Il filosofo e l’ingegnere

Il blog intende mettere in evidenza i risvolti filosofici delle tecnologie attuali più rivoluzionarie e mostrare come molte di queste tecnologie siano state anticipate dal pensiero dei filosofi antichi, in modo da riavvicinare il “classico” allo “scientifico”, il “tecnico” all’“umanistico”, termini che la cultura contemporanea considera radicalmente opposti, ma che parecchi secoli fa costituivano le due metà di una stessa mela.

Mario Abbati

Mario Abbati
Mario Abbati è nato a Roma nel 1966. Laureato in Ingegneria Elettronica e poi in Filosofia, ha trovato nella scrittura una dimensione parallela a quella di professionista nelle tecnologie dell’informazione.
Ha pubblicato i saggi “Ipercosmo, la rivoluzione interattiva, dai multimedia alla realtà virtuale” e “Manifesto del movimento reticolare”; la raccolta di racconti “La donna che ballava il tango in senso orario”; il romanzo, “Il paradiso delle bambole”.

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Giu 6

La dinamica del quattro

Empedocle e la psicologia junghiana

di Mario Abbati

Uno degli effetti sciagurati del processo di unificazione dell’Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, fu l’azzeramento economico e culturale di una regione che da sempre si era segnalata come una delle più sviluppate del Mediterraneo. Mi riferisco alla fascia di territorio peninsulare compresa fra la Campania e la Sicilia che, saltando con la macchina del tempo dalla Magna Grecia alla dominazione araba e poi al Regno delle Due Sicilie, fece da culla a una delle civiltà più fiorenti d’Europa; fino alla brutale invasione dei piemontesi che in pochi anni cancellò il paziente lavoro dei secoli, dando inizio a una fase di decadenza che ancora oggi non si è arrestata.

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Mag 4

L'acqua di Talete

Un precursore della scienza moderna

di Mario Abbati

Le scoperte della scienza moderna hanno permesso di stabilire un interessante parallelo fra la composizione della Terra e la materia di cui sono costituiti i suoi abitanti, il che rafforza le quotazioni di chi sostiene che il nostro pianeta sia un organismo e che ciascuno di noi ne imiti la struttura su scala ridotta.

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Apr 20

Platone e la realtà virtuale

Un'intuizione dal passato remoto

di Mario Abbati

Negli anni ’90 del ventesimo secolo sembrava il rimedio per cancellare i mali più terribili dell’umanità, qualunque argomento si tirasse in ballo – dall’arte alla medicina, dal marketing alla sociologia – la realtà virtuale si candidava come tecnologia rivoluzionaria in grado di arricchire il bagaglio delle nostre esperienze superando i limiti palesi dei cinque sensi.
Ah, dimenticavo: per realtà virtuale s’intende una tecnologia che permette a un essere umano di trovarsi in un ambiente simulato, cioè costruito al computer, tale che la sua impressione soggettiva di presenza sia, tendenzialmente, indistinguibile da quella che si prova in un ambiente reale. Detto in soldoni: si equipaggia un utente con un kit di sensori – cuffie, ottiche, protesi tattili e rilevatori di movimento – e lo si spara dentro un ambiente artificiale creato al computer, in modo che ad ogni azione del primo corrisponda una reazione del secondo. Le applicazioni sono le più svariate, basta indossare uno di quei caschi sensoriali dal profilo aerodinamico e si può volare dentro la copia in 3D della Basilica di San Pietro, scendere lungo il corso dell’arteria femorale remando nella marea dei globuli rossi, visitare il progetto simulato del mio futuro appartamento prima ancora che venga costruito.
Ma di che materia sono costituiti i mattoni che compongono gli ambienti virtuali? Sostanzialmente si tratta di triangoli, unendo i quali si compongono tutte le superfici del modello: è un po’ come avere a disposizione un numero enorme, praticamente infinito, di triangoli di tutte le forme e dimensioni e usarli come le tessere di un mosaico per costruire volumi nello spazio; se i triangoli sono sufficientemente piccoli e se ne possono usare quanti se ne vuole, si potrà modellare con essi qualunque superficie anche quelle più curve e irregolari.
Ora leggiamo con attenzione questo corsivo: “E prima di tutto, che fuoco e terra e acqua e aria siano corpi, è chiaro ad ognuno. Ma ogni specie di corpo ha anche profondità; e la profondità è assolutamente necessario che contenga in sé la natura del piano, e una base di superficie piana si compone di triangoli… E tutti questi elementi bisogna concepirli così piccoli che nessuna delle singole parti di ciascuna specie possa essere veduta da noi per la sua piccolezza, ma, riunendosene molte insieme, si vedano le loro masse”.
A parlare è Platone, nel Timeo, uno degli ultimi dialoghi che ci ha tramandato duemilatrecento e rotti anni fa. Al netto della prosa dal sapore accademico, la materia che il filosofo ateniese pone alla radice dei quattro elementi fondamentali – fuoco, terra, acqua e aria – è la stessa materia di cui fa uso la realtà virtuale: un’infinità di minuscoli triangoli che cuciti insieme possono riprodurre qualsiasi mondo possibile.
Una coincidenza? Un’interpretazione anacronistica? O piuttosto l’effetto di una cultura arcaica a tutto tondo, senza compartimenti stagni, che permetteva al libero pensatore di postulare invenzioni avveniristiche pur non disponendo di computer e protesi sensoriali?

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