Dagli anni Novanta i media italiani hanno subito un'involuzione sulla qualità delle notizie estere a causa delle esigenze finanziarie di tagliare i costi per i corrispondenti ed inviati nel principali Paesi e nei principali teatri di guerra.
La mancanza delle grandi firme dei Reporter Italiani ha costretto i media italiani ad affidarsi a notizie delle principali agenzie stampa internazionali che monopolizzano l'informazione standardizzandola.
Questo sistema riduce i costi ma priva il lettore di un'informazione pluralista e di analisi approfondite sui principali temi di politica ed economia mondiale.
Behind the News (dietro la notizia) intende ripristinare questo essenziale servizio destinato al lettore proponendo informazioni ed analisi inedite sui principali avvenimenti mondiali andando oltre la semplice notizia per capire le ragioni celate dietro il sipario.
Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.
TAGS
BLOGROLL
Mar 9
di Fulvio Beltrami
Tweet | Condividi... |
“Gli afgani stanno morendo per una guerra che non è loro. Una guerra scatenata per garantire la sicurezza americana e gli interessi Occidentali.
L’assistenza straniera ha reso difficile e costosa la vita in Afghanistan, creando modelli di vita non sostenibili.
La gente viene da me ogni giorno a chiedere supporto. Gruppi, associazioni, individui, mi chiedono di porre fine all'intimidazioni e agli omicidi compiuti dai soldati americani in nome della lotta contro i talebani. Siamo una popolazione veramente arrabbiata.
Quando vedo le perdite di vite afgane, i nostri figli uccisi, non posso che essere arrabbiato e in preda alle emozioni. Non ho armi per contrappormi ma spero che la mia denuncia contribuisca ad attirare l’attenzione internazionale sulla tragedia dell'Afghanistan.
Al popolo americano è rivolta la mia gratitudine. Al governo americano la mia rabbia”.
Queste dure parole di condanna pronunciate il 16 febbraio scorso dal presidente afgano Hamid Karzai, sono un evidente sintomo di un matrimonio quasi arrivato a termine tra Washington e Kabul.
La causa di questo sofferto divorzio risiede nei “danni collaterali” provocati dall’esercito americano, che hanno profondamente deteriorato i rapporti tra i due Paesi, a meno di un anno dal ritiro delle truppe Statunitensi previsto per il dicembre 2014.
Questa condanna ha preceduto l’annuncio ufficiale di Karzai sulla decisione di non candidarsi alle elezioni Presidenziali che si terranno nell'aprile 2014.
Non sono le prime condanne contro gli Stati Uniti che Karzai pronuncia. Nel settembre 2011, in un'intervista al Washington Post, il presidente afgano aveva esplicitamente criticato l’atteggiamento americano adottato durante il lungo conflitto afgano, iniziato dal presidente George V. Bush a seguito dell'attacco terroristico del 11 Settembre 2001, e continuato dal presidente Barack Obama.
Recentemente, il 22 novembre 2013, il presidente Karzai ha rilasciato un'intervista a RFE/RL (Radio Free Europa / Radio Liberty) dove viene ribadito il suo disappunto sulle tattiche militari adottate dagli Stati Uniti nel suo Paese.
“Ho richiesto agli Stati Uniti l’immediata cessazione degli attacchi contro i civili afgani che stanno compromettendo il processo di pace.”, dichiarò Karzai alla emittente radiofonica europea.
Il disappunto sulle operazioni militari americane contro i talebani che, troppo frequentemente, causano vittime tra i civili, era stata chiaramente espressa da Karzai durante un colloquio con il presidente Obama avvenuto durante la sua visita ufficiale del 2010 negli Stati Uniti.
La maggioranza delle vittime civili sono provocate dagli attacchi di droni e dai bombardamenti “chirurgici” attuati dalle forze americane per eliminare i leader dei Talebani.
Queste operazioni speciali, in realtà “esecuzioni extra giudiziarie”, sono affiancate da centinaia di arresti di persone innocenti incolpate di terrorismo, decine di essi trasferiti presso la controversa base militare americana a Cuba: Guantànamo.
L’aumento di denunce pubbliche e prese di distanza del presidente Karzai, possono essere interpretate come un tentativo di rifarsi un’immagine e una reputazione tra la popolazione afgana dopo 13 anni di assidua collaborazione con gli Stati Uniti instauratasi nel dicembre 2001, quando fu eletto per la prima volta a presidente.
A fianco di questo calcolo opportunistico, Karzai nutre verso la Casa Bianca anche un sentimento di tradimento. Sempre più indizi portano a rafforzare l’ipotesi che i servizi segreti americani si celino dietro alla recente ondata di attacchi terroristici attuati nella capitale: Kabul. Sospetto recentemente ventilato dalla stesso presidente afgano.
L’ambasciatore americano in Afghanistan: James B. Cunningham, ha espresso sorpresa per le dichiarazioni di Karzai definendole un grave atto cospiratorio che si discosta dalla realtà. “Il presidente Karzai vola sopra la logica e la morale pensando che abbiamo aiutato il nemico che stiamo combattendo”.
Dall'ottobre 2001 gli Stati Uniti hanno perso 2.000 soldati in Afghanistan e speso 600 miliardi di dollari per sconfiggere i talebani, Al-Qaeda e rafforzare la democrazia nel Paese Asiatico.
Nonostante tutte queste buone intenzioni e sforzi qualcosa è andato evidentemente storto. I Talebani controllano la maggioranza del territorio afgano e la loro capacità offensiva è aumentata dalla metà del 2013. Ora i talebani sono in grado di lanciare importanti offensive militari anche contro basi americane e Nato presenti nel Paese.
La dichiarazione dell'ambasciatore Cunningham è stata da tempo smentita dal presidente Obama in persona, quando ha informato il presidente Karzai che la Casa Bianca aveva avviato un processo di riconciliazione con i talebani, durante la riunione avvenuta nel 2010 tra i due Capi di Stato in presenza del Consigliere americano della Sicurezza Interna: Tom Donilon, generali e alti ufficiali dei servizi segreti.
La riconciliazione con i talebani è dettata dall'incapacità delle forze americane e Nato di sconfiggere questo movimento islamico divenuto nemico e causa di un'invasione e di una guerra ultra decennale decise sulla base di false notizie relative al presunto coinvolgimento di leader Talebani nell'attentato del 11 settembre 2001.
Il processo di riconciliazione è iniziato nel 2013 con la liberazione di vari comandanti militari e politici Talebani da Guntànamo.
Su questo punto non è chiaro chi tra i due alleati abbia influenzato l’altro. La necessita di riaprire un dialogo con i talebani era stata espressa dal presidente Karzai fin dal 2012. L’ultimo atto concreto è la recente liberazione di leader Talebani detenuti presso la prigione di Bagram, nonostante il parere contrario dei consiglieri americani presenti in Afghanistan. Dal 2013 si sono intensificati gli sforzi di dialogo con i talebani attraverso una serie di riunioni informali.
Nella complessa realtà afgana i talebani da terroristi islamici stanno diventando un importante interlocutore per la stabilità e la pace nel Paese. L’obiettivo di annientarli è stato trasformato in un tentativo di coinvolgerli nella vita politica della fragile democrazia. Il cambiamento è perfettamente inserito nella logica culturale dell'Afghanistan: “Se non puoi sconfiggere il tuo nemico unisciti a lui”.
Il fallimento militare americano in Afghanistan è incentrato su due fondamentali incapacità: annientare i talebani e conquistare fiducia e appoggio popolare.
Questo fallimento rischia di compromettere gli accordi di sicurezza tra i due Stati e l’influenza regionale degli Stati Uniti dopo il ritiro delle truppe nel dicembre 2014.
La classe politica afgana dal 2013 sarebbe impegnata nel individuare un sostegno alternativo a quello americano o Europeo.
Nel settembre 2013 il presidente Karzai ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin, durante il summit economico organizzato dalla Shangai Cooperation Organisation, (SCO) l’organizzazione politica, economica e militare della Euroasia, fondata nel 2001 a Shanghai da Cina, Kazakhstan, Kyrgyztan, Russia, Tajikistan e Uzbekistan. La SCO è l’evoluzione della alleanza regionale creata nel 1996 dai primi cinque Stati denominta Shangai Five, a cui si aggiunse nel 2001 il Uzbekistan.
L’incontro rappresentò un'ottima occasione per trattare argomenti strategici quali cooperazione militare ed economica, dando vita ai successivi contatti e trattative attualmente in corso.
La Russia sarebbe disponibile a sostenere l’esercito afgano assicurando il rifornimento di armi e munizioni, e la formazione dei soldati afgani in cambio dell’apertura del mercato interno agli imprenditori russi. Il primo obiettivo di Mosca è assicurarsi l'influenza nel Paese dove passerà il gasdotto più importante dell’Asia. Nel ultimi sei mesi si registrano interessanti progressi negli scambi economici e commerciali tra Kabul e Mosca.
Dopo l’annuncio del ritiro dalla scena politica nazionale, il presidente Karzai sembra concentrato nell'orientare i futuri presidente e Governo a diminuire l’influenza americana a vantaggio di quella russa.
Karzai ha avvertito gli Stati Uniti di non attuare negative influenze sul processo elettorale del prossimo aprile. Durante un colloquio diretto con il Consigliere della Sicurezza Nazionale: Susan Rice, Karzai ha espressamente richiesto a Stati Uniti ed Europa di non interferire nelle elezioni Presidenziali e abbandonare tutte le idee di manipolazione, rispettando la volontà del popolo afgano.
Le interferenze americane sul processo elettorale afgano sarebbero tese ad impedire a Karzai di imporre una continuità politica tramite l’elezione di un presidente di sua scelta. Gli Stati Uniti preferirebbero scegliere un Capo di Stato più docile e orientabile versa la salvaguardia dei loro interessi nella regione.
Un Governo afgano che sfugge al controllo americano aumenterebbe le attuali difficoltà registrate con un altro importante alleato regionale: il Pakistan.
Pur non avendo chiaramente designato il suo successore, il presidente Karzai è concentrato ad assicurare la sopravvivenza del governo “democratico” e laico afgano. Una sopravvivenza che dovrà passare necessariamente attraverso un compromesso con i talebani.
Il successo politico di questo compromesso dipenderà dalla capacità militare dell'esercito regolare a resistere alle milizie islamiche dopo il ritiro delle truppe occidentali.
In questa delicata operazione il supporto militare russo può risultare strategico e maggiormente accettabile alla opinione pubblica afgana rispetto a quello che potrebbero offrire gli Stati Uniti, visti ormai come principale fattore di destabilizzazione e lutti nazionali.
© Riproduzione riservata
1797 visualizzazioni