Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Mar 19
di Fulvio Beltrami
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Il 38% dei conflitti attualmente in corso in Africa sono collegati al controllo dei minerali e idrocarburi: Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centro Africana e Sud Sudan sono gli esempi più eclatanti.
L’acquisto illecito di minerali da parte delle multinazionali dilata la durata del conflitto in quanto l’acquirente compra presso i vari gruppi ribelli che controllano le miniere finanziando direttamente o indirettamente le loro attività belliche e garantendo il continuo approvvigionamento di armi e munizioni.
La maggioranza delle multinazionali coinvolte nel traffico illegale dei minerali sono Europee, Americane, e Canadesi.
Le multinazionali asiatiche, prime tra tutte quelle cinesi, normalmente preferiscono siglare accordi bilaterali con i Paesi Africani piuttosto che addentrarsi nel mercato nero dei minerali.
Il principio di non interferenza, adottato da Pechino é un’ottima scusa per evitare che la mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti umani possano influenzare l’opinione pubblica cinese e compromettere gli accordi commerciali con regimi dittatoriali africani.
Nonostante la titubanza a far affari con le ribellioni africane, la Cina é la principale causa della longevità di varie dittature nel Continente. I regimi di Omar El-Bachir in Sudan e di Robert Mugabe nello Zimbabwe sarebbero implosi agli inizi degli anni Duemila senza il sostengo cinese.
In alcuni casi, come l’ultima guerra tra Sudan e Sud Sudan (2011), la diplomazia di Pechino si attiva per assicurare una soluzione pacifica del conflitto in difesa dei propri interessi economici e per impedire che le multinazionali occidentali si inseriscano nel caos sottraendo importanti fette di mercato nel settore minerario e idrocarburi.
Le attuali logiche di mercato delle multinazionali occidentali sono identiche a quelle del periodo coloniale: contratti capestro, pretese di esenzioni fiscali ultra decennali abbinate a evasione fiscale e corruzione, obbligo di esportazione di minerali e idrocarburi.
Se un paese rifiuta, le multinazionali creano le condizioni per un cambiamento di regime.
La facilità di attuare un colpo di stato nei Paesi Africani registrata negli anni Sessanta e Settanta era dovuta dalla fragilità dei governi appena usciti dal periodo coloniale. Dagli anni Novanta i governi democratici o i regimi in Africa sono strutturati e complessi non permettendo la riuscita dei colpi di stato che si trasformano automaticamente in lunghe guerre civili.
Il 5 marzo scorso l’Unione Europea ha rilasciato un comunicato stampa in cui si informa dell’entrata in vigore di una legge, comunemente denominata: “Conflict Minerals Law”, che si basa su un approccio integrale al problema per “impedire i profitti derivanti dal traffico di minerali che alimentano i conflitti”, secondo quanto recita il comunicato.
La nuova legge dovrebbe rendere difficile per i gruppi armati nei paesi in conflitto attuare le loro attività di finanziamento tramite la vendita di minerali estratti nelle aeree sotto il loro controllo.
Il primo obiettivo é di interrompere il legame tra le estrazioni illegali di minerali, la loro commercializzazione sui mercati europei, il finanziamento alle ribellioni e il prolungamento dei conflitti. I minerali soggetti a questa legge sono titanio, coltan, tungsteno e oro.
Il secondo obiettivo é quello di creare un senso di responsabilità tra le multinazionali europee che potrebbero essere coinvolte in questo traffico illecito.
Rispetto alla legge sui minerali di guerra varata nel 2010 dall’Amministrazione Obama: il Dodd-Frank Act, quella europea ha una estensione geografica mondiale. La legge americana si limita alla Repubblica Democratica del Congo e ai nove Stati dell’Africa Orientale confinanti.
“L’ennesimo specchietto per le allodole”, trancia senza mezzi termini il Professore di Politica Internazionale presso la Università di Makerere, Uganda: Gilbert Khadiagala.
“La legge europea sui minerali di guerra é una completa farsa rivolta alla opinione pubblica interna.
Primo di tutto esenta accuratamente le multinazionali europee dal concetto di crimine.
Secondo la logica dei giuristi che hanno elaborato la legge i criminali sono solo i gruppi armati africani che vendono i minerali, non le multinazionali che li comprano.
Un’altra interessante mancanza é quella delle responsabilità dell’industria degli armamenti europea, strettamente collegata all’industria mineraria e ai conflitti.
La maggior parte delle armi leggere utilizzate nei conflitti africani sono di fabbricazione russa e cinese. Questo non significa che i due Paesi siano direttamente responsabili delle vendite.
Si prenda l’esempio del kalashnikov, purtroppo il migliore fucile d’assalto inventato negli ultimi cent’anni per la facilità di uso e manutenzione.
Difficilmente le guerriglie o gli eserciti regolari africani accettano di acquistare fucili diversi, per esempio prodotti negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia.
Per non perdere il mercato, le multinazionali occidentali di armamenti acquistano ingenti stock di kalashnikov dagli arsenali cinesi e russi per rivenderli agli acquirenti africani a prezzi stracciati.
Il famoso fucile russo é normalmente svenduto a 25 euro. Il guadagno risiede nelle munizioni. É lo stesso concetto applicato dalla HP o dalla Canon per le stampanti dove a costare sono le ricariche.
Una pallottola costa 2,5 euro e può essere tranquillamente prodotta da qualsiasi officina terza senza necessariamente acquistarla dalle fabbriche russe e cinesi.
Il concetto di guerra africana é quello di riversare un incredibile volume di fuoco contro il nemico per indebolire la sua difesa e costringerlo alla fuga. Un caricatore di kalashnikov (che contiene 30 colpi) viene scaricato in meno di un minuto. E’ li’ che si fanno i soldi!
Un vantaggio secondario ma importante che offre la vendita conto terzi é quello di diminuire la percentuale di vendite dirette (quindi la responsabilità) delle multinazionali occidentali aumentando quella delle multinazionali russe e cinesi sulla semplice ed ipocrita base dell’origine di fabbricazione dell’arma, nascondendo le compra vendite triangolari.
Ritornando alla legge europea contro il minerali di guerra, l’offesa più grande al buon senso é l’assenza di ogni misura penale contro le multinazionali occidentali impegnate in questo sporco mercato. Il testo di legge prevede la clausola del “mercato responsabile”, una vera e propria assurdità.
Secondo questa clausola le multinazionali europee devono auto controllarsi per evitare mercati in zone belliche e auto certificare l’origine dei minerali. Le misure disciplinari sono interne alle multinazionali che sono consigliate di non importare nel mercato europeo minerali grezzi e semi lavorati provenienti da zone di guerra.”, spiega il professore universitario ugandese.
Dello stesso parere sono varie associazioni internazionali tra le quali Christian Aid, Amnesty International, Global Witness e il Heidelberg Institute for International Research.
Secondo la Ong inglese Christian Aid, le legge non possiede deterrenti giuridici sufficienti per prevenire l’acquisto di minerali insanguinati da parte delle multinazionali europee.
“La legge, tradotta in linguaggio comune, semplicemente lascia la libertà alle multinazionali europee di decidere se acquistare o meno minerali da Paesi in conflitto o dove vi siano terribili violazioni dei diritti umani e delle libertà civili. É completamente assente la responsabilità dei Stati e delle Magistrature europee che non sono abilitate a punire le multinazionali.
Inoltre la legge non é altro che un semplice aggiornamento di quella promulgata dieci anni fa dall’Unione Europea, anch’essa basata sul responsabilità volontaria delle multinazionali.”, denuncia Sophia Pickles una delle responsabile di Global Witness.
“Una legge non vincolante e senza conseguenze legali per le compagnie minerarie dell’Unione Europea, non può di certo bloccare il mercato nero dei minerali basato sulla morte di milioni di persone e la distruzione del tessuto socio economico dei decine di Paesi.
Questa legge non é in grado di prevenire che le nostre multinazionali causino o contribuiscano a seri abusi dei diritti umani, pulizie etniche e genocidi nelle aree considerate ad alto rischio.”, dichiara Seema Joshi di Amnesty International.
La “nuova” legge della Commissione Europea contro i Conflict Minerals é ancora più debole rispetto a quella americana.
Se si analizza la facilità di raggiro del Dodd-Frank Act che possiedono le multinazionali americane, causando così il fallimento dell’applicazione della legge in meno di quattro anni dalla sua entrata in vigore, é difficile credere che la legge europea (che non prevede conseguenze legali come quella americana) possa ottenere i risultati ampiamente pubblicizzati dai suoi promotori.
“Occorre notare che questa timida legge é limitata ad un esiguo numero di multinazionali. Molte compagnie minerarie europee operanti nello stesso settore sembrano essere state esentate.
Guarda caso la maggioranza di queste compagnie “miracolate” appartengono a Francia e Gran Bretagna, le due ex potenze coloniali e maggior responsabili della instabilità nel Continente Africano. Dopo il danno la beffa.
La legge ha un solo pregio che é doveroso riconoscere: evidenzia l'inconsistenza dei valori proposti dall’Unione Europea e la loro ipocrisia.
Non meravigliatevi se sempre più Paesi Africani rifiutano i vostri valori applicando i propri. Il rischio che l’Occidente consideri leggi o indirizzi politici dei Paesi Africani come anti democratici o in violazione dei diritti civili, non é nemmeno più considerato, come dimostrano i recenti casi delle leggi omofobiche in Nigeria e Uganda.
Dietro la porta vi sono Russia e Cina. Non certo filantropi o benefattori ma almeno non ipocriti come Europa e Stati Uniti.
Stiamo semplicemente applicando la regola della miglior offerta, pilastro della filosofia del libero mercato a voi tanto cara.”, l’amaro constato del Professore Gilbert Khadiagala.
La Commissione Europea nega con determinazione le accuse di una legge debole e di un lassismo nel combattere il fenonemo Minerali – Conflitti. Le multinazionali minerarie non commentano.
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