Gran Bretagna. Indagine Onu proibita a Yarl’s Wood la casa degli orrori

Behind The News

Dagli anni Novanta i media italiani hanno subito un'involuzione sulla qualità delle notizie estere a causa delle esigenze finanziarie di tagliare i costi per i corrispondenti ed inviati nel principali Paesi e nei principali teatri di guerra.
La mancanza delle grandi firme dei Reporter Italiani ha costretto i media italiani ad affidarsi a notizie delle principali agenzie stampa internazionali che monopolizzano l'informazione standardizzandola.
Questo sistema riduce i costi ma priva il lettore di un'informazione pluralista e di analisi approfondite sui principali temi di politica ed economia mondiale.
Behind the News (dietro la notizia) intende ripristinare questo essenziale servizio destinato al lettore proponendo informazioni ed analisi inedite sui principali avvenimenti mondiali andando oltre la semplice notizia per capire le ragioni celate dietro il sipario.

Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

TAGS

Newsletter
Behind The News

Apr 23

Gran Bretagna. Indagine Onu proibita a Yarl’s Wood la casa degli orrori

Rashida Manjoo, investigatrice Onu per I diritti delle donne ha ricevuto il divieto di accesso al centro di detenzione per immigrati Yarl’s Wood dal governo inglese. Yarl’s Wood dal 2002 è al centro di numerose denunce per la violazione dei diritti umani

di Fulvio Beltrami

gran bretagna, onu

Rashida Majoo, una professoressa sudafricana di legge esperta in diritti umani che collabora con le Nazioni Unite dal 2009, ha ricevuto un secco rifiuto dalle autorità inglesi a visitare il centro di detenzione per immigrati di Yarl’s Wood nel Bedfordshire. L’episodio è avvenuto il 14 aprile scorso.

Non riesco a comprendere la decisione di vietare la visita quando avevamo ricevuto le necessarie autorizzazioni. Sono giunta al centro di detenzione di Yarl’s Wood, accompagnata da un ispettore delle prigioni inglesi e il direttore mi ha informato che la visita non poteva aver luogo”, spiega la professoressa Manjoo. “La visita richiesta dall'ispettrice Rashida Majoo non è mai stata concordata. Nessuna autorità ha mai concesso il permesso”, recita un brevissimo comunicato del governo britannico senza specificare che la decisione non riguarda solo il divieto a visitare il centro di detenzione ma anche di fornire informazioni al riguardo e di collaborare con l’inchiesta in corso delle Nazioni Unite.

L'Investigatrice delle Nazioni Unite era interessata alla visita del controverso centro di detenzione femminile per immigrati clandestini a seguito del decesso di Christine Case, una donna giamaicana di quarant’anni, avvenuto il 30 marzo scorso. Secondo le accuse di alcune associazioni femminili la morte di Christine Case è stata causata da mancate cure mediche. Soffriva di una grave infezione polmonare.

La visita al centro di detenzione era stata richiesta da una coalizione di associazioni in difesa dei diritti delle donne: End Violence Against Women (Basta con le Violenza Contro le Donne) che dal 2010 accusa il governo britannico di promuovere una cultura maschista causa di innumerevoli violenze, stupri e violenze fisiche e psicologiche contro le donne sia nei centri di detenzione del paese sia tra le mure domestiche.

“Avevamo richiesto alla professoressa Rashida Majoo di visitare il centro di detenzione di Yarl’s Wood, affinché le Nazioni Unite potessero constatare di persona gli effetti delle politiche di immigrazione del governo britannico. Il rifiuto ricevuto conferma i nostri sospetti che all’interno di questa prigione sono commesse gravi violazioni dei diritti umani”, spiega al The Guardian la direttrice End Violence Against Women.

È evidente che il governo britannico ha voluto boicottare l’inchiesta su Yarl’s Wood perché hanno qualcosa da nascondere”, afferma la professoressa Manjoo. Presso il centro di detenzione Yarl’s Wood vi è molto da nascondere. Il centro di detenzione di Yarl’s Wood, inaugurato il 19 novembre 2001 e ideato per ospitare 900 detenute, è la più grande prigione femminile per immigrati dell'Europa. Le detenute non hanno commesso crimini in Gran Bretagna. Sono semplicemente immigrate clandestine che sono detenute in attesa di essere rispedite nei loro paesi d’origine. La popolazione di carcerati presso Yarl’s Wood ha superato la capacità massima di “accoglienza” arrivando a 2.000 detenute nel 2012. Nello stesso anno in tutto il Regno Unito si registravano 28.000 immigrati clandestini detenuti nelle prigioni del paese, l’unico della Comunità Europea che non prevede un limite massimo di detenzione prima del rimpatrio forzato.

Le segnalazioni di gravi abusi iniziarono un mese dopo l’apertura del centro, quando venticinque donne zingare intrapresero uno sciopero della fame ad oltranza per protestare contro le violenze sessuali subite dalle guardie carcerarie che sono per la maggioranza di sesso maschile. Lo sciopero della fame non diede il via ad un’inchiesta della magistratura e le detenute zingare furono semplicemente trasferite in un altro centro di detenzione.

Nel maggio 2007 lo sciopero della fame per le stesse ragioni esposte dalle 25 zingare nel 2001 coinvolse 100 detenute di vari paesi. La protesta fu fermata dalle autorità con la promessa di migliorare le condizioni di sicurezza all’interno del centro.

Nel febbraio 2010 un altro sciopero della fame coinvolse 70 detenute che protestavano contro il loro periodo di prigionia che aveva oltrepassato i quattro anni. Questa volta le autorità carcerarie ci andarono pesante, rinchiudendo le detenute in angusti corridoi senza riscaldamento, acqua e bagni, attendendo semplicemente che le detenute si piegassero a questo disumano trattamento e finissero lo sciopero della fame.

A Yarl’s Wood nel febbraio 2002 durante un incendio morirono due detenute e altre cinque finirono all’ospedale in gravi condizioni. Secondo un’inchiesta condotta dalla polizia locale la causa dei decessi era stata la decisione dell’allora direttore del centro, Brodie Clark, di chiudere ermeticamente le porte di sicurezza in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco per impedire la fuga delle detenute. L’inchiesta non portò all’arresto del direttore e delle quattro guardie carcerarie che eseguirono i suoi ordini. Tutti furono trasferiti in altri centri di detenzione.

Queste morti purtroppo non furono un caso isolato. Nel settembre 2005, Manuel Bravo, un detenuto originario dell’Angola si impiccò presso la sua cella dinnanzi a suo figlio di 13 anni. Non si è mai riuscito a comprendere come un uomo adulto e un adolescente fossero stati imprigionati in un centro di detenzione femminile. Erano in attesa di essere deportati nel loro paese da oltre due anni. Altri suicidi si sono registrati nel corso degli anni ma la gestione del centro rifiuta di dare il nome e il numero esatto delle vittime.

Vari casi di violenze sessuali sono stati ripetutamente denunciati dalle associazioni in difesa dei diritti umani. Secondo i dati forniti da queste associazioni il 68% delle detenute hanno subito stupri sia individuali che collettivi. La pratica dello stupro è diventata così frequente che alcune detenute rilasciate denunciano la loro partecipazione sessuale “volontaria” per evitare botte e maltrattamenti durante l’amplesso. Alcune di esse sostengono di essere state filmate durante le violenze e i video sarebbero stati pubblicati in rete nei siti porno a pagamento. Accusa mai dimostrata.

Le denunce riportate alle autorità non hanno dato seguito ad inchieste e il centro di Yarl’s Wood continua ad essere sorvegliato da guardie carcerarie maschili. Il governo britannico, durante tutti questi anni, ha dimostrato un'inspiegabile volontà di proteggere questa casa degli orrori ignorando sistematicamente ogni denuncia.

Nel settembre 2003 un rapporto dell'Ispettore Generale delle Prigioni dichiarò Yarl’s Wood un centro di detenzione non sicuro e disumano.

Nel marzo 2004 il Comitato di Sorveglianza degli Istituti Penitenziari pubblicò un rapporto che accusava il personale del centro di gravi atti di razzismo, violenze sessuali e abusi perpetuati su 19 detenute. Il rapporto obbligò ad aprire un’inchiesta che venne interrotta quando si spensero i riflettori dei media inglesi.

Nel febbraio 2006 l’Ispettore Generale delle Prigioni aprì un'inchiesta sulla qualità delle cure mediche offerte presso Yarl’s Wood, definendole indegne anche per il Terzo Mondo. A quanto risulta a data odierna nessun miglioramento è stato apportato.

Sempre nel 2006 l’associazione Legal Action for Women (Azione Legale per le Donne) pubblicò dati agghiaccianti: 70% delle detenute stuprate su base quotidiana, 57% prive di ogni difesa legale, 20% detenute da oltre 4 anni. Nessuna delle detenute era a conoscenza dei propri diritti civili.

Nell'aprile 2009 il Commissariato inglese per la Protezione di Bambini denunciò la presenza e le condizioni disumane dei bambini detenuti presso il centro a cui erano spesso negate l’assistenza sanitaria e subivano violenze fisiche. Vi fu il sospetto di casi di pedofilia e di bambini nati dalle violenze sessuali sulle detenute perpetuati all’interno del centro.

Yarl’s Wood non è un centro di detenzione, né una prigione. È una casa degli orrori. La tua cella divisa con altre quattro donne è dietro a otto porte metalliche e vi sono telecamere ovunque anche nelle docce e nei bagni. Ti trattano come una criminale e ti stuprano continuamente”, denuncia Meltem Avcil un'ex detenuta dell’infame centro originaria del zona Curda della Turchia che ha passato 3 mesi in questa prigione quando fu carcerata all'età di 13 anni. Meltem è una delle poche fortunate che dopo un periodo di inferno “relativamente breve” e dopo aver subito vari stupri le fu concesso il permesso di vivere in Inghilterra. Ora è una delle principali attiviste per la chiusura della casa degli orrori.

Sono stata testimone e vittima di quello che succede a Yarl’s Wood. Non ci sono donne detenute ma oggetti, schiave sessuali che subiscono quotidianamente torture psicologiche e stupri”, denuncia Meltem.

Rashida Majoo ha promesso di pubblicare un rapporto sui gravi abusi commessi presso il centro di detenzione Yarl’s Wood da presentare al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani entro il giugno 2015 con la promessa di richiedere alle autorità britanniche la chiusura del centro e misure legali contro il direttore e le guardie carcerarie.

In attesa che le Nazioni Unite possano intervenire si pone una domanda: quante altre donne subiranno in questo periodo le sevizie o la morte causata dai loro aguzzini uomini, rappresentanti delle forze di sicurezza di Sua Maestà la Regina? Sarà mai aperta un'indagine seria e puniti i colpevoli?

Il caso Yarl’s Wood rappresenta la prova lampante dell’ipocrisia delle cosiddette “democrazie” occidentali che nei rapporti bilaterali con i paesi africani pongono severe condizioni sul rispetto dei diritti umani e il riconoscimento del ruolo delle Nazioni Unite, dogmi che vengono tranquillamente ignorati negli affari interni dei paesi occidentali. Nessuna meraviglia se l’Africa si sta orientando sempre più verso potenze più pragmatiche: Russia e Cina.

Nel frattempo in Italia la presidente della Camera, Onorevole Laura Boldrini, alla presentazione del rapporto 2014 Italiadecide dedicato al turismo afferma: “I migranti sono l’avanguardia di uno stile di vita che presto sarà quello di moltissimi di noi”. Una domanda viene spontanea. Onorevole Boldrini ha mai fatto aprire delle inchieste sui centri di “accoglienza” italiani riservati agli immigrati? E se scoprissimo che molti di essi condividono gli orrori di Yarl’s Wood?

© Riproduzione riservata

1887 visualizzazioni

Commenti
Lascia un commento

Nome:

Indirizzo email:

Sito web:

Il tuo indirizzo email è richiesto ma non verrà reso pubblico.

Commento: