Siria. Fallito il gioco Americano?

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Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Mar 31

Siria. Fallito il gioco Americano?

Il cessate il fuoco decretato in Siria è stato presentato come una importante conquista in previsione della pace nel martoriato Paese Mediorientale. Al contrario rientrava in un machiavellico gioco strategico di Washington come denuncia il sito di analisi politiche Global Research. Un piano fallito grazie alla capacità di Damasco, Teheran e Mosca di ribaltare le regole del gioco contro i suoi stessi ideatori. Le recenti vittorie militari del governo siriano pongono il Presidente Assad come figura politica impossibile da ignorare negli accordi di pace regionali. Vittorie rafforzate da quelle registrate in Iraq dalla coalizione sunnita-sciita del esercito regolare e i guardiani della rivoluzione iraniana

di Fulvio Beltrami

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Dinnanzi all’impasse del conflitto siriano, Washington stava preparando un machiavellico gioco per far affondare il governo di Damasco, rafforzando il gruppo terroristico di matrice sunnita: ISIL DAESH. Prendendo atto del ruolo attivo che Mosca ha deciso di giocare nella crisi, la mente più brillante della politica americana: Henry Kissinger (92 anni) si è recato agli inizi di febbraio a Mosca per incontrare di persona il presidente russo Vladimir Putin. L’obiettivo era quello di bloccare il pericoloso confronto con la potenza europea innescato dalla Amministrazione Obama. Uno scontro che apriva serie ipoteche sul futuro dell’umanità. La vecchia Sfinge, Kissinger, ha portato un vento di pace e di collaborazione diplomatica ed economica, ben accolto da Mosca. Una inversione di marchia nella politica estera americana rafforzata dagli intenti effettuati da Papa Francesco nel riavvicinare le chiese Cattolica e Ortodossa proponendo un incontro religioso, il primo dal Grande Scisma avvenuto nel 1054.

Il processo di distensione offerto da Kissinger nascondeva però una strategia machiavellica che Washington intende attuare utilizzando i vari attori della guerra siriana, secondo il giornalista F. William Engdahl . Strategia descritta in un suo recente articolo pubblicato sul sito di Global Research. F. William Engdahl oltre che giornalista è un professore di politica presso l’Università di Princeton, esperto di geopolitica petrolifera che collabora con la rivista specializzata New Eastern Outlook. Secondo l’analisi di Engdahl Washington, Pentagono e il Dipartimento di Stato Americano, seguendo le volontà di Wall Street hanno pianificato fin dal inizio la crisi e consequente conflitto in Siria, Paese strategico per il controllo degli idrocarburi del Medio Oriente. La sconfitta del regime siriano era destinata a trasformare radicalmente la situazione geopolitica regionale a favore degli Stati Uniti.

Per raggiungere gli obiettivi gli strateghi americani hanno deciso di giocare sugli antichi e mai assopiti sogni imperialisti mediorientali nutriti da potenze regionali quali Turchia e Arabia Saudita. La prima tesa a ricreare l’Impero Ottomano e la seconda ad espandere l’influenza sunnita anche a costo di una guerra religiosa contro la componente islamica dei sciiti, rappresentata dal Iran. All’interno di questa strategia il gruppo terroristico ISIL DAESH era il principale strumento di successo. In Siria l’opposizione armata è di fatto egemonizzata da questi terroristi-mercenari stranieri, sorti dal nulla cinque anni fa. I successi militari ottenuti dal DAESH servivano a indebolire la posizione del presidente Assad e del suo governo, favorendo le pretese occidentali di una auto abdicazione come prerogativa alla pace nel Paese. Una associazione assai irreale. Alla caduta del regime, la Siria seguirebbe il destino e le dinamiche della Libia, sprofondando in decenni di guerre civili tra le varie componenti nazionali e straniere che formano l’opposizione siriana, reale nella propaganda dei media occidentali ma non sul terreno.

Quando la Russia decise di intervenire militarmente in Siria nel settembre 2015 la strategia americana ha subito un duro colpo. Consapevoli delle intenzioni di Washington, i russi hanno colpito il principale attore bellico alleato dell’Occidente: il DAESH. Una mossa mortale per gli interessi occidentali ma impossibile da condannare in quanto ufficialmente Stati Uniti ed Europa avevano già annunciato la loro intenzione di annientare il pericoloso gruppo terroristico. Un annuncio ovviamente orientato a creare una cortina fumogena di protezione alle reali intenzioni e ai rapporti finanziari militari con le forze mercenarie ISIL DAESH operanti in Siria. Forze divenute strategiche anche per il controllo dei giacimenti petroliferi in Iraq. Con orrore Washington aveva constatato che i miliardi di dollari e le centinaia di vite americane persi in due guerre e in una lunga occupazione del Iraq avevano paradossalmente creato una situazione dove il governo democratico stava cadendo sotto l'influenza di Teheran. Da qui nasce l'avventura militare del ISIL in Iraq con il chiaro intento di creare una guerra religiosa tra sunniti e sciiti, annientando quest’ultimi.

Intimoriti dalla efficacia del esercito russo e dal uso di impensabili armi futuristiche, gli Stati Uniti sono strati costretti a rivedere la strategia originaria per la Siria. Una necessità resa urgente dopo che le provocazioni militari turche contro l’aviazione russa, non hanno prodotto i risultati sperati. L’intervento russo è stato dettato dalla necessità di difendere gli interessi economici e strategici nazionali nella regione. Per bloccare i successi militari russi contro gli alleati terroristi, Washington ha manipolato le decisioni delle Nazioni Unite, coinvolgendo la Russia nel progetto di pace per la Siria, sancito dalla risoluzione numero 2254 del Consiglio di Sicurezza ONU del 18 dicembre 2015 che rese possibile la ripresa dei colloqui a Ginevra. L’unico compromesso a favore degli alleati Sauditi: escludere dai colloqui i guerriglieri Curdi Siriani.

La proposta del cessate il fuoco avanzata a fine febbraio come condizione per la ripresa delle trattative di pace non poteva essere rifiutata da Mosca seppur consapevole che la proposta era un’arma strategica degli americani a favore dei loro alleati terroristi. Il reale obiettivo della proposta americana era quello di fermare l’offensiva condotta dalla coalizione militare internazionale pro Assad composta dagli eserciti regolari russo e siriano, dai miliziani curdi siriani, dalle forze libanesi degli Hezbollah e dai volontari iraniani. L’obiettivo era quello di evitare la distruzione delle forze terroristiche DAESH e Al-Nusra Front e il colpo mortale a loro inflitto con la pianificazione della riconquista delle strategiche città di Aleppo e di Palmira.

La tregua proposta ed accettata da Mosca e da Damasco, serviva anche per preparare il terreno alla invasione degli eserciti turco e saudita direttamente coordinata dalla NATO e Stati Uniti che avevano inviato 50 agenti speciali in Siria per preparare il terreno. L’intervento di Turchia e Arabia Saudita avrebbe costretto la Russia ad abbandonare il teatro di guerra mediorientale per evitare un conflitto mondiale, secondo i calcoli di Washington. Secondo le rivelazioni fatte a Global Research da un alto ufficiale del Pentagono protetto da anonimato, gli Stati Uniti stavano finanziando la logistica degli eserciti saudita e turco per invadere la Siria con la scusa di attaccare i territori controllati dal ISIL DAESH. In realtà il piano militare era inteso in un rafforzamento dei terroristi stranieri in chiave anti Damasco, anti russa. La Turchia aveva chiesto in cambio l’annientamento dei curdi siriani (ora alleati al partito curdo turco PKK) mentre l’Arabia Saudita l’annientamento delle forze libanesi Hezbollah e dei volontari iraniani. Identico piano e identici obiettivi venivano proposti dal Generale MacFarland, capo della coalizione americana contro il DAESH in Iraq che ha speso mesi per convincere il governo iracheno ad accettare una invasione militare turca per debellare il pericolo terrorista nel Paese.

La strategia americana di contenimento della vittorie militari russe iraniane riportate in Siria e Iraq era quello di utilizzare due potenze regionali alleate: Turchia e Arabia Saudita per creare una guerra per procura contro Mosca e Teheran sia in Siria che in Iraq da inglobare all’invasione dello Yemen. Il rischio di un confronto diretto con l’esercito russo presente ad Aleppo era altissimo ma gli alleati confidavano sullo statuto di paese membro della NATO che gode la Turchia. Un eventuale scontro militare tra i due eserciti sarebbe stato presentato all’opinione pubblica internazionale come una incomprensibile aggressione di Mosca ad una forza militare “amica” giunta in rafforzo per debellare il pericolo terroristico in Siria.

La machiavellica trappola americana del cessate il fuoco sembra essere stata sventata da una serie di efficace e devastanti contromosse russe. Mosca ha imposto ed ottenuto che all’interno degli accordi sul cessate il fuoco fossero esclusi i gruppi terroristici DAESH e Al-Nusra Front. Una richiesta difficile da rifiutate da parte delle potenze occidentali. Ottenuto questa condizione, l’esercito russo si è concentrato sulle posizioni tenute dai terroristi scatenando un inferno senza precedenti nella storia del conflitto siriano, utilizzando armi convenzionali e non. Gli attacchi intrapresi anche con armi proibite dalla Convenzione di Ginevra avevano come obiettivo massacrare le forze terroristiche al fine di permettere alla fanteria dell’esercito siriano, ai miliziani curdi, alle forze libanesi Hezbollah e ai volontari iraniani di lanciare una offensiva terrestre su pozioni tenute dai terroristi decimati. L’offensiva militare russa è stata coronata da un pieno successo. Le posizione tenute dai terroristi sono state spazzate via dall’aviazione russa e dalle forze terrestri siriane. La riconquista della città archeologica di Palmira rappresenta un successo militare e diplomatico senza precedenti che pone il presidente Assad come il principale attore politico di una futura pace in Siria regalandogli un ruolo primario nella lotta internazionale contro il terrorismo, divenendo un difensore dei patrimoni culturali dell’umanità e del Cristianesimo d’Oriente.

Terminata l’offensiva aerea Mosca ha ordinato il ritiro della maggioranza delle sue truppe presenti in Siria, assicurandosi però la presenza di una sufficiente copertura aerea per le future offensive militari dell’esercito siriano e dei suoi alleati. La vittoria militare di Damasco ha privato a Turchia e Arabia Saudita del pretesto per invadere il Paese, mentre il strategico ritiro russo ha ridotto a zero la possibilità di incidenti militari dalle conseguenze internazionali. Ora Damasco si sta preparando per riconquistare Aleppo, tenuta dal ISIL DAESH. Alle vittorie siriane sono seguite quelle in Iraq ottenute dal esercito regolare e dai volontari iraniani che ora si apprestano a riconquistare la città di Mosul. Parlare di volontari iraniani è in realtà un eufemismo. L’Iran ha inviato le sue migliori forze militari a sostenere i combattimenti contro il ISIL DAESH. Sono stati l'esercito iraniano e i Guardiani della Rivoluzione ad impedire un anno fa la caduta di Baghdad e a rendere possibile la sanguinosa e lenta controffensiva che sta liberando i territori occupati dal ISISL che, all’inizio del 2015 corrispondevano a tre quarti del Iraq.

Nonostante le recenti tragedie in Francia e Belgio e alla doverosa solidarietà con i familiari delle vittime e con le popolazioni in generale di questi due Paesi europei, occorre non perdere di vista la verità che sta al summit della guerra mondiale contro il terrore islamico. Il terrorismo, unicamente di matrice sunnita è una arma in mano a potenze regionali quali Turchia e Arabia Saudita e potenze occidentali quali Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia. Da Al-Qaeda al ISIL DAESH, da Boko Haram a Al-Qaeda Magreb questi gruppi terroristici sono stati creati e finanziati dall’Occidente e vengono utilizzati per ottenere la supremazia in Medio Oriente ed impedire all’Africa di evolversi economicamente utilizzando le proprie risorse naturali per avviare una propria rivoluzione industriale con l’aiuto di Russia e Cina.

Al momento attuale il terrorismo islamico viene combattuto seriamente nel Medio Oriente solo dalle famose potenze appartenenti al Asse del Male: Russia e Iran. L’Occidente si trova in una posizione di trincea anche se è ben lontano da ammettere che l’arma terroristica creata per il dominio mondiale si è rivelata meno forte e meno controllabile di quanto preventivato. Se sui terreni di battaglia mediorientali e (auspichiamoci) su quelli africani i gruppi terroristici di matrice sunnita sono a rischio di subire storiche sconfitte nei prossimi anni, l’effetto boomerang, morte e distruzione nei Paesi occidentali sembrano destinati ad aumentare. Come nella Guerra Fredda anche per la guerra contro il terrorismo il teatro bellico occidentale rimane la Vecchia Europa. Difficilmente si ripeterà un 11 settembre negli Stati Uniti a meno che non sia funzionale per le strategie della Casa Bianca.

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