di Gianluca Valpondi
Ciao Mirko. Pare che il governo voglia rovesciare il principio evangelico “pensate al regno di Dio e alla sua giustizia e il resto vi sarà dato in aggiunta”. Ma, invece, non è proprio evangelico, e più evangelico, pensare a salvare la vita di più persone possibile anche a costo di rinunciare a messe, tabernacoli ed ammennicoli vari?
Caro Gianluca, io credo che oggi sia fondamentale garantire un minimo spazio di diritti e libertà costituzionali all’interno di un recinto di prescrizioni che mette al primo posto il diritto alla salute di tutti come previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Siamo in emergenza pandemica e quindi la priorità di un governo dev’essere quella di proteggere la vita delle persone e realizzare il minor numero di morti possibile, cercando di salvaguardare la vita di tutti. Però dentro a questo spazio, come più volte ripetono vari “cronisti” – ho letto pezzi interessanti di Walter Veltroni, di Marcello Pera e di altri opinionisti, politici su vari giornali italiani - che parlano appunto della necessità di contemperare queste misure con il mantenimento della vita democratica, e una riorganizzazione della vita democratica posta in emergenza coronavirus. Credo che ora più che mai il tema della garanzia delle libertà possibili all’interno del quadro costituzionali sia una priorità, e questo è possibile farlo dentro anche una delle principali libertà garantite dalla nostra costituzione, che è la libertà religiosa. Quello che oggi è diventato problematico con l’ultimo decreto-legge è proprio il limitare la possibilità delle persone di andare in chiesa per un momento di ritiro spirituale e di preghiera, dentro a delle indicazioni particolari molto restrittive. Per esempio, viene prevista la possibilità solamente all’interno di un raggio – durante il tragitto che dev’essere fatto per gli spostamenti consentiti dalla decretazione governativa - di distanza di massimo 300/400 metri; questo crea problemi, perché porta tante persone ad avere il timore di poter andare a pregare, soprattutto in un momento particolarmente importante per noi cristiani come quello, che viviamo, della quaresima e dell’attesa pasquale. Credo che queste limitazioni, che poi hanno trovato risposte un pochettino più larghe, come per esempio il riconoscimento da parte del governo tra le attività urgenti e professionali anche quella dell’esercitare le funzioni liturgiche per i sacerdoti, poteva essere serenamente superato garantendo tra le varie libertà che potevano essere inserite all’interno delle giustificazioni nei modelli di autocertificazione, quello di poter accedere alla chiesa per un momento di ritiro spirituale, naturalmente non assieme ad altre persone, ma rispettando le distanze di un metro, le prescrizioni anche igienico-sanitarie previste per tutti; questo sarebbe stato qualcosa di utile, di rassicurante e che avrebbe permesse un rapporto più sano e meno conflittuale tra libertà religiosa e disposizioni urgenti previste per lo stato di emergenza nazionale
Cos’è una messa privata, celebrata in forma privata e/o “a porte chiuse”? Chi sono i “partecipanti” ad essa? Chi i celebranti? (“Donaci, Signore, di celebrare gioiosamente questa eucarestia...”, “E hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra”, Ap 5,11)
Mah... credo che questa nuova modalità con cui si celebrano le messe sia uno strumento utile; per esempio io apprezzo molto l’iniziativa che porta avanti il cardinal Zuppi, a Bologna, tutte le sere un santo rosario nei luoghi di fede più importanti di culto cristiano-cattolico della città metropolitana di Bologna, della diocesi di Bologna, credo che siano esempi importanti. In questo momento sicuramente bisogna cercare di mantenere viva la possibilità di partecipazione alla vita liturgica da parte dei fedeli anche con modalità inedite e diverse; però non dobbiamo far perdere l’importanza dell’andare in chiesa, dell’avvicinarsi al tabernacolo, del partecipare alla vita spirituale attraverso la casa dove il corpo di Gesù è presente; questa dimensione di partecipazione che quando sarà possibile ritornerà ad essere collettiva è fondamentale mantenerla. Per questo, se da un lato possiamo con molta difficoltà, molto disagio e molta sofferenza accogliere in questa fase di emergenza pandemica la sospensione della santa messa cum populo, è dall’altra parte inammissibile che la nostra libertà religiosa non sia garantita nel poter andare ad avere un momento di ritiro spirituale di breve tempo nel rispetto delle normative di prevenzione e sicurezza sanitaria all’interno della nostra parrocchia o delle nostre chiese. Credo che questo sia fondamentale. Dall’altra parte, le domande che poni su queste messe in forma privata e a porte chiuse sicuramente apre degli interrogativi che dovranno in futuro creare le condizioni anche all’interno della chiesa di disciplinare, regolamentare situazioni emergenziali come questa, in modo che possa essere vissuta anche la santa messa con gli strumenti nuovi che sono consentiti attraverso l’informatica e internet, perché l’importante oggi è che comunque il messaggio del vangelo possa arrivare a tutti, e lo ha dimostrato il momento di preghiera stupendo Urbi et Orbi del Papa fatto davanti alla piazza di san Pietro, che veramente è stato evocativo ed è stato un momento di speranza per tutti, uomini e donne di fede e non.
Bisogna stare attenti, in nome della libertà di coscienza religiosa, ad invocare troppo disinvoltamente il “modello cinese” in questa crisi da pandemia?
Sicuramente il modello cinese può essere evocabile sul piano dell’efficacia nell’andare ad arginare l’espansione della pandemia e contenere al massimo i suoi effetti negativi in termini di contagi e di morti, e ridurre il tempo di quarantena per la popolazione. È chiaro che non lo possiamo considerare come modello di riferimento perché non ha nulla a che vedere con un regime democratico, essendo in Cina presente un regime dittatoriale. Dobbiamo guardare quella che è l’efficacia del cosiddetto lock down, che come Popolo della Famiglia abbiamo proposto con immediatezza nei giorni seguenti la dichiarazione da parte del governo italiano dello stato di emergenza nazionale a fine gennaio. È fondamentale che in questo momento si tenga in considerazione questo aspetto, ovvero prendere ad esempio il modello di quarantena per tutti – e dovremo procrastinarlo per tutto il mese di aprile almeno vedendo quali sono i trend, speriamo di decrescita, nelle prossime settimane dei contagi e dei morti - e cercare di conciliarlo con un rispetto dell’applicazione piena del principio di democrazia e di libertà previsto dal nostro quadro costituzionale. È un esercizio complicato, questa intervista ne parla sul piano della libertà religiosa nello specifico, ma credo che possa farci riapprezzare il valore di esperienze come la democrazia e la libertà che sono state affidate a noi dai nostri nonni che le hanno conquistate dopo due conflitti mondiali, e credo che oggi possiamo noi come nipoti e bisnipoti di quella generazione, avere l’audacia e la forza di poterle rimisurare col nostro tempo, riorganizzarle dentro un quadro costituzionale chiaro e attraverso forme più trasparenti, più agili e soprattutto più partecipative.
Tutto sussiste in Cristo. Anche il Covid-19. Reale Presenza dell’Onnipotenza. Il Verbo eterno, la Ragione eterna (anche informativa) di tutte le cose non può forse tutto – se non La tentiamo invano! - contro una mera informazione genetico-elettromagnetica, quale è questo maledetto virus, che è anche virus antisociale, della fobia sociale, un virus dia-bolico, che divide? Del resto, non potrebbe, il Logos, per sconfiggere la pandemia, per tornare al dia-logo, illuminare la mente di scienziati e ricercatori, nel rispetto – si capisce – della loro libertà e dunque delle loro facoltà naturali? Oppure, non è che proprio sto maledetto virus ci potrebbe far riscoprire, volendolo, l’autentica vicinanza - a se stessi, a Dio e agli uomini? Ma le moderne democrazie riconoscono, tutelano, rispettano, promuovono i diritti dell’Uomo-Dio? Quelli dell’uomo che si fa Dio o quelli del Dio che si fa uomo? Senza fede, la ragione ce la fa? E...le ragioni del cuore? Mero sentimentalismo o intimo sacrario della coscienza umana?
La domanda che poni è di assoluta urgenza e importanza. Ci sono due elementi che voglio sottolineare. Il primo, bisogna riscoprire una forte alleanza tra politica e tecnica; io ho riproposto ad esempio in termini di welfare society e di riorganizzazione dello stato sociale in Italia dopo la fine dell’emergenza coronavirus, il tema dell’Iri, ovvero di una società pubblica che si possa occupare di partecipare all’economia reale del Paese attraverso interventi dello Stato, della cosiddetta mano pubblica, che possano nei settori strategici per lo sviluppo e il rilancio – penso alla sanità, alle telecomunicazioni, l’urbanistica... e via discorrendo – creare le condizioni - la tecnologia ovviamente - di un’alleanza Stato-privati benefica per un rilancio della piena occupazione e una competitività internazionale. E questo naturalmente comporta che ci sia una nuova alleanza tra politica e tecnica, cioè una classe dirigente politica più preparata, più competente, che possa allearsi con le migliori teste che escono dalle nostre università, essendo capaci di mantenerle nel nostro Paese anziché farle emigrare all’estero per incapacità del nostro sistema-Paese di offrire loro condizioni lavorative e di vita sociale adeguate alle loro aspettative, come avvenne negli anni del grande successo dell’Iri quando c’erano i migliori economisti dell’Europa e dell’Occidente, italiani, che producevano un sistema di economia mista pubblico-privato che ha fatto da modello a livello internazionale. Sul tema del coniugare l’aspetto della dimensione pubblica della fede con la vita civile di tutti credo che dobbiamo fondamentalmente oggi creare le condizioni – lo dimostrano con un esempio paradigmatico e plastico gli share che vengono ottenuti dalle celebrazioni del Santo Padre a santa Marta tutte le mattine su RaiUno alle 7 o i momenti di preghiera riportati dalla Rai durante la giornata – che vadano incontro al fatto che oggi c’è un gran bisogno di presenza e riconoscibilità pubblica della dimensione della fede. Lo dobbiamo fare nel rispetto della libertà e della laicità delle istituzioni pubbliche, ma attraverso il fatto che oggi più che mai bisogna riconoscere questo ruolo pubblico della fede per riconsegnare al futuro le nostre radici. Per poter costruire il futuro c’è bisogno di radici ben salde e per riscoprire le nostre radici abbiamo bisogno di riscoprire quella che è la nostra matrice culturale che non può che rifarsi a quelle parole sagge di san Giovanni Paolo II, ovvero radici greco-romano-giudaico-cristiane. Per fare questo bisogna che questa dimensione sia vissuta, non un discorso semplicemente storico o idealista, ma incarnata nell’esperienza quotidiana; e quindi il fatto che possa essere offerta questa testimonianza non con l’esaltazione ideologica della preghiera come strumento da clava elettorale come avvenuto purtroppo durante la puntata di Live della d’Urso con Matteo Salvini, recitando il rosario insieme, che è diventato più un momento di polemica politica che di comunanza spirituale, ma, come c’insegna papa Francesco, nella mitezza dei comportamenti e nell’umiltà della testimonianza, come uno strumento in cui la fede diventa luce per la ragione della nostra classe dirigente, e per fare questo momenti di visibilità pubblica religiosa ci sono utili anche di riflessione perché possano aprire un dialogo tra credenti e non credenti, che sulla stampa troviamo ampiamente – leggere un Furio Colombo sulle colonne de IlFattoQuotidiano che riconosce come leader internazionale, morale e politico oggi papa Francesco è la dimostrazione che qualche cosa sta cambiando. Ma sta cambiando perché l’atteggiamento con cui ci poniamo come interlocutori nel mondo da cristiani, in primis anche il nostro pontefice, è quello non di un’imposizione ideologica ma di un dialogo dentro un quadro di libertà che si fa occasione di confronto nel rispetto del principio della laicità delle istituzioni.
Mercoledì 1 aprile 2020
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