Il Geoge Soros versione africana, ha ideato una dottrina economica ibrida tra le politiche keneysiane e il libero mercato, riuscendo all’apparenza ad armonizzare le due contrapposte scuole di pensiero economiche.
Catalizzando governi, politici, investitori, holding economiche e filantropi sul Africapitalism, Elumelu sta progettando un Piano Marshall per l’Africa in collaborazione con l’Unione Africana, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Il concetto è semplice quanto innovativo. Il settore pubblico e quello privato si uniscono nel comune obiettivo di creare una sinergia di intenti ed interessi capace di sviluppare i settori economici e produttivi chiave, aumentare l’occupazione e garantire lo Stato Sociale.
L’Africapitalism inevitabilmente tende a diminuire l’influenza delle potenze occidentali e asiatiche aumentando quella dell’Africa. L’obiettivo è di superare il concetto coloniale di economia di export delle materie prime e sostituirlo con un'industrializzazione del Continente e l’esportazione di prodotti finiti capace di creare rapporti paritari derivati dall’emergere di un nuovo blocco economico mondiale.
Nonostante le resistenze da parte di Stati Uniti, Europa e Asia, Elumelu è convinto che una sinergia mondiale per lo sviluppo autoctono dell’Africa convenga a tutti, basandosi sul constato che sempre meno Stati Africani sono disposti a mantenere una posizione servile verso le potenze mondiali. Questa nuova situazione crea pericolose conflittualità internazionali che potrebbero danneggiare il mercato e l’economia. Inoltre, le continue guerre civili stanno diventando troppo costose e danneggiano gli investimenti delle multinazionali in Africa.
La Cina sembra essere stata la prima potenza a comprendere i vantaggi dell'Africapitalism. Dagli inizi del 2013 timidamente sta spostandosi da un'iniziale contrapposizione a una profiqua collaborazione.
Per non trovarsi esclusi da questa possibilità gli Stati Uniti hanno cominciato ad interessarsi a questa nuova dottrina economica. Nel luglio 2013 il presidente Barack Obama durante il suo tour in Africa ha incontrato Tony O. Elumelu a Dar Es Salaam, in Tanzania, creando un'alleanza di interessi.
Il presidente Obama ha dichiarato la volontà americana di abbracciare il Africapitalism trasformando Tony O. Elumelu nel principale partner per la realizzazione del progetto.
Il presidente Obama e Elemelu useranno le loro rispettive influenze e potere per rafforzare la collaborazione tra Africa e America tesa allo sviluppo del Continente.
Nella seconda parte dell’articolo si entrerà nei dettagli di questa nuova dottrina economica.
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