Dagli anni Novanta i media italiani hanno subito un'involuzione sulla qualità delle notizie estere a causa delle esigenze finanziarie di tagliare i costi per i corrispondenti ed inviati nel principali Paesi e nei principali teatri di guerra.
La mancanza delle grandi firme dei Reporter Italiani ha costretto i media italiani ad affidarsi a notizie delle principali agenzie stampa internazionali che monopolizzano l'informazione standardizzandola.
Questo sistema riduce i costi ma priva il lettore di un'informazione pluralista e di analisi approfondite sui principali temi di politica ed economia mondiale.
Behind the News (dietro la notizia) intende ripristinare questo essenziale servizio destinato al lettore proponendo informazioni ed analisi inedite sui principali avvenimenti mondiali andando oltre la semplice notizia per capire le ragioni celate dietro il sipario.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
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Feb 19
di Fulvio Beltrami
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Il governo iracheno triplicherà la sua produzione petrolifera entro il 2020 grazie alla collaborazione con l’Iran. L’obiettivo è sfidare l’Arabia Saudita all’interno dell'Opec, dichiara il vice primo ministro iracheno per l’Energia Hussain Al-Shahristani, durante la conferenza sulle fonti energetiche mediorientali tenutasi la prima settimana di febbraio 2014. La notizia è stata confermata dal network iraniano in lingua inglese: PressTV.
Secondo quanto riportato da Al-Shahristani, l’Iraq sta progettando di raggiungere una capacità estrattiva di greggio pari a 9 milioni di barili al giorno entro il 2020 per finanziare la ricostruzione del paese dopo il lungo periodo bellico. Attualmente la produzione giornaliera è di 3 milioni di barili.
Con questo obiettivo Baghdad intende sfidare la posizione privilegiata dell'Arabia Saudita ed interrompere il suo controllo sul Opec (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio).
Dal 2004 l’Arabia Saudita ha bloccato il prezzo del greggio a 100 dollari al barile. Per impedire una diminuzione di prezzo ha fatto forti pressioni sull'Opec per fissare un limite alla produzione giornaliera degli Stati membri.
Queste operazioni, contrarie al libero mercato, sono supportate dalle principali multinazionali occidentali quali Eni, Total, Shell, per difendere i futuri profitti dei giacimenti petroliferi scoperti nell’Africa Centrale: Congo-Brazzaville, Camerun e Gabon.
La maggior parte di questi giacimenti sono situati nelle acque territoriali lontane dalla costa e a profondità marittime superiori ai 5.000 metri. Questo provoca una ricaduta negativa sui costi di sfruttamento che rischia di rendere gli idrocarburi della regione africana meno attraenti di quello che attualmente si pensa.
Per assicurarsi profitti interessanti le multinazionali occidentali devono continuare la loro politica di cartello con l’Arabia Saudita per mantenere il costo del barile a 100 dollari. Sotto questa soglia gli immensi giacimenti dell’Africa Centrale non sarebbero più economicamente convenienti.
Le ambizioni irachene necessitano di consistenti finanziamenti poiché l’obiettivo di triplicare la sua produzione implica nuove infrastrutture e oleodotti per l’esportazione del greggio. Attualmente il solo oleodotto in funzione è quello di Al Faw, vicino alla città di Basra.
È in questo contesto che è stata formata una cooperazione economica con l’Iran. Le autorità di Teheran si sono dichiarate disponibili a finanziare gran parte delle infrastrutture necessarie entrando di fatto in business con lo storico avversario.
Questa alleanza economica è stata resa possibile dall’attuale situazione in Iraq: ritiro delle truppe americane e un governo filo iraniano guidato dal primo ministro Nū rī Kā mil Muḥammad Ḥasan al-ʿAlī conosciuto in Occidente con il nome di Jawā d al-Mā likī.
La collaborazione Iraq-Iran riguarda anche i giacimenti iracheni di gas liquido presenti lungo le frontiere dei due Paesi. Una joint-venture sullo sfruttamento dei giacimenti di gas esistenti e un programma di esplorazione di nuovi giacimenti è stato firmato tra Teheran e Baghdad dopo la visita ufficiale del presidente iraniano Mahamoud Ahmadinejad avvenuta il 18 luglio 2013.
La cooperazione relativa agli idrocarburi ha come obiettivo quello di contrastare le interferenze internazionali nella regione, aprendo sbocchi commerciali per Teheran e aumentando l’influenza iraniana in Iraq.
Le due principali multinazionali petrolifere occidentali operanti in Iraq: la multinazionale britannica British Petroleum (Bp) e la multinazionale olandese Royal Dutch Shell si sarebbero unite al progetto attraverso delle ditte offshore per raggirare le sanzioni internazionali imposte all'Iran, secondo fonti attendibili. Le due multinazionali attualmente gestiscono due importanti giacimenti petroliferi nel sud dell'Iraq.
Le risposte di Stati Uniti e Arabia Saudita non si sono fatte attendere. Washington accusa il governo iracheno di supportare attività terroristica. Riyad finanzia i gruppi ribelli sunniti contro Bagdad.
“Il governo iracheno ha rafforzato i legami con l’Iran, permettendo ai militanti di Al-Qaeda di beneficiare di questa inaspettata alleanza ai danni della minoranza Sunnita nel Paese”, ha dichiarato il 9 febbraio scorso Ed Royce, presidente del Dipartimento Affari Esteri, criticando il primo ministro iracheno di rallentare il processo di riconciliazione nazionale tra Sciiti e Sunniti.
Contemporaneamente Brett McCurg, del Dipartimento di Stato americano, ha affermato che il governo iracheno deve sforzarsi di prevenire la vendita di armi e munizioni attuata da Teheran in supporto dell’esercito Siriano e delle milizie alleate al regime di Hassad. Una richiesta assai spudorata considerando che gli Stati Uniti hanno pubblicamente ammesso di vendere a loro volta armi e munizioni alla ribellione siriana.
L’Arabia Saudita non ha fino ad ora emesso alcun comunicato ufficiale sulla cooperazione Iraq-Iran ma è sospettata di finanziare i movimenti guerriglieri Sunniti legati al Al-Qaeda che nel gennaio scorso presero il controllo della strategica città di Falluja obbligando l’esercito regolare ad un'intensa operazione militare per riprendere il controllo della città.
Nel dicembre 2013 l'Arabia Saudita ha inoltre obbligato l'Opec a rinnovare per altri sei mesi la quota massima di produzione petrolifera degli Stati membri fissata a 30 milioni di barili al giorno con lo scopo di mantenere il prezzo internazionale sui 100 dollari al barile.
Nonostante il recente disgelo sul nucleare con Washington, Teheran sta aumentando la ricerca di partner istituzionali e privati per raggirare le sanzioni internazionali imposte dagli Stati Uniti.
Secondo indiscrezioni pervenute all’ambasciata americana a Kampala, Uganda, l’Iran starebbe allacciando rapporti commerciali con alcuni imprenditori europei operanti in Africa trasformandoli in prestanome per attività gestite dalle ambasciate iraniane presenti nel continente africano. Tra questi imprenditori vi sarebbero coinvolti anche alcuni connazionali che sarebbero stati presenti in Uganda per periodi di tempo non superiori ad un anno.
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