Frammenti Africani è un resoconto giornalistico di tematiche complesse del Continente Africano, futuro epicentro economico mondiale, dove coesistono potenze economiche e militari, crescita economica a due cifre, guerre, colpi di stato, masse di giovani disoccupati e una borghesia in piena crescita.
Un mosaico di situazioni contraddittorie documentate da testimonianze di prima mano e accuratamente analizzate per offrire un'informazione approfondita sulla politica, economia e scoperte scientifiche di un mondo in evoluzione pieno di paradossi.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Gen 20
di Fulvio Beltrami
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Il Sud Sudan è al centro dell’attenzione dei media internazionali. Il 15 dicembre 2013 è esplosa una guerra civile all’interno dell’esercito Sudan People’s Liberation Army (SPLA) irremidiabilmente diviso tra forze leali al Presidente Salva Kiir (in prevalenza di etnia Dinka) e quelle leali al ex Vice Presidente Riek Machar (in prevalenza di etnia Nuer).
Mentre i colloqui di pace ad Addis Abeba giovedì 16 gennaio sono giunti ad un punto morto incapace di proclamare una tregua e frustrando gli sforzi di pace regionali, sul terreno la situazione è di guerra totale. Le forze ribelli controllano tre sui dieci Stati che compongono la Repubblica del Sud Sudan: Jongley, Unity e Upper Nile dove è garantita la maggioranza della produzione petrolifera vitale alla soppravvivenza economica del Paese.
Le forze governative stanno intensificando i loro sforzi per riprendere il controllo dei giacimenti e annientare la ribellione, confindando sulla forza militare del vicino Uganda che, per calcoli di pure convenienze economiche e geo-strategiche, ha deciso di intervenire nel conflitto a favore del Presidente Salva Kiir, sotto esplicita richiesta delle Nazioni Unite.
All’interno del conflitto si sono compiute orribili pulizie etniche perpetuate da entrambi i belligeranti con il supporto di milizie tribali quali la Nuer “White Army” (Armata Bianca) o l’ugandese “Arrow Boys” (Ragazzi Freccia).
L’estensione delle pulizie etniche e il dramma umanitario collegato (oltre 350.000 sfollati e 50.000 rifugiati nei vicini paesi, dati UNHCR), hanno portato i media internazionali a definire la guerra civile in Sud Sudan un conflitto etnico tra le principali etnie: Dinka e Nuer.
“L’attuale crisi in Sud Sudan non é una crisi etnica ma politica”, afferma Mabior Garang, figlio del leader storico del Sudan People’s Liberation Mouvement (LPLM): John Garang.
Questa dichiarazione, rilasciata ai principali media africani, ha fatto vacillare varie certezze, la prima che si tratti veramente di un conflitto etnico.
Mabior Garang, come sua madre: Rebecca Garang si è schierato nel campo del Dr. Riek Machar sostenendo la ribellione contro il Governo di Juba. Maboior è il rappresentante della ribellione ai negoziati di pace di Addis Abeba, Etiopia.
La scelta di campo attuata della famiglia Garang rende fragile la propaganda del Presidente Salva Kiir che dipinge l’attuale crisi come un’agressione etnica attuata dai Nuer per la conquista del potere.
I Garang appartengono al più importante clan dei Dinka, quello della città di Bor, capitale del Jongley State. Il clan di Bor è un antagonista storico al clan Dinka Nkog, quello a cui appartiene il Presidente Salva Kiir. Non é un caso che la prima città ad essere intaccata dal conflitto dopo la capitale, Juba, sia stata proprio quella di Bor.
Rebecca Garang, dopo la morte di suo marito e leader del movimento, avvenuta in circostanze misteriose nel luglio 2005, ha sempre sostenuto che non si trattava di un imprevedibile incidente aereo, come sostiene la tesi ufficiale, ma di un assassinio, individuando Salva Kiir e il Presidente ugandese Yoweri Museveni come i mandanti della morte di John Garang.
Fu politica la ragione dell’assassinio secondo la moglie di John Garang. Kiir e Museveni volevano impedire il realizzarsi del progetto politico del leader del SPLM: la liberazione del Sudan dal regime di Omar El-Bachir e la creazione di un paese unito democratico sulla base di una Costituzione Federale secondo la formula coniata dallo stesso Garang: “Due popoli, un solo paese”.
Alcuni esperti politoligi e storici regionali concordano con la tesi formulata da Rebecca Garang. Dopo la morte del leader gli accordi di pace furono interpretati per attuare una seperazione del sud del Sudan e la creazione dell’attuale Repubblica.
Una soluzione che permise a molti attori nazionali e stranieri di raggiungere i propri obiettivi. Salva Kiir fu nominato come successore di Johan Garang; l’Uganda aumentò la sua influenza politica ed economica nel Sud Sudan; il regime di Khartoum riuscì a restare al potere, nonostante le ribellioni nel Darfur, Sud Kordofan e Blue Nile; gli Stati Uniti intravisero un’ottima opportunità per convogliare il petrolio sud sudanese verso l’Africa Orientale, sottraendolo dal controllo del Sudan e delle multinazionali cinesi.
Progetto in fase di realizzazione tramite l’Uganda che nel novembre 2013 ha concluso un accordo commerciale con il Sud Sudan. L’accordo prevede la creazione di un oleodotto che dagli stati di Unity e Upper Nile giunga fino alla raffineria ugandese di Hoima, in fase di costruzione. Secondo il disegno del Presidente Museveni gran parte del greggio sud sudanese verrá raffinato in Uganda che curerà la distribuzione di carburante e prodotti derivati sul mercato regionale, mentre una minoranza del greggio sarà trasportata fino al porto di Lamu, Kenya tramite oleodotto, per essere messa a disposizione dei mercati occidentali.
Mabior Garang individua l’attuale crisi nella cupidigia del Presidente Salva Kiir di mantenere a tutti i costi il potere creando uno stato cleptomane e alla mercé di potenze straniere.
Il primo nodo del problema politico risiede nella Costituzione. La Repubblica del Sud Sudan è l’unico paese al mondo a non possedere una Costituzione.
“Nel 2011 è stata creata una Costituzione provvisoria per poter gestire la fase di transizione dall’indipendenza alla creazione di solide strutture amministrative e statali. Immediatamente fu costituita una apposita commissione: la Constitutional Review Commission (CRC), con il compito di redigere una Costituzione permanente per il Sud Sudan che doveva entrare in vigore nel 2014 tramite referendum.
La popolazione sud sudanese sarebbe stata chiamata alle urne nel 2013 per esprimere il suo parere sul testo della Costituzione permanente, sopratutto su importanti punti quale il federalismo e la forma di governo piú appropriata. La proposta costituzionale doveva essere pronta entro la fine del 2012.
Il Governo di Juba, dominato dal Presidente Salva Kiir, fin dall’inzio ha boicottato i lavori della CLC, privandola dei fondi necessari che impedirono il primo compito degli esperti: condurre consultazioni popolari su tutto il territorio nazionale per ottenere gli spunti per redarre una Costituzione sentita dalla popolazione.
In queste condizioni la commissione giunse al dicembre 2012 senza aver potuto terminare i lavori, ricevendo un’estensione del mandato fino al 9 gennaio 2013.
Nonostante l’estensione il boicottaggio continuò in modo sistematico e la Costituzione rimane tutt’ora lettera morta. Gli unici documenti di riferimento per l’intero paese sono quelli redatti dal Bolitburo politico del SPLM durante la guerriglia che prevedono un Sudan unito da Khartoum a Juba su basi federali.
Il boicottaggio nella stesura della Costituzione fu, per me, il primo segnale che non vi saranno elezioni Presidenziali nel 2015 e che il Presidente Salva Kiir ha come obiettivo quello di instaurare una dittatura.”, spiega Mabior Garang.
Il SPLM è una istutizione in transizione da movimento guerrigliero per la liberazione contro il dominio arabo del nord a un strutturato partito politico capace di gestire il processo democratico e lo sviluppo economico della piú giovane nazione africana. La situazione attuale vede la Costituzione provvisoria decaduta (nel 2012) e mai rimpiazzata da una definitiva. Il Paese viene gestito per decreti Presidenziali formulati da Salva Kiir.
“Al problema della mancanza di una Costituzione si aggiunge la mancanza di democrazia all’interno del SPLM. Potere e decisioni sono nelle mani del clan del Presidente, i Dinka Ngok. Salva Kiir ha adottato un’atteggiamento autoritario per riuscire ad imporre la sua volontá a scapito del benessere nazionale.
Il Codice Interno era un documento che aveva il compito di regolare le attività del partito assicurando la necessaria trasparenza, la democrazia, la libertá di dibattito. Il Codice Interno impediva inoltre la supremazia di un clan o di una etnia, suddividendo posti e responabilità su tutte le realtà che compongono il SPLM. Come per la Costituzione, Salva Kiir boicottò il Codice Interno rifiutandosi nel 2013 di firmare la stesura finale del documento.
Le decisioni più importanti all’interno del partito vengono ancora effettuata per alzata di mano e non tramite il voto segreto. In questo modo il Presidente Salva Kiir ha la possibilità di influenzare le più importanti decisioni e di vendicarsi di tutte le figure politiche contrarie alla sua volontá. Una situazione estremamente pericolosa per il paese poiché non si è ancora effettuata una netta separazione tra SPLM e Governo, causa il rifiuto di Salva Kiir di registrare il SPLM come partito politico”.
Salva Kiir non ha firmato neanche la nuova legge elettorale approvata dal Parlamento aumentando così i timori della popolazione che le elezioni non verranno indette per il 2015.
Una smentita dei dubbi di Mabior Garang proviene dalla dichiarazione di un ufficiale dell’esercito fedele al Governo di Juba, rilasciata il 19 gennaio al quotidiano Sudan Tribune: “Dalle notizie che ho il Presidente non rinuncerà a presentarsi alle elezioni del 2015”. L’ufficiale conferma che le elezioni saranno mantenute come da programma ma seri dubbi si insinuano nella loro trasparenza se questa guerra civile dovesse continuare.
“Durante questi tre anni di mandato il Presidente Salva Kiir ha comandato il paese solo in funzione dei propri interessi e quelli del suo clan, impossessandosi delle risorse del paese e dirottandole verso conti bancari esteri in Uganda, Kenya e Europa. L’opposizione é intimidita, comprata o ridotta al silenzio. Il paese, pur avendo a disposizione decine di milioni di dollari provenienti dai giacimenti petroliferi, dopo tre anni dall’Indipendenza ha solo 480 km di strada asfalta in parte presso la capitale e l’asse Juba-Nimule che collega il paese all’Uganda”, sottolinea Mabor Garang.
Le accuse di Mabor trovano un riscontro nella realtà. Il Sud Sudan, in soli tre anni di esistenza, è già considerato uno tra i paesi più corrotti in Africa. Molti esperti internazionali sostengono che si sta assistendo ad una totale incapacità della leadership nella gestione del paese.
Molti Ministri e alti ufficiali del Governo hanno proprietà e depositi bancari in Uganda per facilitare la fuga dei capitali provenienti dalla corruzione per investirli in paesi stranieri considerati più stabili. Una situazione che ricorda il Governo di Ellen Johnson Sirleaf in Liberia.
Educazione e sanità sono per la maggior parte, affidate all’assistenza offerta dalle Agenzie umanitarie Onu e dalle Ong internazionali. Scuole e ospedali di una discreta qualità sono concentrati nella capitale e gestiti da investitori privati Ugandesi e Kenioti che inevitabilmente precludono questi servizi sociali alla maggioranza della popolazione che non ha reddito sufficente per supportare le costose spese per le rette scolastiche e le cure sanitarie. Si può affermare che scuole e ospedali degni di questo nome siano alla sola portata del Governo, dei militari e degli espatriati.
Il Governo fino ad ora non ha lanciato un credibile piano economico per promuovere l’agricoltura, preferendo affittare immensi lotti di terra fertile alle multinazionali straniere per la produzione di cibo destinato in Occiddente, Cina e Medio Oriente. Il Sud Sudan importa la maggioranza dei prodotti alimentari dai vicini Etiopia, Kenya, Uganda. Nessuna industria è stata creata nemmeno da ditte straniere che al momento attuono solo investimenti speculativi nel paese.
La natura dell’attuale Governo è visibile a Juba. Da cittadina periferica del Sudan, importante solo da un punto di vista strettamente militare essendo vicina all’Uganda, Juba è divenuta una capitale di quasi 600.000 persone in costante espansione.
Una capitale dove non esiste nessun piano urbanistico, rete fognaria ed ellettrica, acqua corrente e potabile, servizi di nettezza urbana. L’acqua corrente, quella potabile e la raccolta di rifiuti vengono assicurati da ditte private prevalentemente etiopi. Juba è la città africana con più alta concentrazione di generatori per abitante nonostante che rimane intatta ma non utilizzata la rete elettrica originaria costruita dal Governo di Khartoum negli anni Ottanta.
Al posto di rendere Juba una capitale vivibile, nel 2012 il Presidente Salva Kiir ha speso oltre 600.000 dollari per la progettazione di una città futuristica che doveva diventare la nuova capitale del Sud Sudan. Progetto abbandonato agli inizi del 2013 a causa della chiara impossibilitá finanziaria a realizzarlo.
Il 78% della popolazione è analfabeta, il 46% soffre di insufficenza alimentare, il 62% non ha accesso alla sanitá, acqua potabile ed elettricitá. La mortalitá infantile e marterna è tra le più alte del Continente. I villaggi non possiedono abitazioni in muratura che sono rare anche nelle principali città.
Mabor Garang ci offre un’altra versione degli avvenimenti del 15 dicembre 2013 che hanno acceso la miccia del conflitto.
“Le dimissioni del Vice Presidente Riek Machar e dell’intero governo avvenute nel luglio 2013 sono state decise da Salva Kiir per consolidare il potere all’interno dello Stato e del Partito. Anche se il Dr. Riek Machar, all’epoca non aveva scelto l’opzione militare pur detenendo il controllo del 50% dell’esercito, era chiaro che questa insensata avventura politica comportava seri pericoli per la stabilitá del Sud Sudan.
Dinnanzi alla inaspettata scelta del Dr. Machar di non scatenare la guerra civile, lanciando appelli alla calma e dichiarando la sua volontá di rispettare le regole democratiche presentandosi alle elezioni presidenziali del 2015, Salva Kiir ha attuato una vera e propria esclalation di provocazioni e sopprusi per impedire a Machar di presentarsi come candidato. Salva Kiir conosce bene che in questa eventualitá la vittoria sarebbe stata riportata dal Dr. Machar essendo piú popolare all’interno del partito.
Quello che è avvenuto il 15 dicembre 2013 non è stato un colpo di stato ma una reazione delle truppe fedeli al Dr. Machar contro il tentativo del Presidente Kiir di arrestarlo. Per compiere questo arresto Salva Kiir poteva contare solo sulla Guardia Presidenziale e ha tentato di disarmare soldati e ufficiali di questo corpo d’elite appartenenti all’etnica Nuer. Questa é stata la miccia della guerra civile.
La maggioranza dei politici e militari arrestati il 15 dicembre 2013 sono personaggi noti alla popolazione per opporsi all’aumento dell’autoritarismo di Salva Kiir e ai suoi tentativi di instaurare una dittatura clanica nel paese.
Questi politici e militari si erano recentemente opposti alle dimissioni dei Governatori degli Stati di Lakes e Western Upper Nile. Al loro posto Salva Kiir ha nominato nuovi governatori a lui fedeli che non sono stati eletti dalla popolazione come normalmente si dovrebbe fare.
Nessuno delle persone arresate è stato fino ad ora incriminato per tentativo di colpo di stato. Sono detenuti senza accuse per il semplice motivo che Salva Kiir considera il termine opposizione sinonimo di tradimento”.
Mabior spiega anche le ragioni che hanno spinto sua madre, Rebecca Garang, ad allearsi con il Dr. Riek Machar, nonostante i risaputi contrasti tra Machar e John Garang durante la guerra civile contro il nord che portarono il leader dei Nuer a formare un proprio movimento ribelle alleato con Karthoum.
“Mia madre è sulla scena politica del paese da vent’anni. Dopo la morte di mio padre si era ritirata a vita privata dedicandosi ai lavori agricoli presso la fattoria di famiglia. Se il Sud Sudan fosse stato governato giustamente non sarebbe ritornata nell’arena politica.
È stata costretta a ritornare poiché il progetto politico del SPLM è stato rubato da degli individui che pretendono di avere una visione di sviluppo nazionale ma usano le loro posizioni di potere per arricchirsi. Questi individui hanno deliberatamente contribuito a distruggere il nome di John Garang e la possibilitá di un futuro per il Sud Sudan. Se Rebecca Garang si fosse astenuta da questa drammatica lotta politica le violenze etniche avrebbero preso un ampiore apocalittico. L’alleanza tra Riek Machar e Rebecca Garang dona la speranza alla popolazione che é ancora possibile una unitá nazionale in Sud Sudan”.
Sabato 18 gennaio lo Stato Maggiore dell’esercito regolare ha annunciato di aver ripreso la capitale dello Stato di Jongley: Bor, teatro di violenti scontri da 18 giorni. Notizia confermata dal portavoce dell’esercito ugandese, UPDF. L’esercito regolare ha tentato di entrare all’interno della base delle Nazioni Unite dove hanno trovato rifugio 9.000 civili. Le intenzioni dei soldati erano di attuare un massacro. Il Segretario Generale Ban Ki-Moon ha condannato il tentativo dell’esercito sud sudanese.
Nello Stato di Warrap l’esercito governativa sta rafforzando le sue truppe per evitare una imminente ribellione e ne approfitta per eliminare i dissidenti politici.
La riconquista della strategica città è stata possibile grazie al massiccio supporto delle truppe e dell’aviazione ugandese. Il portavoce del UPDF ha affermato che la cattura di Bor rappresenta uno scacco matto per la ribellione che ora ha dinnanzi la scelta di firmare la tregua ad Addis Abeba o essere annientata.
Alcuni esperti militari regionali invitano ad essere prudenti, considerando le dichiarazioni dell’esercito ugandese troppo ottimiste dinnanzi ad una realtà complessa come quella del Sud Sudan.
“Il rischio di una guerra civile protratta é ancora presente. Quella genta ha combattuto il nord per oltre venticinque anni e sono determinati ad andare fino in fondo pur di raggiungere i loro obiettivi. Se non si trova una soluzione politica il Sud Sudan potrebbe rischiare di essere impantanato in un conflitto di lunga durata. Dubito che Riek Machar sia stato messo in un angolo. Dinnanzi a qualche sconfitta strategica la ribellione potrebbe optare per una guerriglia per logorare le truppe governative e quelle ugandesi, privare il Governo di Juba dei proventi petroliferi attuando operazioni di sabotaggio presso i pozzi petroliferi e costringendo il Presidente Salva Kiir ad aumentare l’autoritarismo, paralello alla diminuzione della sua popolaritá tra la popolazione”, fa notare un esperto militare ruandese su copertura di anonimato.
Che occorra trovare una soluzione politica non è solo il parere di esperti militari regionali o giornalisti di alto calibro come l’ugandese Andrew M. Mwenda, direttore del settimanale The Independent, ma anche quella di Mabor Garang.
“Esiste un tentativo da parte di Salva Kiir e di quelli che lui defisce i “saggi Dinka”, in realtà loschi individui del suo clan, di trasformare il conflitto politico all’interno del SPLM a lui sfavorevole in una conflitto militare, ricevendo l’aiuto dell’Uganda.
Quello che è avvenuto il 15 dicembre 2013 é un pericoloso arretramento delle conquiste democratiche del SPLM e del paese.
La soluzione rimane politica e non militare.
Le forze ribelli sono state costrette a prendere le armi. I leader reginali e internazionali dovrebbero concentrare le loro energie per far terminare le ostilità e pretendere il ritorno alla competizione democratica.
Al contrario sono solo le armi a parlare in questo momento. Il motivo è semplice. Salva Kiir ha perso ogni legittimità e una soluzione politica alla crisi passerebbe su una radicale revisione della gestione del potere, della democrazia interna al SPLM e una Costituzione equilibrata e federale che limiti l’attuale strapotere presidenziale e ponga le basi per una futura stabilitá, una democrazia e un reale sviluppo del Sud Sudan”.
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