Internet rischia di essere privatizzato

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Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Giu 13

Internet rischia di essere privatizzato

Un progetto della Commissione Federale delle Comunicazioni degli Stati Uniti ha come obiettivo la privatizzazione di Internet che comprometterebbe il concetto di Net Neutrality, l’accesso non discriminatorio alla rete. Vive le proteste degli utenti. Eppure la discriminazione della rete è già una realtà nei paesi del terzo mondo

di Fulvio Beltrami

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Alla fine di maggio la Commissione Federale delle Comunicazioni degli Stati Uniti (FCC) ha pubblicato un memo informativo su studi relativi al passaggio dal libero accesso ad internet all’accesso “pay to play”, il sistema utilizzato per le Tv digitali. Se il progetto venisse attuato si comprometterebbe il concetto del Net Neutrality, l’accesso online non discriminatorio. Fino ad ora le uniche spese per l’accesso in rete sono rappresentate dal servizio di connessione offerto dai vari provider. La proposta della FCC prevederebbe il pagamento di ogni pagina a cui si intende accedere e abbonamenti per i principali social network, host blog, ed email accounts. Si tratterebbe di prezzi modici ma per singolo sito. Facebook, Twitter, WhatsApp, Skype, Tango diventerebbero così dei servizi totalmente a pagamento. Attualmente questi siti commercializzano solo le versioni migliorate o professionali o propongono servizi a pagamento per una maggior visibilità della propria pagina, nel caso di Facebook.

Il pay to play rappresenterebbe un attacco mortale per centinaia di siti e blog di informazione libera. La maggioranza degli utenti sceglierebbe siti di informazione classici come La Repubblica, New York Times, The Guardian, Cnn, Bbc, Al Jazeera, e sarebbe poco propensa a spendere soldi in siti di informazione “minori” se non motivata da interessi personali. Il memo della Commissione Federale delle Comunicazioni ha scatenato un'ondata di proteste dei difensori della libertà di Internet. La sede della FCC è stata sommersa da email, telefonate che l'hanno obbligata a interrompere le sue linee telefoniche e email. Dei sit-in di protesta sono stati organizzati davanti alla sede della FCC costringendo il presidente Thom Wheller a dichiarare che il progetto è solo in fase di studio teorico e non sarà mai applicato per garantire l'Open Internet. Una promessa evidentemente fatta per calmare le acque perché dietro alla proposta del pay to play si celano immensi interessi delle multinazionali della comunicazione ed internet: Google, Facebook e Yahoo, etc. come fa notare un articolo del Time Magazine.

L’utilizzo di Internet è ormai considerato un servizio pubblico e dovrebbe essere trattato come tale. Un'idea che le multinazionali di comunicazione non accettano, spingendo verso la sua privatizzazione per aumentare i loro profitti”, avverte il Time Magazine. Secondo informazioni pervenute da alcuni siti autorevoli americani come il Media Roots, il progetto di privatizzazione sta proseguendo il suo iter di analisi e verifica che dovrebbe durare quattro mesi prima che la Commissione Federale delle Comunicazioni decida se sottomettere gli esiti al Senato o accantonare l’idea. La privatizzazione di Internet negli Stati Uniti aprirebbe una falla e sarebbe immediatamente emulata da vari paesi a livello planetario, impedendo il libero accesso ad internet e discriminando le classi meno facoltose. Secondo alcuni analisti il progetto non è fattibile in quanto una privatizzazione di internet si scontrerebbe con la ridotta disponibilità delle famiglie americane attanagliate dalla crisi economica, diminuendo vertiginosamente il numero degli utenti.

Per altri esperti questa analisi non prende in considerazione il concetto di “necessità indotta” dell’utilizzo di Internet che da anni ha superato le frontiere delle esigenze aziendali e professionali. I milioni di giovani che quotidianamente si collegano ai vari social network per comunicare con i loro amici sarebbero disposti anche a pagare pur di continuare ad accedere al servizio, diventato indispensabile quanto per un fumatore incallito i suoi due pacchetti di sigarette giornalieri. Come esempio si prendono le alte tariffe che le compagnie telefoniche applicano per il network cellulare nei paesi del terzo mondo. I milioni di utenti non hanno diminuito le loro telefonate nonostante la pesante carica sul bilancio familiare mensile in quanto considerano l’utilizzo del cellulare come una necessità primaria pari a quelle alimentare, abitativa, educativa e sanitaria. Cellulari e Internet sono diventati servizi primari a cui sembra impossibile farne a meno. C'è chi le chiama le “droghe del ventunesimo secolo”.

L’agguerrita e determinata difesa di un Internet libero e non discriminatorio di milioni di cittadini occidentali è strutturata sulla realtà in cui vivono ed operano. Questo non gli permette di comprendere che le discriminazioni dell’accesso ad Internet sono già presenti e pesanti. Nella maggioranza dei paesi asiatici, sud americani e africani l’accesso è garantito al 35% della popolazione nei migliori dei casi. Milioni di potenziali utenti sono esclusi dall’utilizzo di Internet a causa dei costi esorbitanti stabiliti dai provider. In Uganda per avere una linea Isdn veloce occorre spendere 303 euro mensili. Per una linea estremamente lenta e difettosa dai 15 ai 30 euro mensili. Cifre esorbitanti considerando che lo stipendio medio in questo paese africano si aggira attorno ai 75 euro.

Fulvio Beltrami

Kampala, Uganda

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