Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Set 21
di Fulvio Beltrami
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Visitare i meravigliosi parchi naturali africani, fare il bagno nell’oceano incontaminato, vivere l’atmosfera delle metropoli africane e conoscere culture e tradizioni ancestrali. Questo è il sogno di ogni occidentale quando pensa alla vacanza perfetta. L’Africa attira annualmente circa 14 milioni di turisti che generano un giro d’affari di 22 miliardi di dollari. I turisti asiatici sono in vertiginoso aumento.
Negli ultimi dieci anni il settore turistico si è notevolmente sviluppato e modernizzato. Vari governi hanno stanziato ingenti fondi per migliorare le infrastrutture, proteggere gli animali selvatici, dedicare santuari inviolabili alle specie in via di estinzione (come il gorilla di montagna in Uganda e Rwanda). Vari tour operator autoctoni sono sorti specializzandosi nelle visite organizzate e nel marketing online per attirare i clienti. Di media il turismo rappresenta il 18% del PIL di vari Paesi africani e un calo della presenza dei turisti determina un rallentamento dell’economia, come testimonia il caso del Kenya dove il turismo è crollato del 40% causa l’ondata di attacchi perpetuati dal gruppo terrorista salafista somalo Al Shabaab dal 2012 ad oggi.
Purtroppo il turismo di lusso è ancora controllato da ricche famiglie europee che si installarono in Africa ai “tempi d’oro” del colonialismo quando non vi erano uomini liberi ma simpatici e servizievoli negretti. I nipoti di queste famiglie coloniali hanno abbandonato le piantagioni di caffè, tè, tabacco e cotone per riciclarsi negli anni Settanta - Ottanta nel settore turistico. Offrono ai loro connazionali indimenticabili vacanze abbinando la passione per le avventure esotiche e gli animali selvaggi con il lusso e il comfort occidentali. Avventure spesso costose. Per vivere l’emozione del Safari, vedere elefanti, rinoceronti, leoni, giraffe, zebra e alloggiare in lodge da Mille e una Notte, i turisti ricchi spedono fino a 14.000 euro per dieci giorni. Queste ditte specializzate monopolizzano la clientela ricca occidentale poco desiderosa di affidarsi a tour operator locali. Una reticenza dovuta dai pregiudizi razziali nutriti dai ricchi occidentali e sapientemente manipolati dai Master del turismo in Africa.
Tre famiglie si contendono il monopolio del turismo nell’Africa Orientale e del Sud: la Famiglia Carr-Hartleys in Kenya, la Famiglia Pasanisis in Tanzania e la Famiglia Stevens nello Zimbabwe. A sentire queste famiglie l’Africa deve essere molto grata al loro operato. Capaci di valorizzare i tesori naturali del Continente e promuovere un turismo d'élite, queste famiglie affermano di contribuire in maniera determinante alla buona immagine e allo sviluppo socio economico dei Paesi ove operano, in completa armonia con le comunità locali e nel pieno rispetto della legge.
Una realtà diametralmente opposta ci viene offerta dal giornalista investigativo Richard Smalteacher in una sua inchiesta pubblicata sul sito di CorpWatch, una associazione americana di monitoraggio della attività illegali compiute dalle multinazionali. Le tre Famiglie leader del turismo di lusso in Africa, utilizzano la controversa compagnia panamense di consulenze finanziarie Mossack Fonseca per evadere le tasse. John Stevens cura gli interessi della sua famiglia attraverso la società Guided Safari Africa Inc. È l’artefice di un vero e proprio impero turistico nello Zimbabwe grazie alla sua capacità di offrire ai ricchi turisti occidentali e asiatici la selvaggia natura delle savane africane e la vita quotidiana delle comunità locali. John afferma di agire sotto le regole del turismo responsabile, rispettoso della cultura indigena, dell’ambiente. Afferma di contribuire attivamente alla salvaguardia degli animali selvaggi nello Zimbabwe.
Secondo le indagini condotte da CorpWatch, John Stevens ha costruito un vasto e complicato network societario internazionale con l’unico scopo di non versare le tasse al governo di Harare. Nel 1996 ha fondato una società offshore a Panama denominata Hanoverian Ltd che controlla altre 35 società tutte registrate nelle Brithis Virgin Islands. Questo complicato network, gestito da Mossack Fonseca, permette alla Famiglia Stevens di evadere annualmente 1,8 milioni di dollari con evidenti danni al fisco Zimbabwano.
Gerard Pasanisi, un cittadino francese che opera in Tanzania, è un ottimo cliente di Mossack Fonseca a cui ha affidato la gestione di otto società offshore con sede in Svizzera ed Emirati Arabi Uniti. Pasanisi è un uomo molto influente e presidente della Associazione Tanzaniana della Caccia Grossa, associazione che regola la caccia di animali selvaggi in collaborazione con enti governativi. L’evasione fiscale attuata da Pasanisi ammonterebbe a 2,6 milioni di dollari all’anno.
La Carr-Hartleys è una famiglia inglese che vive in Kenya da quattro generazioni. Gli affari vengono ora gestiti dai due fratelli Robert e William Carr-Hartley. Nei suoi vari siti di promozione turistica i due fratelli dipingono la loro famiglia affamata di avventura, appassionata per la salvaguardia degli animali selvaggi e orgogliosa di promuovere le meraviglie naturali del Kenya all’estero seguendo un rigido codice di condotta etica imposto dal nonno, fondatore dell’impero: Tom Carr-Hartley. I documenti resi pubblici della Mossack Fonseca rivelano che gli affari di questa famiglia inglese vengono curati all’estero tramite tre compagnie: la Raw Foundation e la Munga Munga Inc. registrate a Panama e la Safariland Inc. registrata nelle British Virigin Islands. L’evasione fiscale attuata dai fratelli Carr-Hartley è stimata sui 1,1 milioni di dollari all’anno.
Tutte le tre Grandi Famiglie utilizzano le ditte offshore gestire dalla Mossack Fonseca per gestire il flusso della ricca clientela proveniente dall’Europa, dalle Americhe, Cina e Russia. I pagamenti dei pacchetti turistici avvengono in anticipo tramite transazioni commerciali online su conti delle società fantasma registrate all’estero dei Paesi africani dove vivono e operano. Godendo di una pressione fiscale minima (dal 1 al 2.3%) queste holding del turismo africano si sono aggiudicate il titolo di grandi evasori fiscali mente le compagnie di tour operator africane pagano regolarmente le tasse ai propri governi. Il facoltoso cliente è ignaro della truffa in quanto le famiglie gestiscono i pagamenti online nella massima segretezza non permettendo al cliente di comprendere che sta pagando società che non operano in Africa e quindi al sicuro dai regimi fiscali dei rispettivi Paesi. Magia della finanza internazionale. Notare che i regimi fiscali africani prevedono di media dal 15 al 22% di tasse sulle attività turistiche.
“Non esistono particolari ragioni per i tour operator di effettuare le loro transazioni fiscali in lontani e sospetti Staterelli sparsi nel mondo. L’unica ragione evidente è di evadere le tasse.” Afferma Savior Mwambwa, funzionario di AciontAid International responsabile della campagna contro l’evasione fiscale in Africa. L’indagine di Richard Smalteacher (risalente allo scorso luglio) ha sollevato una tempesta mediatica in Kenya, Tanzania e Zimbabwe, confermando il nefasto ruolo di queste famiglie coloniali e il concetto truffaldino delle relazioni commerciali promosse dagli occidentali.
Ora le tre Grandi Famiglie sono intente ad attivare le loro “conoscenze” e “amicizie” presso i rispettivi governi africani per addolcire la reazione di fisco e magistratura. Voci al momento non confermate affermano che il presidente tanzaniano Magufuli intenda aprire una inchiesta giudiziaria contro la famiglia Pasanisi per recuperare le tasse non pagate e costringere il Tour Operator a utilizzare istituti finanziari tanzaniani per le transazioni commerciali, sottoponendolo così al controllo del fisco.
Totalmente diverso l’atteggiamento dei tour operator cinesi che operano nei Paesi africani tramite soci locali pagando quanto dovuto ai sistemi fiscali. I tour operator cinesi non aprono conti in paradisi fiscali. Per risparmiare cercano di ottenere esenzioni o riduzioni fiscali per i primi cinque anni destinati all’avvio dell’attività. Un metodo discutibile ma legale. La differenza tra i tour operator cinesi e quelli europei è un denominatore comune riscontrato i quasi tutti gli altri settori commerciali e produttivi. Gli europei promuovono concetti come commercio responsabile e solidale, rispetto dei diritti umani, sviluppo delle comunità locali, tutela ambientale, etica professionale per coprire fughe di capitali ed evasioni fiscali che mediamente rappresentano un 38% in più dei profitti annuali. Furberie che pongono le ditte occidentali in una situazione di vantaggio e concorrenza sleale, supportata da intense attività di corruzione delle autorità locali. Gli operatori cinesi non promuovono alcun valore etico commerciale. Fanno semplicemente degli affari nel rispetto delle leggi locali.
Una scelta obbligata dal Partito Comunista. Dal 2012, dopo una serie di scandali collegati a multinazionali cinesi operanti in Africa, il Politburo del PC ha rafforzato i controlli sui propri imprenditori e condannato quelli colpevoli di frodi e corruzione per aver minato l’immagine della Cina all’estero.
La differenza che influisce sulle scelte strategiche attuate in Africa dalla Cina e dall’Occidente è semplice da comprendere anche se ben nascosta. Le aziende occidentali operano nell’ambito del libero mercato che privilegia i profitti personali a scapito della società. I governi occidentali (deboli e dipendenti dal Grande Capitale) servono per favorire l’espansione delle multinazionali a volte scatenando veri e propri conflitti esteri. Le aziende cinesi devono convivere tra l’esigenza di generare profitti e l’obbligo dettato dal governo di contribuire alla crescita sociale ed economica del proprio Paese. Lo Stato (forte e indipendente) assume contemporaneamente il ruolo di promotore delle multinazionali cinesi e di moderatore dei loro eccessi. Un modello di sviluppo a cui ora molte Nazioni africane si stanno orientando.
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