I limiti della potenza militare americana

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Fulvio Beltrami

Fulvio Beltrami
Originario del Nord Italia, sposato con un'africana, da dieci anni vivo in Africa, prima a Nairobi ora a Kampala. Ho lavorato nell’ambito degli aiuti umanitari in vari paesi dell'Africa e dell'Asia.
Da qualche anno ho deciso di condividere la mia conoscenza della Regione dei Grandi Laghi (Uganda, Rwanda, Kenya, Tanzania, Burundi, ed Est del Congo RDC) scrivendo articoli sulla regione pubblicati in vari siti web di informazione, come Dillinger, FaiNotizia, African Voices. Dal 2007 ho iniziato la mia carriera professionale come reporter per l’Africa Orientale e Occidentale per L’Indro.
Le fonti delle notizie sono accuratamente scelte tra i mass media regionali, fonti dirette e testimonianze. Un'accurata ricerca dei contesti storici, culturali, sociali e politici è alla base di ogni articolo.

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Mag 24

I limiti della potenza militare americana

Dagli anni quaranta ai giorni nostri la politica di espansionismo economico e supremazia politica americana si è basata sulla sua potenza militare. Il professore universitario Lawrence Wittner del prestigioso Think Talk americano: PeaceVoice, al contrario sostiene che gli Stati Uniti non sono la potenza militare che tutti credono

di Fulvio Beltrami

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Dalla cenere della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti sono emersi come prima potenza planetaria grazie al deterrente militare di cui disponevano. Se il boom economico registrato tra il 1870 e il 1925 fu possibile grazie la conquista del West e l’industrializzazione, dallo scoppio della seconda guerra mondiale ad oggi l’economia americana si è basata sull’industria militare, esclusa la breve parentesi degli anni Sessanta e Settanta dove le industrie automobilistica e petrolifera emersero tra i fattori trainanti del successo economico a stelle e strisce. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto la convinzione che la loro posizione di superpotenza sia dovuta alla loro capacità militare e al timore che incutono agli altri paesi attraverso la minaccia perennemente esercitata dall’esercito americano. L’ossessione delle varie amministrazioni americane è sempre stata di mantenere il primo posto mondiale di potenza militare.

Questo primato costa 640 miliardi di dollari all’anno, secondo il recente rapporto dell'Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma. Questo spaventoso budget rappresenta il 37% delle spese mondiali in armamenti. I due competitori più vicini, Cina e Russia, rappresentano rispettivamente l'11 e il 5% delle spese militari mondiali. Un budget destinato ad aumentare tramite l’afflusso di fondi da canali di finanziamento paralleli per far fronte alle nuove sfide tecnologiche del Pentagono: dalle armi laser ai robot da combattimento e armature biomeccaniche potenziate per la fanteria americana. La corsa americana agli armamenti ha portato a dei risultati? Gli Stati Uniti sono realmente la temibile potenza militare a livello planetario che pretendono di essere? No. Tutto questo sarebbe una folle illusione che sta portando l’America all'autodistruzione economica secondo il professore di storia presso l'università Sunny Albany: Lawrence Wittner socio del prestigioso Think Talk americano: PeaceVoice.

Per sostenere la sua tesi Wittner analizza gli ultimi quarant'anni di storia americana caratterizzati, secondo la sua analisi, da una palese contraddizione tra forza militare disponibile e risultati sul terreno. Nei precedenti decenni gli Stati Uniti hanno sempre utilizzato la potenza militare per aumentare la loro sfera di influenza politica ed economica, collezionando però una serie di sanguinose ed ignobili sconfitte fin dal primo conflitto post seconda guerra mondiale nella penisola Coreana. La guerra in Vietnam si concluse con un'umiliante sconfitta degli Stati Uniti non per mancanza di mezzi di distruzione ma per la determinazione dei Vietnamiti di ottenere l’indipendenza. La guerra fredda tra Washington e Mosca è particolarmente istruttiva. Per decenni i due paesi si sono impegnati ad una folle corsa agli armamenti che ha infranto il tabù del nucleare mettendo a rischio l’intera esistenza di forme di vita sulla terra.

In questa corsa gli Stati Uniti hanno sempre detenuto la supremazia. Eppure questo dato di fatto non ha impedito all’Unione Sovietica di mantenere per quasi quarant'anni il controllo dell'est Europa, invadere Ungheria e Cecoslovacchia per reprimere movimenti rivoluzionari e inviare le truppe in Afghanistan. Nonostante le periodiche minacce i due imperi non si sono mai scontrati. Anche nella più pericolosa crisi della guerra fredda, quella dei missili cubani, Washington era conscia che la sua supremazia militare non sarebbe stata sufficiente a vincere la terza guerra mondiale. L’era Reagan Gorbachev fu salutata con sollievo dagli Stati Uniti che ebbero l’occasione di diminuire le spese militari grazie all’attuazione di un parziale ma significativo disarmo nucleare. La potenza militare americana non ha nemmeno rappresentato un deterrente sufficiente per contenere o sconfiggere la Repubblica Islamica dell'Iran.

A distanza di 35 anni dalla rivoluzione il regime detiene saldamente il potere. Le sanzioni, scrupolosamente applicate, dovevano contribuire al collasso del regime islamico in Iran, creando un blocco allo sviluppo economico e un progressivo impoverimento, basi fondamentali per ogni rivoluzione. Nella realtà 20 anni di sanzioni hanno reso l’Iran più forte poiché lo hanno costretto a creare un'economia autosufficiente nei settori chiave quali agricoltura, industria e commercio. L’Iran, non potendo aver accesso ai brevetti tecnologici internazionali ha sviluppato, con l’aiuto della Russia, anche una propria industria di ricerche e sviluppo tecnologico e una propria industria militare. I tentativi attuati dalla Cia dal 2011 al 2012 di finanziare movimenti giovanili di protesta per creare una primavera araba nella repubblica islamica sono falliti. La causa di questi fallimenti non è da ricercare nella capacità repressiva del governo iraniano. Anche il miglior regime dittatoriale rimane impotente dinnanzi ad una determinata rivoluzione popolare. La causa dei fallimenti è insita nella diffidenza dei leader d’opposizione dinnanzi alle strategie americane riservate al loro paese.

Non si può escludere che i leader della protesta che si creò nel periodo abbiano in parte accettato finanziamenti americani ma si sono ben guardati dal farsi strumentalizzare da Washington avendo compreso che gli Stati Uniti non hanno come obiettivo la democratizzazione dell’Iran ma la distruzione del regime islamico di Teheran a cui seguirebbe inevitabilmente il caos. Come hanno dimostrato i laboratori offerti da Libia, Siria e Ucraina, la Casa Bianca tende a creare caos e instabilità permanente nei paesi considerati pericolosi avversari poiché, paradossalmente, anche regimi democratici e capitalistici in Libia, Iran, Siria, Ucraina possono rappresentare un pericolo per gli interessi americani causa la forte possibilità che si sviluppino radicati sentimenti di sovranità e nazionalismo. I leader dell’opposizione iraniana, pur avendo l’appoggio di un'importante fetta della popolazione, preferiscono democratizzare il regime dall’interno piuttosto di abbatterlo tramite una guerra civile, considerando come ancora validi i principi della rivoluzione del 1979.

La capacità del regime islamico di concedere progressive e mirate aperture democratiche è un altro fattore politico capace di allontanare lo spettro della guerra civile, delle infiltrazioni terroristiche e della distruzione dell'Iran. Nonostante le molteplici accuse rivolte a Teheran di essere uno dei principali sponsor del terrorismo, l’Iran ha trasformato Al-Qaeda in un nemico giurato e il supporto per l’esportazione della rivoluzione islamica viene incanalato nei partiti organizzati anche militarmente appartenenti alla corrente sciita presenti nella regione. Prendendo atto che minaccia di invasione e sanzioni sono ben lontani dall'essere seri deterrenti, dal 2012 Washington è arrivato alla conclusione che la soluzione al programma nucleare militare iraniano può essere assicurata solo tramite la diplomazia in quanto uno scontro militare contro Teheran è impensabile. Questo orientamento ha causato serie frizioni con i principali alleati del Medio Oriente: arabia Saudita e Israele, propensi ad una soluzione militare contro l’Iran.

Anche nella Corea del Nord gli Stati Uniti sembrano in difficoltà. Il regime stalinista di Pyongyang, basato sul culto della personalità del leader storico Kim Il Sung nonostante sanzioni ed isolamento internazionale regge saldamente il potere nelle sue mani, attuando un lento indirizzo economico verso un’economia capitalistica di stato sul modello cinese degli anni Novanta dove l’industria militare detiene un ruolo di primo piano. La Corea del Nord, utilizzando lo spauracchio dei missili intercontinentali e delle armi nucleari, è riuscita a costringere i suoi principali avversari: Giappone, Stati Uniti e Unione Europea in principali donatori. Ciò è stato reso possibile grazie ad una machiavellica tattica che si basa su un principio estremamente efficace: ad ogni provocazione militare di Pyongyang si apre un ciclo di negoziati e concessioni finanziarie dell’Occidente per contenere il partito comunista nord coreano. Questa tattica funziona grazie all'impossibilità da parte degli Stati Uniti di vincere un'eventuale guerra di invasione, nonostante sia ormai evidente che Pyongyang non possiede sufficiente tecnologie per dotarsi di missili intercontinentali e armi atomiche.

Le due guerre di spessore intraprese: iraq e Afghanistan hanno rappresentato la perdita definitiva dell’immagine di invincibilità dimostrando che è possibile a medio-lungo termine sconfiggere l’esercito americano a costo di duri sacrifici. Attualmente il governo iracheno riesce a sopravvivere grazie al supporto finanziario e politico di Teheran che riesce ad influenzare le scelte politiche ed economiche dello strategico paese arabo produttore di petrolio in misura maggiore rispetto a Washington. L’influenza iraniana è stata contrastata dall'amministrazione Obama che dal gennaio all'aprile 2014 ha tentato di provocare un cambiamento di regime o un suo significativo indebolimento tramite il finanziamento e la formazione militare di movimenti guerriglieri nell'ovest del paese in collaborazione con l’Arabia Saudita. A grande sorpresa il governo di Baghdad è riuscito a prevalere militarmente su questi movimenti composti anche da terroristi di Al-Qaeda. A breve termine i talebani hanno grandi possibilità di riconquistare il potere dopo il ritiro delle truppe Nato e americane previsto per la fine del 2014.

Anche la mitica e temuta Cia ha dimostrato di mantenere la sua fama più per propaganda che per i risultati concreti. Se la Cia ha rovesciato vari paesi latino-americani e africani dagli anni Sessanta agli anni Ottanta subendo nel periodo solo lo smacco della Baia di Porci a Cuba, il potente appartato eversivo americano non è stato in grado di impedire la presa del potere di partiti di estrema sinistra nella maggioranza dei paesi latino-americani avvenuta alla fine degli anni Novanta, l’avvento del Chavismo in Venezuela, la creazione di un blocco economico di sinistra in America Latina alternativo a quello imposto dagli americani: il NAFTA, la penetrazione economica cinese in Africa e l’espansionismo russo in parte degli ex Stati Sovietici. La Cia non è riuscita a far pendere l’ago della bilancia nel conflitto siriano a favore delle forze ribelli. Il governo di Bashar al-Assad dopo quasi quattro anni di feroce e disumana guerra civile sta riportando importanti vittorie e continua a godere dell’appoggio di gran parte della popolazione. La probabilità di vincere il conflitto ora detenuta dal governo siriano può essere impedita solo tramite un pericoloso ed incerto intervento militare americano europeo in Siria. 

In questo momento anche gli alleati storici, ad esclusione dell’Europa, stanno sfuggendo dal controllo americano. Israele è attualmente in grado di costringere gli Stati Uniti a mantenere il vitale supporto finanziario militare e appoggio politico pur ignorando le proposte di pace sponsorizzate da Washington per risolvere la crisi Palestinese accelerando la politica di invasione progressiva attraverso l’espansione degli insediamenti israeliani in territorio palestinese. Stati africani come Kenya, Rwanda e Uganda stanno adottando una politica di contenimento, inaugurata dal presidente ugandese Yoweri Museveni, che prevede un equilibrio delle forze a loro favore attraverso un ridimensionamento del ruolo americano nella Regione dei Grandi Laghi e un rafforzamento della collaborazione economica e politica con i paesi del BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa.

In questo contesto paradossale dove il primo esercito al mondo non riesce ad ottenere i risultati sperati, la Russia non ha esitato un solo istante ad approfittare della crisi creata da Washington e Bruxelles in Ucraina per imporre la secessione della Crimea dimostrando di non essere assolutamente impressionata dalle minacce di intervento diretto rivoltale da Pentagono e Nato. Anche Pechino, nonostante la potente Nona Flotta americana sia stazionata nelle vicinanze, non ha esitato un solo istante nel promuovere le rivendicazioni territoriali nell'est e nel sud del mare cinese. Una nutrita corrente di osservatori politici, militari e storici americani, spesso supportati dal Partito Repubblicano, imputano all'amministrazione Obama la colpa dei recenti smacchi e stalli, accusandola di un approccio debole e inadeguato dinnanzi a pericoli e provocazioni internazionali.

Wittner afferma il contrario, sottolineando che all'amministrazione Obama non manca lo spirito guerrafondaio ed interventista delle precedenti amministrazioni. Il presidente Barack Obama ha raddoppiato gli sforzi economici per finanziare le guerre in Iraq e Afghanistan e per sostenere le destabilizzazioni in vari paesi tra cui Venezuela, Siria, Ucraina. La convinzione della necessità di utilizzare il deterrente militare per imporsi sulla scena mondiale è triplicata con l'amministrazione Obama e la crisi mondiale nata proprio negli Stati Uniti nel 2007. Secondo Wittner la causa del declino americano è economica e non militare. Paradossalmente la forza militare sta diventando il primo fattore per la mancata ripresa economica negli Stati Uniti e il principale rischio per la loro sicurezza. A forza di osservare le sconfitte militari americane gli avversari della democrazia McDonald-Coca Cola stanno diventando sempre più audaci e aggressivi ogni giorno che passa.

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