di Sergio Bevilacqua
Non è regina e non è principessa: troppa emozione e travaglio nella sua storia.
Non è dea: impossibile rappresentarla come fece Tiepolo con Venezia a metà Settecento in Palazzo Ducale.
Non marchesa: nessuna marca inviolabile nei suoi confini culturali e civili ben presenti.
Chioggia è Duchessa, con tutto ciò che questo titolo affettuosamente attribuito porta con sé: nobile elevatezza, orgogliosa dialettica con principi e re, potenza caratteristica, doverosa capacità difensiva espressa nei secoli, strenua e tenace resistenza culturale a tutti coloro che tentarono di violarla, a volte cedendo ai troppo più forti, ma mai finalmente succube di alcuno.
Ed è ancor’oggi così. L’apparenza veneziana non dice tutto: il corpo di Chioggia è anche terraferma, e ciò non solo per protezione, ma per natura. Una volta piccola presenza lagunare, meno di un decimo di Venezia, titolare di una delle tre bocche di porto della laguna di Venezia, che aprono la millenaria cassaforte forzata solo dalla modernità e da Napoleone, oggi è principale presenza cittadina al di qua della barriera Pellestrina-Malamocco-Lido. Mentre i veneziani son fuggiti dalla città lagunare, emigrati, sospinti in terraferma, rimasti in 40000 in laguna; invece, a Chioggia son ancora tutti lì, 50000 umani tenaci, a guardar quella laguna ove la Serenissima non è più padrona e prepotenza, ma luna-park di popoli del mondo, lì per vivere l’immaginario, mentre Chioggia continua con equilibrio il duro lavoro con la realtà.
La laguna non è più un ambiente geo-politico, come è stato per millenni, ove poter fare istituzioni e umanità caratteristica: oggi è semplice situazione geografica e naturalistica, con in mezzo quel fenomeno di accecante bellezza, commerciale e turistica, che è Venezia, il grosso “pesce” (quella la forma dei sestieri nella mappa dall’alto, adottata nella bella raccolta dello scrittore veneziano Premio Strega 2009 Tiziano Scarpa), con intorno il suo arcipelago lagunare.
Se Venezia è un pesce, non c’è pesce così senza un suo scheletro, che lo regga e fortifichi: bene, oggi quella lisca di pesce è proprio Chioggia. Guardatela dall’alto: una via principale, Corso del Popolo, un canale principale, Canal Vena a far da spina dorsale, un pò terra e un pò acqua proprio come è Chioggia, e vertebre a destra e a sinistra come calli, vie o vicoli in serie lungo quell’asse.
Un tempo piccola, fragile e resistente città a cavallo tra laguna e terraferma, ora Chioggia è cresciuta e ha un peso che si misura in litri o metri cubi di acque: acqua dolce, come i fiumi e i canali che attraversano il suo territorio, acqua salata, come quel mare che si vede dalla sua flotta di pesca e dalle spiagge della sua bisbetica moglie Sottomarina, e acqua mista, come quella palustre interna alla laguna che si vede dal ponte di Vigo con le sue colorite leggende circostanti, fatte di leoni grandi e piccoli, rampanti e non, e di gatti, come nella storia della sua celebre Colonna.
Acque, allora, che delimitano terre, o ne sono delimitate: ma, a differenza della Serenissima, la terra non è puro confine oppure risorsa aliena di un mondo agricolo da sfruttare, da utilizzare per una propria vita totalmente altra nei palazzi di S. Marco e Rialto, Cannaregio e Dorsoduro. Chioggia è fatta da sempre anche di agricoltura, economica, vitale, e ben più per autoconsumo e commercio all’intorno, che per alimentazione di Venezia. Città di terra la è sempre stata e da prima che Sottomarina, sua anima terragna, diventasse complesso contenitore di turismo balneare.
Il mare significa anche pesca, ovviamente. E i chioggiotti sono rimasti marinai di corto raggio, non mercanti come i veneziani, ma proprio pescatori. La loro flotta di pescherecci è ancora la più grande dell’alto Adriatico e il suo mercato del pesce efficiente e ricco. Le imbarcazioni caratteristiche, storicamente riconoscibili grazie alle vele e alle chiglie colorate, sono state sostituite nel corso degli ultimi 50 anni da efficienti pescherecci. Importante non commettere la distrazione di Porto Garibaldi, poco più a sud, che, con l’avvento del turismo balneare, ha perso il controllo dell’economia ittica, lasciando che Goro prendesse il sopravvento sulle “sue” acque.
Da Chioggia, quindi, in primis traiettorie in acque lagunari. E si va verso il bel mare di Cà Roman della dolce Pellestrina, e Malamocco, ove è spettacolare il cicloturismo, e verso il Lido di Venezia, con la sua Mostra del Cinema e la sua classe. Un piccolo salto in vaporetto, e dal Lido si raggiungono, nel corpo della Serenissima, i luoghi delle celeberrime Biennali (sopra tutte Arte e Architettura, ma anche Teatro e Danza) ai Giardini e all’Arsenale e da lì si possono passare giornate deliziose tra le calli di Venezia. Il piacere dell’immaginario, grazie alla clamorosa densità di arte e cultura di musei, palazzi ed eventi, nutre di suggestioni la fantasia, e di bellezza gli occhi: ma solo chi viene dal confine sud-lagunare, pratico e reale, capisce bene quell’esperienza, senza che diventi il classico sogno artefatto proprio dell’onirica vacanza veneziana.
Da Chioggia, poi, vibranti traiettorie d’acque marine. Ecco le escursioni, a vedere com’è davvero la costa e i confini esterni ai murazzi, che si aggiungono alla natura nel delimitare la più famosa laguna del mondo. Oppure al largo, a vedere i delfini e le rotte marittime di mille e più anni di viaggi dei mercanti veneziani, al seguito dei venti che li spostavano velocemente rispetto al Mediterraneo, all’andata verso sud (bora) e al ritorno verso nord (scirocco); perché era lì che avvenivano gli scambi con gli arabi, che attraversavano l’Eurasia in orizzontale e portavano merci preziose dall’Estremo Oriente anche islamico per i mercati europei. Ed è nel Mediterraneo che si consumò la concorrenza con la Repubblica marinara di Genova, che soffrì talmente tanto da tentare una sortita in laguna, proprio aggredendo Chioggia e lasciando lì suoi segni ancora visibili (tanti cognomi Doria a Chioggia – nulla rispetto ai mille Boscolo, Tiozzo e Penzo! - e una frazione chiamata Zena, il nome antico di Genova), ma anche il sangue di chi ci provò, seccato dalla furia dei veneziani aggrediti. Oppure ancora a capire com’è la pesca, la vera pesca, che, per i pescatori chioggiotti, è sempre stata anche affascinante, e a volte pericolosa, pesca d’altura…
Da Chioggia, ancora, si va per acqua dolce, per fiumi e canali, come l’identitario Gorzone. Si possono risalire con imbarcazioni leggere, o ammirare da strade percorribili in bicicletta, fino al delta del Po di parte veneta, passando per le foci del Brenta, in cui confluisce in extremis il padovano Bacchiglione e l’estuario dell’Adige. Lì, la città metropolitana di Venezia lascia il passo alla provincia di Rovigo, la cui natura, prorompente e educata, spiega un altro pezzo di Chioggia: flora antropizzata con l’agricoltura ma oggi anche rispettata puntigliosamente come accade nelle aree naturalistiche della foce del Po, ad esempio con i Boschi della Mesola. E, infine, il riposo nei litorali sabbiosi, al sole e al mare, che parte dalla sorprendente oasi naturale di Cà Roman, a un quarto d’ora di vaporetto dal Ponte Vigo, e procede nella lunga striscia di spiagge attrezzate di Sottomarina, fino alla foce del Brenta, e a quella di Isola Verde, fino all’Adige, per poi andare ancora più a sud sud, passando per la esclusiva Albarella, e porto Viro, verso il delta del Po.
Potrei continuare a lungo, ma questo basta a definire la attrazione eccezionale di “Chioggia Duchessa delle Acque”. Acque di tutti i tipi, che portano benessere, bellezza ed emozioni in grande varietà. Un comprensorio regionale veneto che, dalla laguna di Venezia al delta del Po, configura un’area di destinazione turistica in grado di competere potenzialmente con ogni altra al mondo. Se si realizzasse un colpo di reni per un miglioramento sistemico dalla laguna al delta, sarebbe tutt’altro che illusorio avere un balzo del 30% di PIL locale, con effetti benefici su tutti gli indicatori economici. Malgrado l’assenza di un piano organico per una eccellente infrastrutturazione turistica di medio termine e di idonei investimenti, il cui ritorno sarebbe fulmineo (2/3 anni di valore economico, come nelle migliori aree italiane), il mercato sembra essersi già accorto da solo di alcuni di questi valori: si verificano le prime concentrazioni di servizi ricettivi di qualità (ad esempio “ca.sa. check.s.r.l.s.” che gestisce con qualità eccezionale quasi 80 unità abitative), la ristrutturazione di intere aree (Canal Vena) e l’offerta diversificata di servizi di ristorazione (ad esempio, le attività d un giovane imprenditore titolare di alcuni locali tra cui “Bacaro da Morgan”, oppure il “Do ombre” di Alfredo), che si affiancano a un’offerta classica piuttosto rinomata. Forse anche gli Enti locali iniziano ad avvertire la grande opportunità, che non può venire ben organizzata, cioè, diventare competitiva e gratificante, senza la loro collaborazione e il loro timone. Salvo bussare alle porte di Bezos, Musk, BlackRock o altri giganti immani dell’imprenditoria globale.
Se Maometto non va alla montagna è la montagna allora che va da Maometto, ma a tutti è chiaro quanto ciò sia ben più faticoso, difficile e imperfetto.
Intanto, per avere molto meno, i flussi turistici vanno nel Pacifico o nell’Oceano Indiano…
(testo A.I.free)
Venerdì 23 maggio 2025
© Riproduzione riservata
44 visualizzazioni