San Michele Arcangelo, "Chi è come Dio?"

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San Michele Arcangelo, "Chi è come Dio?"

L'arcangelo Michele protesse e promosse la Congregazione ai suoi primordi

di padre Max Anselmi, passionista

Padre Max Anselmi
Padre Max Anselmi

CORSO IN QUATTRO QUADRI

per conoscere

S. Paolo della Croce

e il suo invito a lavorare

per la felicità delle persone

Come vorrei – anche per un istante –

fermare il tempo

per raggiungere un Pellegrino d'Assoluto

ed insieme camminare

su sentieri di primavera

che conducono

... all'infinito

*****

SECONDO QUADRO

(su quattro)

In fase esecutiva

a difendere l'Opera di Paolo della Croce

interviene S. Michele Arcangelo

Nel periodo di permanenza a Castellazzo Bormida, dal 1717 al 1721, Paolo Danei continua la maturazione spirituale: riceve la Cresima, il 23 aprile 1719, e conferma la sua aspirazione a una vita religiosa con altri compagni.

Teresa Danei, la sorella di Paolo della Croce, al Processo Ordinario di Alessandria depone che ci fu un tempo in cui egli si recava “spesso” in Alessandria a parlare con il vescovo e “più volte” è andato anche a Genova: evidentemente a parlare con Padre Colombano.

Teresa, per quanto riguarda il vescovo, non può riferirsi che al periodo successivo alla cresima del fratello, perché fu in quella occasione che ebbe modo di conoscerlo e parlargli, anche perché fu il parroco stesso a presentarglielo.

Quanto alle visite periodiche a Padre Colombano, ne abbiamo conferma dal cugino, don Paolo Sardi, nella sua Relazione del 1775. In essa scrive: “Andando il buon Servo di Dio una volta tutto solo a Genova non so se per qualche interesse di sua Casa, o per andar a visitar e conferire col Padre Colombano Cappuccino vero Maestro e Direttore di spirito, con cui carteggiava, e conferiva li arcani di sua coscienza…".

Il vescovo non si sostituì però al Padre Colombano, che restava quindi il Direttore spirituale ufficiale di Paolo anche dopo la Cresima, anzi ancora di più, perché l’obbligò più volte a recarsi da lui, perché voleva sentire il suo parere, in cose tanto delicate, come era la vestizione, la vita tanto penitente che egli voleva abbracciare e la fondazione di un nuovo Istituto religioso. Tra il vescovo e Padre Colombano c’è stata una intensa comunicazione e se il vescovo alla fine accondiscese di vestire Paolo, lo fece perché si fidò del discernimento del Padre Colombano.

La lettera che Padre Colombano in data 25 novembre 1720 diresse al vescovo, oltre a documentare il buon rapporto che esisteva tra i due, sta a dimostrare la preparazione teologica e mistica che egli possedeva se era in grado di trattare in modo tanto sereno e competente della singolare ispirazione mistica di Paolo e della qualità della sua orazione convinta e continua.

È notevole il fatto che in essa Padre Colombano arrivi ad affermare che "Paolo Francesco (Paolo della Croce)... è passato per tutti i gradi dell’orazione".

La valutazione è evidentemente data in relazione allo schema proposto nelle sue opere da S. Teresa d'Avila. La frase può essere interpretata così: “Paolo ha nella sua orazione superato tutti i gradi di orazione” o meglio ancora: “Paolo nella sua orazione è al di là di tutti i gradi di orazione”.

Ad offrirci l'argomento decisivo per interpretare in questa direzione le parole valutative del Padre Colombano è Paolo stesso, perché, facendo appello all'autorevolezza che gli derivava dal fatto di essere suo Direttore spirituale, lo chiama a testimone nella Prefazione della Regola, così: “Sappiasi, che dopo che il mio Iddio m’ha ritirato dagli esercizi di meditazione, cioè dall’andar discorrendo sopra i misteri andando da una cosa all’altra, non ho più forme immaginarie, come di ciò ne puole fare piena fede il mio R. do P. Direttore”.

Padre Colombano nel seguire spiritualmente i suoi penitenti, Paolo compreso, si serviva molto della dottrina di S. Caterina da Genova. Ed è meraviglioso constatare che il pensiero di questa grande mistica genovese sia entrato in modo determinante in lui: la contemplazione della Passione vissuta e proposta, come spiritualità del puro amore!

Il pensiero della Passione è sempre stato centrale per san Paolo della Croce, come è sempre stato un punto fisso quello di diffonderne la grata memoria quale speranza e certezza di vita trasfigurata dall’amore salvifico per ogni persona, questo il "voto" cui si legò con la vestizione dell’abito da religioso penitente da parte del commosso vescovo il 22 novembre 1720, cui seguirono i 40 giorni di ritiro, presso la celletta presso la sagrestia della chiesa di S. Carlo in Castellazzo Bormida, ove scrisse la Regola da sottoporre all’approvazione papale.

Riferiamo a questo riguardo la conclusione della lettera che Paolo il 21 gennaio 1722, dalla chiesa di santo Stefano, indirizzò ai suoi fratelli e alle sue sorelle nella forma di “addio”, prima di lasciare il suo paese. Scrive: “Vi lascio dunque nelle Ss.me Piaghe di Gesù, sotto la Protezione di Maria Ss.ma Addolorata, sì voi come tutta la Casa in particolare; pregandola a bagnarvi il cuore, con le sue dolorose lacrime, acciò abbiate una continua memoria della amarissima Passione di Gesù Cristo e dei Dolori suoi, e che vi dia la perseveranza nel Ss.mo Amore di Dio, e fortezza e rassegnazione a patire. Accettatevi dunque per vostra Gran Protettrice Maria Ss.ma Addolorata, e non lasciate mai più la meditazione della dolorosa Passione di Gesù Cristo. Dio per sua Misericordia vi dia la sua Ss.ma Benedizione a tutti, e pregatelo ancor per me!".

Incomincia qui l’avventura dei due fratelli Danei, Paolo e Giovanni Battista, passionisti, o “poveri di Gesù", che sulle ali dell’entusiasmo per l’avvio dell’esperienza di vita eremitica attraversano la penisola intera, pellegrini di Grazia celeste, fino al Gargano, da San Michele, e poi a Roma, prima di fondare il ritiro a loro destinato e difeso dal patrocinio celeste: il Monte Argentario.

Per Paolo è stata sempre forte la consapevolezza che il demonio è l'avversario non solo principale, ma assoluto del ricordare la Passione. Il demonio cerca in tutti i modi di impedirlo, innanzitutto deridendo, presentando come esercizio infantile, da gente da poco, come perdita di tempo compiangere l’ingiusta condanna ed il martirio cruento di Gesù perché anche solo mettendosi in una relazione superficiale, indiretta alla Passione, chi riflette o prega possa ammettere che abbiamo sbagliato di uccidere "l'Autore della vita" (cf. Atti 3, 15) e che Gesù è Giusto, è stato e resta il Signore! E se si proclama Gesù Signore, viene detronizzato lui, cessa una volta per sempre di essere considerato il principe del mondo. E questo, certo, non lo vuole! Ed è per questo che cerca di impedirlo in tutti i modi!

La storia della Congregazione Passionista ne è una prova grandissima: a difenderla è intervenuto, su ordine della Madre del Signore, l'Arcangelo Michele.

La testimonianza extra-processuale di Tommaso Fossi chiarisce bene tutto questo, aggiungendo delle novità che non si conoscevano. Infatti il demonio voleva non solo far demolire la costruzione che stava per essere terminata, ma giungere ad uccidere tutti i religiosi!

Testimonia Tommaso Fossi (Art. 41): «Nel giorno 28 settembre dell'anno suddetto 1767, il P. Paolo essendo ricaduto infermo, fu interrogato dal Fratello Bartolomeo in tempo di pranzo, essendo io presente, se era vero, che S. Michele Arcangelo fosse stato veduto colla spada difendere la Congregazione, ed egli rispose, ciò esser vero; e si spiegò così: “Nei principi della fondazione del Ritiro della Presentazione alcuni malviventi si posero in animo di uccidere tutti i Religiosi del detto Ritiro, per far bottino di quella poca roba che v'era; ma non poterono far nulla; mentre v'era un forte difensore a pro del detto Ritiro. Imperocché fu veduto il glorioso S. Michele Arcangelo, che colla spada alla mano girava intorno al detto ritiro per difenderlo dagli insulti dei suoi nemici, e d'allora in poi s'elesse questo fortissimo Principe per Protezione di tutta la Congregazione”. Qui il P. Paolo non nominò chi fosse, che vedesse S. Michele difendere».

S. Michele è intervenuto non solo per impedire che si demolisse, chiamiamola così, "la prima materializzazione del carisma" raggiunta tramite la faticosissima costruzione del primo conventino, ma anche nei primi tempi, caratterizzati dal discernimento e dall'approvazione ecclesiale del carisma.

Riteniamo importante conoscere in forma dettagliata come ciò sia avvenuto.

Paolo e suo fratello lasciarono la loro famiglia e il loro paese di Castellazzo Bormida (AL) il 22 febbraio 1722 e arrivarono al Monte Argentario, possedimento del Regno di Napoli, il Giovedì Santo 2 aprile. Celebrata la Pasqua a Porte Ercole, ospiti del parroco, don Giovanni Antoni, e ottenuto il permesso del vescovo di Soana (Pitigliano) si ritirano nell'eremo sovrastante il paese, detto dell'Annunziata. Tra Porto Ercole e Gaeta, essendo due Presidi Spagnoli, il collegamento era frequente se non continuo. Interessante è sapere che a trasportare militari e passeggeri si occupava, tra gli altri, anche il papà di S. Alfonso de^ Liguori, il Sig. Giuseppe, servendosi di una imbarcazione a vela, detta "feluca", di piccole dimensioni, ma appunto per questo adatta per la navigazione costiera e in acque poco profonde. Qui è bene lasciar parlare lo storico della diocesi di Gaeta, don Paolo Capobianco che riferisce una notizia non conosciuta o quanto meno non ancora recepita dai biografi di S. Paolo della Croce. Ecco il suo racconto: "Una nave postalino [imbarcazioni per il trasporto principalmente della posta, ma pure di passeggeri] congiungeva i presidii di Toscana con Napoli, con fermata a Gaeta. Il comandante del postalino, Giuseppe de^ Liguori, padre di Sant'Alfonso, sentita la fama di santità dei due fratelli Danei che vivevano vita eremitica a Monte Argentario, ne parlò al vescovo di Gaeta mons. Carlo Pignatelli ed al vescovo di Troia (Foggia) Mons. Emilio Cavalieri suo cognato. I due zelanti Pastori fecero a gara per avere nella propria diocesi i fratelli Danei". (Fonte: don Paolo Capobianco, I vescovi della Chiesa Gaetana, vol. II, stampato nel marzo 2000 presso Arti Grafiche Kolbe di Fondi: Mons. Carlo Pignatelli pp. 433-440; cit.p.437).

Da notare che Mons. Carlo Pignatelli, con l'exequator regio, era stato trasferito nel 1722 dalla Chiesa di Potenza a quella di Gaeta da suo zio, papa Innocenzo XIII (Michelangelo Conti), quindi nello stesso anno dell'arrivo di Paolo e suo fratello Giovanni Battista al Monte Argentario!

Essi accolsero subito l'invito di Mons. Carlo Pignatelli, infatti già verso la fine del 1722 si recarono a Gaeta per una breve visita. Vi ritornarono nel 1723 e il 27 giugno dello stesso anno ottennero dal vescovo di Soana (Pitigliano) il permesso di trasferirsi a Gaeta. Per motivi di famiglia dovettero però presto assentarsi per diversi mesi: vi ritornarono per la quaresima e la pasqua del 1724. Qui li raggiunse un invito insistito di Mons. Emilio Cavalieri, vescovo a Troia (Foggia), con la raccomandazione del Card. Juan Álvaro Cienfuegos, per cui si sentirono in dovere di andare in Puglia a fargli visita, passando prima dal Santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano. Secondo i testimoni iniziarono il loro pellegrinaggio in agosto, dopo l'Assunta, quando il clima era ancor molto caldo. Per quanto è dato di sapere dalle biografie, essi si trovavano a Gaeta, per cui è da ritenere che essi partirono non da Roma, ma da Gaeta, seguendo, con ogni probabilità, la via micaelica "alta" che fiancheggia le località: Cassino, Isernia, Campobasso, Lucera, San Severo, San Marco in Lamis, Monte S. Angelo.

Dopo giornate di cammino sotto un sole cocente, fatto tutto a piedi nudi e senza la protezione di un berretto o cappello sul capo, i due pellegrini arrivarono “sfiniti” al santuario: era sera tardi, per cui lo trovarono chiuso. Si misero in ginocchio fuori la porta di ingresso del santuario, costituito da una cappella, passando dalla quale si scende alla grotta dell’arcangelo, posta alquanto più in basso rispetto alla cappella, e pregarono tutta la notte. Durante la preghiera Giovanni Battista sentì una voce interiore che gli disse, prima: “Visitabo vos in virga ferrea et dabo vobis Spiritum Sanctum” [= Io vi visiterò col bastone di ferro, ma poi vi darò in premio lo Spirito Santo], poi: “Crux venit, Crux mundi, Crux tua” [= La croce viene, la croce del mondo, la tua croce].

Queste due locuzioni, come ognuno può notare, sono nella loro formulazione al plurale, per cui erano per ambedue, in effetti esse furono di particolare sostegno a Paolo, perché lo incoraggiavano in modo soprannaturale ad impegnarsi a fondare la Congregazione, nonostante le sofferenze che avrebbe dovuto sopportare.

Terminato il pellegrinaggio, scesero a Troia, da Mons. Emilio Cavalieri, zio materno di S. Alfonso de^ Liguori, fermandosi diversi mesi.

Nel ritorno, Paolo e Giovanni Battista, cambiarono strada, si unirono ai pellegrini di Troia che si recavano a Roma per il giubileo, passando per Benevento e Capua.

Giunto a Roma, oltre alla visita alle chiese per l'acquisto dell'indulgenza del giubileo, Paolo si mise a servizio dei poveri, dove fu pure accolto lui ad alloggiare: all'ospizio Trinità dei Pellegrini (nelle vicinanze del Ponte Sisto).

Non l'8 maggio, giorno della sua festa, ma il 21 maggio 1725, S. Michele Arcangelo gli ottenne dalla Vergine Ss.ma la grazia, tanto desiderata, di incontrare e parlare con il Papa, per chiedergli di benedirlo e autorizzarlo a fondare la Congregazione che si impegnava con voto a promuovere la riconoscente memoria della Passione del Signore Gesù.

Fu un grande evento, anche se l'autorizzazione fu solo verbale: "vivae vocis oraculo". Era infatti parola del Papa!

Questo avvenne davanti alla Basilica di Santa Maria in Domnica, detta della Navicella, sul Celio.

Il Papa che gli concesse tale facoltà era Benedetto XIII, lo stesso che due anni più tardi, precisamente il 7 giugno 1727 l'avrebbe ordinato sacerdote nella Basilia di S. Pietro.

Come si è cercato di documentare, S. Michele ha un ruolo di primo piano nella vita di S. Paolo della Croce come pure nella storia della realizzazione del carisma della Passione, da essere dichiarato Patrono principale della Congregazione. In questo si è dimostrato davvero vittorioso contro satana che non vuole che si ricordi la Passione, dalla quale, invece, come Paolo spiega proviene "ogni bene". Grazie S. Michele Arcangelo!

Preghiera a S. Michele Arcangelo

per chiedergli di insegnarci ad adorare Dio solo...

O ARCANGELO MICHELE,

ecco, il tuo nome ci interroga,

domanda e rimanda all'Essenza che vivifica ogni cosa:

Dio.

Dio che è Potenza totale, Amore eterno.

O S. Michele,

a te umilmente ci uniamo riconoscenti

e, insieme agli angeli e ai santi del paradiso,

adoriamo Dio solo.

In lui è la sorgente zampillante che non dissecca,

ma perennemente disseta l'arsura dei nostri cuori.

In Gesù Cristo, il Figlio Divino incarnato,

tutto Egli ha portato a compimento

per la salvezza e la gloria, nel suo regno, del genere umano,

creato ad immagine e somiglianza sua.

Sì, il nostro Dio è Amore insuperabile.

Tu, Arcangelo S. Michele,

con il tuo potere,

difendici e liberaci dagli spiriti ribelli

che da sempre minacciano, sconvolgono e turbano le nostre anime,

producono discordie, divisioni, rovine, mietendo vittime.

Ti preghiamo,

la nostra vita sia dono per il bene e l'aiuto vicendevole

e i popoli tutti siano capaci di incontrarsi nella carità

e così insieme gioire felici,

vittoriosi,

nella buona battaglia dell'esistenza.

Amen

Domenica 16 febbraio 2025

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