Rwanda. Genocidio 1994. Kigali mette sul banco degli imputa­ti Francia e Vaticano

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Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Dic 2

Rwanda. Genocidio 1994. Kigali mette sul banco degli imputa­ti Francia e Vaticano

Un Olocausto non si dimentica facilmente come non si dimenticano le vittime e gli assassini. Nella eterna lotta diplomatica tra Rwanda e Francia, Kigali apre una inchiesta giudiziaria su vari alti ufficiali dell’esercito francese, sostenendo che ha le prove del loro coinvolgimento diretto nello sterminio di un milone di persone. Una accusa molto pesante

di Fulvio Beltrami

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La Francia si presenta all’opinione pubblica internazionale come un Paese difensore dei valori di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. Si presenta anche come martire del terrorismo islamico internazionale. Due miti trasformati abilmente in dogmi. La verità è assai diversa e drammatica. La politica estera francese si basa su tre pilastri: controllo finanziario, economico, politico delle colonie africane, destabilizzazione di Paesi sovrani in Medio Oriente, promozione del terrorismo salafista in Africa in stretta collaborazione con Arabia Saudita e Qatar (tra i migliori clienti della industria bellica francese). Avendo il controllo totale della Corte Penale Internazionale – CPI e sfruttando al meglio il suo seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza ONU, i vari governi francesi hanno fino ad ora evitato di essere sottoposti alla giustizia internazionale.

Il muro di omertà sugli atti criminali ed eversivi della Francia è stato infranto inaspettatamente dal Ministro ruandese degli Affari Esteri: Louise Mushikiwabo a qualche settimana dal Summit Mondiale della Francofonia che è iniziato sabato 26 novembre ad Antananarivo, capitale del Madagascar. In un breve comunicato stampa il Ministro degli Esteri ha comunicato che il governo ruandese ha aperto una procedura giudiziaria contro la Francia per gli atti terroristici e la piena partecipazione al genocidio ruandese del 1994. Una comunicazione ufficiale è stata inviata al Eliseo. La procedura giudiziaria si basa sulle prove raccolte in 22 anni dalla Commissione Nazionale per la Lotta contro il Genocidio (CNLG). Prove che sono state pubblicate online un mese fa e dimostrano senza ombre di dubbio che la Francia inviò negli anni Novanta esperti militari per addestrare le milizie ruandesi al genocidio. Il rapporto di CNLG dimostra che Parigi non si è limitata ad addestrare i genocidari ma ha commesso ben peggiori crimini.

Vendita di armi ad un Paese in guerra civile guidato da un regime genocidario. Invio di truppe per combattere il movimento democratico di liberazione: Fronte Patriottico Ruandese. Partecipazione attiva ai genocidi compiuti all’est del Rwanda, vicino i confini con il Congo. Boicottaggio di tutti i tentativi delle Nazioni Unite di far intervenire i Caschi Blu per fermare il genocidio. Protezione delle forze genocidarie sconfitte e ritiratesi in Congo (all’epoca Zaire). La procedura giudiziaria non rimarrà confinata nel Rwanda e legata ai già tesi rapporti diplomatici con la Francia. È ferma intenzione del governo di Kigali di portare il caso all’attenzione di tutti gli organismi giudiziari internazionali. “Useremo tutti I mezzi internazionali a nostra disposizione per costringere la Francia a rispondere dei suoi crimini” afferma il Ministro Mushikiwabo al quotidiano cinese Xinhua.

La procedura giuridica potrebbe precedere una seconda azione legale sugli atti terroristici compiuti dalla Francia dopo il genocidio e la vittoria delle forze democratiche che liberarono il Paese con il supporto delle truppe ugandesi e reparti d'élite dell’esercito americano, ponendo fine all’Olocausto. La lista dei crimini commessi da Parigi tra il 1996 e il 2014 è altrettanto lunga. Supporto attivo alla creazione del movimento terroristico ruandese Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda – FDLR, sostegno tecnico militare e finanziario dato per gli otto tentativi delle FDLR di invadere il Rwanda e terminare il genocidio attuati tra il 2001 e il 2013. Protezione dei ricercati internazionali ruandesi accusati di genocidio tra i quali la First Lady Agathe Habyarimana. Tentativo di riabilitazione politica internazionale del movimento terroristico FDLR, tentata nel 2013.

L’azione legale intrapresa dal Rwanda è l’epilogo della guerra diplomatica scoppiata due mesi fa con la riapertura della inchiesta sul omicidio del presidente Juvenal Habyarimana voluta dalla magistratura francese, nonostante le conclusioni della inchiesta del Parlamento francese compiuta nel 1998 che chiariscono che ad abbattere l’aereo presidenziale con a bordo Habyarimana fu l’esercito ruandese. Furono utilizzati missili terra aria classe SAM-16 venduti dalla Francia e l’assistenza tecnica di un consigliere militare francese Pascal Estevada. La riapertura della inchiesta ha un movente politico: quello di scagionare il governo francese e di addossare la responsabilità all’attuale presidente ruandese Paul Kagame, all’epoca leader del movimento di liberazione. La nuova inchiesta si basa su testimonianze assai dubbie provenienti dal dissidente ed ex generale Kayumba Nyamwasa e da un gruppo d’opposizione in esilio negli Stati Uniti : il Rwandan National Congress composto da ex genocidari ruandesi di cui leader è proprio l’ex generale Nyamwasa. 

La prima reazione di Kigali è stata quella di pubblicare una nutrita serie di telegrammi diplomatici inviati dal 1990 al 1994 dall’Ambasciata di Francia in Rwanda. Telegrammi che evidenziano senza ombre di dubbio la complicità di due Ambasciatori francesi nel Olocausto Africano. Sul banco degli accusati gli Ambasciatori Georges Martres e Jean-Michel Marlaud. Il primo impedí alla comunità internazionale di venire a conoscenza della natura genocidaria del regime di Habyarimana e contribuì ad assicurare un maggior impegno militare francese a favore del regime razial nazista negli anni che precedettero l’Olocausto. Marlaud assunse un ruolo di primo piano negli ultimi preparativi e nell’attuazione del genocidio, limitando addirittura le azioni del Generale Canadese Dallarie, capo dei caschi blu ONU, intenzionato a fermare sul nascere ogni tentativo genocidario.

L’azione legale intrapresa dal governo di Paul Kagame pone la Francia in grosse difficoltà. Il governo Hollande sta tentando di minimizzare l’avvenimento cercando di limitare il più possibile la sua copertura mediatica e, contemporaneamente, di impedire che qualsiasi tribunale internazionale accetti l’azione legale di Kigali. La Francia non può sostenere un processo simile che, se perso, metterebbe a nudo il ruolo eversivo e terroristico di Parigi non solo in Rwanda ma in molti Paesi africani e arabi. Il rapporto redatto dal CNLG (base della azione legale) è molto solido.

Sono riportati con meticolosità i crimini commessi, documenti dell’epoca, testimonianze di sopravvissuti e le confessione giurate di ex generali genocidari in prigione in Rwanda o in Tanzania. Il rapporto si concentra sui responsabili militari del supporto francese al genocidio. Nomi e cognomi divisi in tre categorie. I militari che assortirono il regime nazista prima del genocidio e durante i primi due mesi della sua attuazione. I militari coinvolti nella operazione di salvataggio delle forze genocidarie sconfitte denominata “Operazione Turchese”. I militari che operarono in Francia per assicurare l’appoggio politico e militare al regime di Habyarimana.

Il rapporto delle inchieste durate vent’anni che è alla base della procedura penale elenca nomi e cognomi degli alti ufficiali che prepararono, organizzarono e parteciparono al genocidio. Un lungo elenco di graduati francesi accusati di genocidio che sfata la propaganda del Eliseo che all’epoca aveva posto la Francia come un civile Paese occidentale costretto ad intervenire in Rwanda per porre fine ad un orrore del tutto inaspettato e imprevedibile. Tra gli accusati spiccano 7 figure che svolsero ruoli cruciali per la realizzazione del Olocausto: il Luogotenente Colonnello Michel Robardey, il Colonnello Jacques Rosier, il Colonnello Jacques Hogard, il Luogotenente Eric De Stabenrath, il Generale Jean-Pierre Huchon, il Generale Jean-Claude Lafourcade, il Capitano Paur Barril.

I crimini a loro imputati rientrano nei crimini contro l'umanita Luogotentente Colonello Michel Robardey. In missione militare in Rwanda dal settembre 1990 al aprile 1994 (data di inizio genocidio) nel 1992 ricevette da Parigi il compito di migliorare la lista di persone da eliminare. Per attendere all’obiettivo il Colonnello Robardey inventò un efficace sistema informatico di raccolta dati che permise alla polizia ruandese di registrare 652.332 nominativi, indirizzi, numeri di telefono e loro abitudini. Questa lista della morte venne utilizzata forze genocidarie per massacrare 482000 persone nei primi 10 giorni del genocidio. Robardey formò tecnici dell’esercito ruandese nel monitoraggio delle esecuzioni. Ogni persona uccisa veniva comunicata ai tecnici del centro informatico a Kigali che provvedevano a depennarla dalla lista della morte.

Il Colonnello Robardy organizzò anche le torture di migliaia di oppositori detenuti dal regime. Formò personale specializzato scelto presso la Guardia Presidenziale e organizzò il centro di torture presso i sotterranei della prigione centrale di Kigali. Robarday ritornò in Rwanda nel giugno 1994 a poche settimane dalla conquista della capitale da parte dei ribelli di Paul Kagame, con il compito di distruggere le prove del sistema di monitoraggio informatico del genocidio e del centro di torture istallato dalla Francia a Kigali.

Colonnello Jacques Rosier. Capo del Distaccamento di Supporto e Formazione Militare dell’esercito francese in Rwanda dal giugno 1992 al novembre 1992. Il Colonnello Rosier fu incaricato da Parigi di guidare l’offensiva militare per fermare l’avanzata del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) nel 1992. Il Colonnello Rosier coordinò i reparti dell’esercito ruandese (FAR), miliziani HutuPower, mercenari della Guardia Presidenziale inviati dal dittatore zairese Mobutu Sese Seko e due battaglioni francesi di paracadutisti. Le forze in difesa del regime genocidario usufruirono dell’appoggio dell’aviazione francese. Durante la sua permanenza in Rwanda il Colonnello Rosier aprì cinque campi di addestramento per i giovani arruolati nella milizia genocidaria Interahamwe. Il primi quattro campi erano collocati all’interno della caserma Gabiro, Cako, Mukamira e Bigogwe. Il quinto all’interno della Università di Nyakinama. Secondo le testimonianze raccolte il Colonnello Rosier nel marzo e novembre 1992 ordinò due massacri di tutsi presso il distretto di Bagogwe per testare la preparazione militare dei giovani Interahamwe da lui addestrare a massacrare i civili.

Colonnello Jacques Hogard. Comandante della Operazione Turchese nella provincia di Cyangugu, confine con il Zaire-Congo. Il Colonnello Hogard distribuì armi pesanti ai miliziani Interahamwe con lo scopo di contrastare l’avanzata del Fronte Patriottico Ruandese che dopo la caduta della capitale stava liberando il sud e l’est del Paese. Seppur dotati di moderne armi e montagne di munizioni i miliziani subirono una serie di pesanti sconfitte spingendo il Colonnello Hogard di ingaggiare nei combattimenti dei reparti di paracadutisti francesi. L’obiettivo era quello di bloccare l’avanzata delle FPR per poter raggruppare quello che rimaneva dell’esercito di Habyarimana e metterlo in salvo oltre confine nello Zaire. Ai miliziani Interahamwe fu permesso di massacrate 28.000 tutsi risiedenti nel distretto che non erano riusciti a scappare. Nel campo militare di Nyarushishi, tenuto dai soldati francesi, il Colonnello Hogard diede l’ordine di consegnare alle milizie genocidarie tutti i tutsi che avevano precedentemente trovato rifugio nel campo militare. Durante l’episodio vari soldati francesi violentarono donne tutsi e uccisero gli uomini che si opponevano alla decisioni di consegnarli alle milizie dai machete grondanti di sangue.

Luogotenente Colonnello Eric De Stabernath detto anche il Boia di Gikongoro. Al comando dei battaglioni francesi della Operazione Turchese nel distretto di Gikongoro dal 16 luglio al 22 agosto 1994. De Stabernath il 22, 26 luglio e il 12 agosto ordinò ai suoi soldati di partecipare alle pulizie etniche in atto nel distretto perpetuate dalla milizie Interahamwe. Nei posti di blocco vicini al campo militare di Murambi e sul principale asse stradale i soldati francesi si accertavano della appartenenza sociale isolando i tutsi e consegnandoli alle milizie genocidarie per essere eliminati.

Generale Jean Pierre Huchon. Vice del Generale Quesnot dal aprile 1991 al aprile 1993 e successivamente capo della Cooperazione Militare francese fino all’ottobre 1995. Il Generale Huchon coordinò l’invio delle armi francesi all’esercito e milizie genocidarie fedeli al regime HutuPower pur avendo sulla scrivania dettagliati rapporti di massacri di innocenti in Rwanda. Nel maggio 1994 (un mese dall’inizio del genocidio) il Generale Huchon ricevette presso il suo ufficio a Parigi il Luogotenente Colonnello Cyprien Kayumba, Capo della logistica dell’esercito ruandese per coordinare l’invio di armi per il Rwanda. Armi comprate dal governo francese presso la SOFREMAS una azienda statale francese.

Capitano Paul Barril, l'eminenza grigia del Genocidio. Dal 1990 basato in Rwanda come consigliere militare del Presidente Habyarimana, il Capitano Barril si oppose duramente a qualsiasi compromesso e iniziativa di pace con i ribelli del FPR. Sospettato di aver fatto parte del commando di francesi che abbatterono l’aereo presidenziale in fase di atterraggio all'aeroporto di Kigali con due missili terra aria, Barril dal 07 al 15 aprile comandò le forze speciali dell’esercito impegnate nella “Operazione Insetticida” a Kigali: 382.000 tutsi abbattuti in otto giorni. Barril è sospettato di aver raccolto la scatola nera del aereo presidenziale (un Falcon 50) per distruggere le prove dell’omicidio del presidente ruandese da parte dei francesi per porre al potere sua moglie Agathe Habyarimana e un gruppo di estremisti hutu che iniziarono immediatamente il genocidio.

Generale Jean-Claud Lafourcade ideatore della Operazione Turchese. Comandante della operazione di salvataggio delle forze genocidarie ruandesi dal 22 giugno al 22 agosto 1994. Il Generale Faourcade coprì tutti i Colonnelli e i Generali francesi che ordinarono ai loro uomini di partecipare ai massacri di tutsi. Organizzò il trasporto di armi e munizioni per le forze genocidarie e autorizzò azioni offensive per contrastare l’avanzata dei ribelli nonostante che l’operazione Turchese fosse stata presentata dalla Francia presso le Nazioni Unite come una “operazione strettamente umanitaria, imparziale e neutrale”.

L’iniziativa giudiziaria del governo ruandese non ha trovato al momento eco da parte dell’accusato: la Francia. Il governo Hollande ha preferito rinchiudersi nel silenzio suggerendo ai media nazionali di dare la minor pubblicità possibile alla offensiva diplomatica internazionale di Kigali. Una offensiva che non ha risparmiato il secondo grande attore della tragedia ruandese: il Vaticano.

Sostenitrice dell’iniziativa dei Padri Bianchi data 1957 di scrivere le basi teoriche per giustificare la supremazia razziale Hutu e il genocidio dei tutsi “Il Manifesto Bahutu”, la Santa Sede sostenne il dittatore nazista Juvenal Habyarimana per tutta la durata del suo sanguinario regime nonostante i rapporti ricevuti di pulizie etniche attuate negli anni Settanta e Ottanta. Il Vaticano ha tollerato la promozione da parte del clero hutu ruandese di odio etnico durante i sermoni domenicali. Congregazioni religiose belghe e italiane godevano dello statuto di consiglieri “spirituali” del dittatore Habyarimana. Il 68% delle vittime del genocidio (680.000 persone) furono uccise all’interno delle chiese, conventi e scuole cattoliche. I preti attiravano le vittime assicurando loro protezione per poi consegnarle indifese alle milizie genocidarie. Non è un caso che i principali monumento in memoria del Olocausto in Rwanda si trovano in chiese ora dissacrate.

Giovedì 24 novembre il governo ruandese ha duramente criticato la Chiesa Cattolica per la condanna inadeguata del suo ruolo durante il genocidio del 1994. Mea Culpa giunta dalla Conferenza Episcopale Cattolica del Rwanda agli inizi di novembre dove per la prima volta il clero ruandese ha ammesso di aver partecipato attivamente ai massacri. L'auto condanna è stata pronunciata dal Vescovo Philippe Rukamba, probabilmente influenzato dal vento di rinnovo di Papa Francesco. Una Mea Culpa obbligatoria ma pronunciata in maniera subdola, tipica del linguaggio diplomatico di questa istituzione temporale. Il Vescovo Rukamba ha ammesso la partecipazione al genocidio e chiesto perdono affermando che tale orrendo atto fu opera di individui all’interno del clero ruandese. Al contrario la partecipazione cosciente e attiva investì l’intero apparato ecclesiastico ruandese che benedì la moglie del presidente Agathe Habyarimana per aver salvato la Nazione. Benedizione ricevuta sei ore dopo aver fatto assassinare suo marito e fatto scoppiare il genocidio.

“L'iniziativa è benvenuta come espressione individuale di rimorso. Tuttavia risulta totalmente inadeguata e parziale in quanto occulta il ruolo della Chiesa Cattolica durante il Genocidio soggetta a responsabilità giuridiche. I vescovi sono apparsi molto concentrati a promuovere l’idea di partecipazioni individuali ai crimini per proteggere ed esonerare la Chiesa Cattolica dalla sua complicità contraddicendo le evidenze storiche.

Riteniamo disdicevole che questi uomini di fede abbiano scelto tali astuzie. Riteniamo necessaria un ampio esame di coscienza e l’espressione di perdono per il ruolo non di singoli individui ma di tutta l’apparato ecclesiastico cattolico ruandese. Perdono che in nessun caso può servire come giustificazione a rinunciare di portare i colpevoli dinnanzi alla giustizia.” Recita il comunicato ufficiale diramato dal Governo della Repubblica del Rwanda.

L'iniziativa di riconciliazione del Vescovo Rukamba seppur mitigata e offuscata ha trovato la resistenza da parte della maggioranza dei preti ruandesi hutu che si sono rifiutati di propagandare il messaggio nelle loro chiese. Un atto che ha indignato l’intera popolazione attaccata ai valori democratici e convivenza civile e pacifica tra etnie e classi sociali al tempo che fu antagoniste. Un atto che aumenta maggiormente isolamento e declino della Chiesa Cattolica in Rwanda a favore della Chiesa Protestante e delle idee progressiste, laiche e atee del Fronte Patriottico Ruandese che hanno ricostruito la Nazione dalle ceneri rendendola una potenza economica e militare a livello regionale.

Solo 20 preti e frati cattolici sono stati processati per la loro partecipazione al genocidio presso i tribunali ruandesi e presso il Tribunale Speciale ONU per il Rwanda ad Arusha, Tanzania. La maggioranza di questi criminali riuscì a fuggire nello Zaire protetti dalle truppe francesi per poi immigrare in Europa con falsi passaporti congolesi forniti dal clero cattolico zairese. La maggioranza di essi è protetto dal Vaticano in Francia e Italia. Ogni richiesta di estradizione internazionale è stata fino ad ora sistematicamente rifiutata dallo Stato Pontificio. Il supporto alle forze genocidarie continuò dopo il genocidio. I terroristi ruandesi FDLR furono periodicamente beneficiari della diplomazia vaticana di trasformarli in “puliti” interlocutori politici proponendo alle vittime ruandesi governi di unità nazionale con i loro carnefici. Ultimo di questa serie di tentativi quello avvenuto a Roma nel 2014.

Tramite alcune congregazioni religiose particolarmente attive nella promozione della pace nel mondo, la Chiesa Cattolica dal 1993 al 2015 ha sostenuto le forze genocidarie HutuPower burundesi guidate dal dittatore Pierre Nkurunziza. Solo il triplice omicidio di tre suore italiane ha spezzata questo insano legame con l’ideologia di morte HutuPower in Burundi. Un legame ora coperto dal silenzio. Il governo ruandese pur garantendo la libertà di culto alla Chiesa Cattolica rimane fermo su un punto: suore, frati, preti, vicari, vescovi cattolici che hanno partecipato al genocidio devono rispondere dei loro crimini dinnanzi ad un tribunale imparziale. A Papa Francesco la scelta di assecondare o meno la ricerca di giustizia del popolo ruandese.

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