di Sergio Bevilacqua
Una sola parola per uno spettacolo che mostra magistralmente, come già “Alfred, Alfred” di Donatoni esattamente un anno fa, nello stesso bellissimo teatro Ariosto di Reggio Emilia, quali sono gli orizzonti del panorama contemporaneo del teatro musicale d'arte, cioè dell'opera lirica.
Là la citazione della Traviata di Verdi, qui l'icona artistica “Tosca” di Puccini, avviano uno spettacolo che riposiziona musica e immagini, incorporando l’evoluzione sensoriale del XX secolo a favore degli aspetti visivi rispetto a quelli uditivi. Poi, ecco l’altro elemento moderno, l’adozione di temi drammaturgici provenienti dalla cronaca nera corrente: malgrado le sottolineature citazioniste di compositore/librettista e regia, l’opera risemantizza il dramma della violenza di genere, purtroppo aggravatosi, o, forse meglio, uscito dall'ombra di pudori e intere (in)civiltà. Violenza, forse non esclusiva ma di gran lunga prevalente, del maschio sulla femmina della attuale (poi spiego perché scrivo “attuale”…) umanità: ci sono culture miliardarie in termini di demografie di riferimento che la giustificano, millenni di altre che la sottovalutano e una rivoluzione sociologica in corso, “attuale”, appunto, la Ginecoforia, che ne stigmatizza l’assurdità belluina e il ribrezzo, oltre a designare per la prima volta nella storia della specie umana, un deterrente estremo, la sostituzione del maschio nella filogenesi attraverso tecniche e prassi originali dell’ultimo quarto di secolo.
Floria ha un incidente, che suona come il suicidio della pucciniana Floria Tosca, che ha finto di cedere (ma fino a un certo punto ha dovuto farlo…) a quel porco di Scarpia che la ricatta per la vita del suo Cavaradossi, il bel pittore rivoluzionario che lei ama. Tosca non cederà del tutto, ma il malvagio capo della Polizia metterà in luce il desiderio satanico del violentatore.
Mi sono sempre domandato, fin quando da ragazzo mi sono passate per le mani le opere del marchese D.A.F.De Sade, allora ancora proibite alla pubblicazione in Italia, quale può essere il piacere del violentatore. Scarpia non arriva (nemmeno De Sade, ed è tutto dire…) a ipotizzare nella natura della femmina della specie umana un piacere masochistico nel subire la violenza del maschio. La lettura dell’etologia animale suggerisce alcuni casi del genere in altre specie, e solo una certa retorica recente, col gusto dell’orrido, ispeziona e documenta letterariamente questa possibilità nell’Uomo, che, diventando pensiero morale (cioè, immorale…), apre degli spazi ad antropologie neanderthaliane o sataniste, fatte di forza fisica e non di cervello oppure, anche peggio, di cervello asservito alla forza fisica e al male.
Non solo distopia pucciniana, anzi: vero e proprio tema antropologico, con pretesto nella violenza di “Tosca” del grande lucchese.
In fondo, a noi che ne parliamo e ne facciamo tema sociatrico, basta saperlo… Ma invece a quante donne e a quanti poveri uomini pre-sapiens, privi di capacità critica, tali ideologie sessuocannibaliche nuocciono? Per quanti maschi divengono un nascosto desiderio di soddisfazione e per quante femmine un semplice, intrigante fattore accessorio, che richiede materna (autolesionistica) tolleranza? E quante vere colture di insulto alla nobiltà dell’essere umano, perversioni criminali, germogliano in quest’orrore?
È ovviamente ora di finirla, e anche l’arte se ne occupa, il teatro di tragedia, l’opera lirica o teatro musicale d’arte in questo caso.
Allora, questo spettacolo, in prima assoluta a Reggio Emilia il 18 maggio 2025, descrive con suoni e educati vocalizzi il dramma diabolico della violenza sulla donna. Senza provocazione, una bella donna nuda occupa il palcoscenico per quasi tutto il tempo, giustamente calibrato per gli usi contemporanei in circa 70 minuti. Essa segnala con il suo lento risveglio fisico, i danni della violenza subita, che ha distrutto i ponti con l’esterno e anche i delicati ponti interni tra psiche e soma, tra mente e corpo. I vagiti della rinascita, del dolore di un nuovo auto-parto salvatore del sé, ben interpretati da Maria Eleonora Caminada, sono sottolineati da una miscellanea ben riuscita di tonale e atonale, in alcuni momenti corali dell’ottimo quartetto vocale, con gli sfondi cinematografici a donare l’immersione catartica della vera emozione. Insieme a quel corpo di donna in rigestazione, l’opera prende in mano l’attualità del mix parnasiano proprio, ripondera la presenza dei fattori audio-video e sposta sul video il baricentro dell’insieme operistico, con grandi risultati di modernità: la musica di Virginia Guastella e il libretto sempre suo hanno un complemento organico in tutto ciò che è visivo, a cura di Luigi Noah De Angelis.
Già così fu esattamente in “Alfred, Alfred”: uno stesso mix artistico che potrebbe divenire filone impresariale per I Teatri di Reggio Emilia, che figurano un poco minori rispetto alla vicina Parma, tornata a una cifra di tradizione dopo la esaltante era Meo, e alla prorompente vitalità di Bologna.
Chissà che questa constatazione non incuriosisca la fresca visione della Direzione teatrale reggiana, occupata da un simpatico Paolo Cantù, dotato di un’ascendenza di tutto rispetto nella scuola torinese e con le mani in un bacino aperto ad esperimenti e innovazioni, come quello di una città da poco in una condizione neo-cosmopolita, libera da pesanti retaggi tradizionalisti e travolta da mille culture diverse… Sarebbe molto importante, perché il rischio del nulla, del banale e del volgare è dietro l’angolo, e solo qualche fatto culturale identitario può contrastare il baratro civile che la cronaca reggiana purtroppo minaccia quotidianamente…
(Testo A.I.free)
Mercoledì 21 maggio 2025
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