Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Lug 6
di Fulvio Beltrami
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Patrick Kanyunga
L’Amministrazione Trump è impegnata in una nuova crociata contro il Male. Da settimane si studiano piani di attacco contro il regime iraniano. Gli incidenti tesi a far scoppiare il nuovo conflitto nel Medio Oriente non sono mancati. Dalla violazione dello spazio aereo iraniano da parte di un drone spia americano all’attacco cibernetico contro i sistemi informatici usati dall’Iran per controllare i lanci di missili e razzi.
Il Presidente Donald Trump è arrivato anche a ordinare un attacco preventivo. Ordine ritirato subito dopo grazie al Congress e al Pentagono che sono riusciti a far ragionare il presidente guerrafondaio. Ora l’Amministrazione Trump è intenta a convincere i partner europei di partecipare a questa folle avventura militare attraverso i patti siglati della NATO nella speranza di creare una coalizione internazionale simile a quella che invase l’Iraq di Saddam Hussein.
Nel mentre Mohammad Javad Zarif, Ministro degli Esteri avverte: “Una guerra lampo contro l’Iran è pura illusione. Se vi sarà un conflitto sarà molto lungo”. Una frase che riassume tutte le preoccupazioni del governo di Teheran che interpreta giustamente le provocazioni americane come una attentato alla sopravvivenza del regime.
Zarif ha accusato gli Stati Uniti di terrorismo economico e di guerra psicologica che mettono a repentaglio gli accordi presi con l’Amministrazione Obama sul blocco del programma nucleare iraniano in cambio della fine delle sanzioni economiche internazionali. Accuse che sembrano fondate, logiche.
Sulla crisi Washington Teheran si sono espressi vari esperti occidentali e medio orientali, molti di essi contrari al conflitto che aumenterebbe l’instabilità nel Medio Oriente e metterebbe a repentaglio la pace mondiale. Frammenti Africani vi propone il punto di vista di esperti africani. Un punto di vista importante per la prossimità dell’Africa all’Europa e al Medio Oriente e per le relazioni economiche e politiche che i paesi africani intrattengono con Stati Uniti, Unione Europea e Iran.
Abbiamo interpellato Jenerali Ulimwengu, direttore del quotidiano tanzaniano in lingua swahili Raja Mwema e giudice presso l’Alta Corte di Dar es Salaam. Offriamo di seguito la traduzione letterale del suo intervento sul delicato argomento. Il giudice Jenerali ci propone un punto di vista inedito sulla crisi, che evidenzia il sorgere, seppur con fatica, di un nuovo concetto di mondializzazione, di Villaggio Globale non solo in Africa ma in Asia e America Latina. Un concetto di Rinascita dell’umanità che guarda all’Europa, seppur malata, come l’unico baluardo della civiltà capace di resistere alle tre potenze mondiali: Stati Uniti, Russia e Cina. Potenze denifite da Jenerali come fasciste e imperialiste.
Ricordiamoci del Golfo di Tonchino e non crediamo alle bugie americane sull’Iran.
Ritorniamo indietro nel tempo. Anno 1964. Lo Zio Sam è intento a giocare il vecchio gioco delle bugie e degli inganni per giustificare una premeditata agenda di aggressione militare.
Nell'estate di quell'anno, gli americani sono intenti in giochi di guerra al largo della costa vietnamita, infastidendo la flotta commerciale del Vietnam del nord in prossimità del Golfo di Tonchino e prendendo in giro i sistemi radar di Hanoi con finti attacchi con l’intento di riuscire a individuare le loro posizioni ai fini del futuro confronto.
Queste provocazioni ed esercizi navali facevano parte del programma 34A: operazioni segrete contro il Nord Vietnam comunista. Questo programma prevedeva attacchi per distruggere le infrastrutture e l’industria vietnamite prima di iniziare la guerra di invasione. Porti minerari, ponti, strade, ferrovie. Le esercitazioni navali in prossimità delle acque territoriali vietnamite avevano lo scopo di provocare il nemico ed iniziare la guerra.
Alla fine, quello che divenne noto come l'incidente di Tonchino accadde, e gli Stati Uniti ne produssero una versione che mostrava gli americani come vittime di atti di aggressione montati dai "comunisti del nord" attraverso un finto attacco creato da hoc degno degli studi di Hollywood.
Dopo i primi attacchi di rappresaglia da parte dell'esercito americano, il presidente Lyndon Baines Johnson pronunciò: “Non ho solo ingannato Ho Chi Minh. Gli ho anche tagliato il becco.” Il resto è storia, come si suol dire. Il mondo è stato testimone dell’assurda e inspiegabile avventura militare americana nel sud-est asiatico, dove centinaia di migliaia di giovani di entrambe le parti hanno perso la vita per qualcosa che è ancora difficile da comprendere. Le bugie dette dall'amministrazione statunitense per giustificare quella guerra di aggressione non erano nuove, e non sarebbero state nemmeno le ultime.
Nei mesi che hanno portato all'invasione dell'Iraq nel 2003, abbiamo assistito alle menzogne raccontate dagli americani, guidati da Collin Powell alle Nazioni Unite, sull'esistenza di armi di distruzione di massa nell'Iraq di Saddam Hussein. Alla fine, sebbene le Nazioni Unite rifiutassero di inghiottire questa bugia, George W. Bush ordinò l'invasione dell'Iraq, il rovesciamento e l'impiccagione di Saddam.
Le bugie sono strumenti di “Governance” in tutto il mondo, ma il governo americano sembra avere un legame speciale con le falsità che lo rende il maestro imbattibile della menzogna. Penso a Powell e mi chiedo che cosa dirà ai suoi nipoti sul suo ruolo in quella partita urlante alle Nazioni Unite con Dominique de Villepin, il ministro degli Esteri francese. Powel nutre sentimenti di vergogna, di rimorso?
Non farò questa domanda a George W, e certamente non all'attuale presidente, Donald Trump, i cui cittadini stanno tenendo il conto delle bugie pronunciate. Il Washington Post ha contato più di 10.000 menzogne solo nei primi tre anni del mandato, scoprendo che ogni anno che passa Trump racconta più bugie rispetto all'anno precedente. In altre parole, questo è un uomo incapace di dire la verità.
Ora, visto la storia delle menzogne prodotte dai governi americani nel corso degli anni, aggravata dall'incombenza di un bugiardo patologico, quanta credibilità dovrebbe dare il mondo alle affermazioni di Trump e dei suoi accoliti che l'Iran ha attaccato le petroliere nel Golfo di Oman?
C'è qualcosa di inquietante in questa logica politica americana. Abrogando l'accordo nucleare globale che l'Iran aveva firmato con un certo numero di potenze occidentali e che sembrava rispettare - Trump non vuole perdere uno dei bersagli della sua ira nel Golfo e Medio Oriente. La perdita di questi bersagli danneggerebbe l’apparato industriale bellico americano che ormai è uno tra i pochi motori economici rimasti agli Stati Uniti.
Ho l’impressione che nonostante gli apparenti successi, l’industria bellica statunitense si stia logorando da sola, perdendo le battaglie. È vero che ci sono molte guerre di basso profilo in giro. Siria. Yemen, Somalia, Mali, Camerun, Sud Sudan. Tutti stati falliti che dipendono anche dallo Zio Sam per le forniture di armi, munizioni e altre materiale bellico. Ma questi conflitti rappresentano scarsi guadagni.
L’industria bellica statunitense necessita di un nuovo Iraq e di un nuovo Afganistan per far soldi. E qui entra in scena l’Iran, un avversario duro da spezzare che richiede lo sforzo produttivo di tutte le industrie belliche americane. Esse sono ben consapevoli che una guerra con l’Iran sarebbe lunga e disastrosa ma capace di produrre profitti inauditi. La lobby degli armamenti sta lavorando senza sosta presso il Capitol Hill per creare le condizioni di questa nuova guerra nel Medio Oriente.
Potrebbe riuscire nel suo intento. Non dimentichiamoci che Trump ha riempito il Segretariato alla Difesa di lobbisti delle industria bellica per facilitare il loro lavoro interno al Capitol Hill. Oltre a difendere gli interessi dello stato di Israele nella sua occupazione e oppressione del popolo palestinese, un confronto con Teheran farebbe impazzire di gioia le industrie di armi in America.
Fu il presidente americano Dwight David "Ike" Eisenhower ad avvertire dell'emergere del complesso militare-industriale nel 1958. Ora è diventato un colosso goloso che divora tutto: paesi e vite umane sia dei “nemici” che americane. Le bugie sono l’arma segreta che il complesso militare industriale americano usa per depredare il mondo.
Ora ci stanno dicendo che l'Iran è il principale pilastro del terrorismo sciita. Ci stanno dicendo che i dirigenti di Teheran vanno a letto con Al Qaeda. Una accusa priva di qualsiasi straccio di prova e totalmente inverosimile poiché Al Qaeda è una organizzazione sunnita che considera gli sciiti come apostati! Ma va bene qualsiasi cosa pur di convincere l’opinione pubblica che la guerra contro l’Iran è giusta e necessaria.
Non crediamo alle bugie di Trump che sono le bugie dell’apparato militare industriale americano, suo vero ed unico padrone. Apriamo gli occhi. Nell’epoca in cui viviamo non è l’Iran la minaccia. La vera minaccia è la situazione mondiale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica stiamo assistendo all’ascesa di tre potenze dittatoriali, assolutiste e fasciste: Stati Uniti, Russia, Cina che si contendono America Latina, Asia e Africa.
Rimane solo l’Europa, ultimo baluardo della democrazia e dei diritti umani. Purtroppo un baluardo sempre più stanco e in preda ad una crisi non solo economica ma anche morale, basti pensare l’emergere dei sovranisti in vari paesi di cui l’esperimento italiano è la rappresentazione più aberrante e grottesca.
Non voglio inoltrarmi sullo scivoloso terreno profetizzando se vi sarà o meno un conflitto con l’Iran. Non è questo il nodo della matassa. Lo è invece la necessità di creare un nuovo Risorgimento che non sia questa volta relegato alla sola vecchia e stanca Europa. Un Risorgimento culturale, economico e politico che coinvolga i paesi africani, asiatici, latino americani. 4
Capace di contrastare il fascismo di queste tre potenze mondiali e di innescare un processo critico all’interno delle loro società teso ad imporre un radicale cambiamento di vedute politiche. Un Risorgimento che sappia sostituire il predominio imperialistico russo, americano cinese con una vera mondializzazione. La nascita di un villaggio globale non asservito alle loro logiche ma alle necessità dell’umanità.
Letture Consigliate.
Cyber Security. Con l’Iran non si scherza. L’Indro.
https://www.lindro.it/cy-ber-security-con-liran-non-si-scherza/
Iran warns repeating mistake violating borders – Al Jazeera
Gulf of Tonkin Incedent - Wikipedia
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