Il blog intende mettere in evidenza i risvolti filosofici delle tecnologie attuali più rivoluzionarie e mostrare come molte di queste tecnologie siano state anticipate dal pensiero dei filosofi antichi, in modo da riavvicinare il “classico” allo “scientifico”, il “tecnico” all’“umanistico”, termini che la cultura contemporanea considera radicalmente opposti, ma che parecchi secoli fa costituivano le due metà di una stessa mela.
Mario Abbati
Mario Abbati è nato a Roma nel 1966. Laureato in Ingegneria Elettronica e poi in Filosofia, ha trovato nella scrittura una dimensione parallela a quella di professionista nelle tecnologie dell’informazione.
Ha pubblicato i saggi “Ipercosmo, la rivoluzione interattiva, dai multimedia alla realtà virtuale” e “Manifesto del movimento reticolare”; la raccolta di racconti “La donna che ballava il tango in senso orario”; il romanzo, “Il paradiso delle bambole”.
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Giu 18
di Mario Abbati
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Alla fine del diciannovesimo secolo, sulla spinta dell’Illuminismo prima e del Positivismo poi, la fiducia sui risultati della scienza raggiunge apici mai toccati in precedenza. È in questo periodo che un logico-matematico tedesco, Gottlob Frege, inventa il concetto di sistema formale. Un sistema formale è la miscela di più ingredienti: prima di tutto un alfabeto, ossia un insieme di simboli su cui agisce una grammatica che specifica come i simboli si possono combinare fra loro e dar luogo a formule; quindi gli assiomi, cioè formule speciali ritenute assolutamente vere che costituiscono i punti di partenza dei procedimenti dimostrativi; infine i teoremi, ossia le formule conclusive delle dimostrazioni che si ottengono dagli assiomi applicando una o più volte le cosiddette regole d’inferenza.
Da Frege in poi, carovane di logici e matematici, fra i quali soprattutto gli inglesi Bertrand Russell e Alfred North Whitehead, iniziano una gara contro il tempo per trasformare in realtà un progetto colossale: sostituire il mondo della matematica tradizionale, basato sul linguaggio naturale e quindi passibile di ambiguità, con un enorme sistema formale dove ogni conclusione risulti automaticamente vera; in poche parole si tratta di rimpiazzare ciascun enunciato della matematica classica con un teorema dimostrabile nella logica schiacciante del sistema formale. Un sistema formale che goda di questa proprietà, ossia di riprodurre come teoremi tutti gli enunciati del mondo che intende simulare, si dice completo; se al suo interno non esistono teoremi contraddittori, cioè veri e falsi allo stesso tempo, il sistema si dice coerente.
La vicenda sembrava destinata al più glorioso dei finali, archiviata la matematica sarebbe arrivato il turno della fisica, della filosofia, chi lo sa, ogni branca del sapere attendeva il suo esclusivo sistema formale che avrebbe generato tutti i possibili enunciati veri senza le incertezze del linguaggio parlato. Ma, a rovinare la festa, nel 1931, arriva un matematico austriaco, Kurt Gödel, che dimostra che il progetto di Russell e Whitehead non ha soluzione: un sistema formale che pretenda di simulare il mondo della matematica non può essere completo e coerente allo stesso tempo, se si ammette la sua coerenza (cioè che al suo interno non esistano conclusioni sia vere che false), allora esisterà almeno un teorema non dimostrabile (cioè una conclusione che non sapremo mai se è vera o falsa); viceversa, se si ammette la completezza, allora esisterà almeno un teorema che sarà sia vero che falso.
Gli effetti distruttivi del teorema di Gödel provocano un effetto domino su larga scala, in particolare nella teoria della computazione sul cui nucleo sarebbe nata l’informatica moderna. Nel 1936 Alan Turing – ancora un inglese – inventa una macchina ideale, la macchina di Turing universale, che in linea teorica dovrebbe risolvere qualsiasi problema computazionale in un tempo infinito o arrestandosi dopo un tempo limitato. In realtà Turing dimostrò che non sempre è possibile stabilire se la macchina si fermerà o se continuerà a macinare dati dall’infinito: esiste almeno un problema computazionale (come capitava per i teoremi nei sistemi formali) per cui la macchina denota un comportamento non decidibile.
Al di là di formule e algoritmi, Gödel e Turing ci insegnano che il progresso della scienza non è inarrestabile, che se ci si affida esclusivamente alle funzioni logiche del pensiero, ossia all’emisfero sinistro del cervello, prima o poi le onde dei ragionamenti s’infrangono su scogliere insuperabili. L’unico modo per uscire dalla palude è impostare una scienza nuova che metta a fattor comune le facoltà dell’emisfero sinistro con quelle tipiche dell’emisfero destro come l’immaginazione e il sentimento. Probabilmente, se domani vorremo viaggiare avanti e indietro con la macchina del tempo di Ritorno al futuro, o saltare da una galassia all’altra attraverso l’iperspazio di Guerre Stellari, l’unico modo sarà trasformare la scienza dimostrativa in una scienza narrativa.
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