Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Ago 1
di Fulvio Beltrami
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L’Africa Sub Sahariana è stata definita la nuova frontiera per i prodotti europei e americani. Tutte le condizioni sono riunite. Crescita economica annuale del 6% nonostante la crisi finanziaria mondiale. Previsioni di crescita per il prossimo quinquennio del 7% con punte del 8% per Ghana, Kenya e Nigeria. Un ceto medio borghese emergente con disponibilità finanziarie equiparabili al ceto medio occidentale e con il desiderio di raggiungere un lifestyle europeo. I settori commerciali che possono assorbire le esportazioni occidentali sono: educazione, agricoltura, chimica, infrastrutture, trasporti, edile, alimentare, vestiario, tecnologico e automobilistico. “Se un investitore europeo è attivo e ambizioso non deve sottovalutare l’Africa che sta diventando il più grande mercato mondiale del futuro, destinato ad equagliare quello asiatico”, afferma Mark Simmonds, Sotto Segretario di Stato per gli Affari esteri del Commonwealth durante una conferenza di investitori inglesi tenutasi una settimana fa in Manchester, Gran Bretagna. Conferenza a cui il governo inglese ha partecipato attivamente inviando rappresentanti del dipartimento internazionale dello sviluppo, del dipartimento delle esportazioni e dei ministeri del commercio e delle finanze. La conferenza ha individuato cinque paesi a cui concedere un’attenzione particolare: Angola, Costa d’Avorio, Ghana, Mozambico e Tanzania grazie alle loro ottime performance economiche.
L’inserimento della Costa d’Avorio sembra più dettato da ragioni politiche intrecciate dalla necessità della Francia di rilanciare l’economia del paese che da reali fattori economici. Nonostante sforzi e promesse di ripresa il paese soffre di una crisi post conflitto prolungata. Sia il governo che il presidente...Ouattara sono accusati di aver instaurato un regime poliziesco contro l’opposizione e di compiere gravissime violazioni dei diritti umani: esecuzioni extra giudiziarie, arresti arbitrari di attivisti politici, torture e prolungata reclusione senza capi d’accusa e processo. La Francia, dopo aver destituito il precedente presidente Laurent Gngabo utilizzando direttamente il proprio esercito in una classica operazione militare coloniale, ora sta tentando di attirare gli investitori europei per non essere accusata di aver interferito nella politica nazionale del paese africano per creare un monopolio per le aziende francesi. Parallelamente la Francia sta facendo un assiduo e costosissimo lavoro di lobby affinché i media europei e la Commissione dei Diritti Umani dell’Unione Europea non si occupino della grave situazione che i cittadini ivoriani sono costretti a subire creata dal regime installato dall’esercito francese.
“È una situazione veramente paradossale. Solo cinque anni fa l’Europa dipingeva l’Africa come un continente di povertà, guerre e genocidi senza speranza che rappresentava più un problema di ordine pubblico dettato dall’invazioni di immigrati, che una possibilità di mercato emergente. I soli rapporti commerciali di rilievo erano quelli legati alla rapina delle risorse naturali del continente con la complicità dei governi africani. In mancanza di questa complicità Europa e Stati Uniti, hanno creato guerre civili e colpi di stato per rimuovere ‘governi ostili’. Ora, improvissamente l’Africa diventa il più grande mercato mondiale a cui tutti ambiscono partecipare. Eppure il processo di rinascita economica del continente è iniziato nel 1998... Questo radicale cambiamento di immagine ed intenzioni potrebbe essere positivo se non nascondesse il solito inganno occidentale. L’aumento delle esportazioni di prodotti e servizi occidentali è a detrimento della rivoluzione industriale africana.
Il Continente non deve diventare un grande mercato internazionale ma una potenza economica internazionale. Obiettivo garantito dalla concentrazione mondiale delle risorse prime. Occorre inoltre leggere attentamente tra le righe i rapporti, gli studi e le dichiarazioni pubbliche del mondo economico europeo. Si parla di aumentare le esportazioni destinate all’Africa sfruttando il ceto medio borghese emergente ma non si parla di aumentare le importazioni dall’Africa soprattutto di prodotti finiti. Questo corrisponde ad una chiara forma di colonizzazione economica: si importa le materie prime africane e si vende agli africani i prodotti occidentali realizzati con le loro materie prime.”, spiega Rosemary Mirondo, giornalista del settimanale The East African, specializzata in economia. La denuncia della Mirondo rafforza quella del ministro del Commercio zambiano Robert Sichinga che ha posto l’accento sul disequilibrio tra i rapporti commerciali che il continente intrattiene con i paesi occidentali e asiatici e il commercio inter continentale.
“Le bilance commerciali dei paesi africani sono fino ad ora sbilanciate a favore delle importazioni, creando così seri ostacoli per una crescita matura e solida della economia continentale. Solo a titolo di esempio la comunità economica COMESA importa dai paesi produttori africani 246 milioni di dollari di merce. Somma irrisoria rispetto a 2 miliardi di dollari provenienti da prodotti importati da Europa, America e Asia. La COMESA importa zucchero dalla Costa Rica quando la maggior parte dei suoi Stati Membri hanno tutte le potenzialità di migliorare la produzione della canna da zucchero soddisfando il mercato regionale ed esportando il surplus sui mercati internazionali” spiega il ministro Sichinga durante il diciannovesimo meeting economico svoltosi a Lusaka il 21 luglio scorso con la nutrita presenza dei ministri delle finanze, commercio, miniere ed industria del paesi dell’Africa Orientale e Africa del Sud.
Sichinga avverte i colleghi del pericolo di aprire senza condizioni i mercati alle merci straniere a detrimento del mercato continentale, proponendo una soluzione alternativa: rivoluzione industriale e politiche di protezione delle materie prime come unici fattori sani per la trasformazione economica, rilancio dell’occupazione e diminuzione della povertà nel continente. “L’Africa necessita di una forte classe operaia e agricola non di commercianti che vendono merci importate ai piccoli medi borghesi che le possono comprare. Se accettiamo questa situazione l’Africa non riuscirà mai a diventare il quarto blocco economico industriale del pianeta”, avverte il ministro zambiano. La COMESA è un blocco economico africano di 19 Stati dalla Libia allo Swaziland. L’indirizzo strategico di collegare industria e materie prime delineato dal ministro Sichinga sembra non essere condannato a rimanere inascoltato.
Le strategie di vari paesi africani che stanno emergendo come potenze economiche continentali, come Angola, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Rwanda, Sud Africa, Tanzania e Uganda stanno andando in questa direzione ad iniziare dagli idrocarburi di cui le quote di esportazioni stanno progressivamente diminuendo a favore dell’utilizzo di petrolio e gas naturale per il fabbisogno dei mercati interni e supporto del processo di industrializzazione. Un processo che ora è possibile realizzare grazie alla collaborazone dei paesi del Brics pronti ad impiantare industrie in Africa, offrire tenclogia e formazione per realizzare la rivoluzione industriale di cui il continente è in ritardo di tre secoli. Collaborazione che l’Occidente non si sogna nemmeno di accennare per non perdere la famosa gallina dalle uova d’oro. Nessuna meraviglia se nei prossimi dieci anni assiteremo ad un'alleanza tra l’Africa e i Brics in chiave strettamente anti occidentale, politiche protezionistiche e barriere doganali che infrangeranno il sogno del capitalismo occidentale. I tempi stanno cambiando e noi “wasungu” (bianchi) non siamo in grado di comprendere la rivoluzione mondiale in atto. Questo è il vero problema. Nella legge della natura ogni specie che non riesce ad addattarsi alle nuove situazioni è destinata a soccombere.
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