Navi a stellestrisce a Panama e a Suez

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marketing trumpiano per un nuovo ruolo degli Usa

Navi a stellestrisce a Panama e a Suez

E così Trump fa sventolare la bandiera a stellestrisce, sottolineando che si tratta del logo di un ottimo brand, mentre i tardo-neanderthaliani, rimasti al Risiko, alla rudimentale geopolitica, all’ideologia, rosicano dall’invidia…

di Sergio Bevilacqua

Nave portacontainer battente bandiera USA
Nave portacontainer battente bandiera USA

Globalizzazione è parola abusata e, come accade a tutte le parole che vengono usate con significati sempre più ampi, si rischia di prendere fischi per fiaschi: allora si confonde il pane col suo profumo; e poi ancora il pane col fornaio.

La globalizzazione è una fase dell'industrializzazione che, come ho scritto non solo io, ma i più importanti studiosi e operatori dell’economia industriale, è basata, dalla nascita, su due principi naturali e ben conosciuti, dall’effetto fondamentale nella manifattura meccanizzata: le economie di scala (1) e la curva di esperienza (2). Entrambe comportano l’allargamento massimo dei mercati di sbocco, al fine di avere economie di costi che si traducono in prezzi potenzialmente più bassi (1) e sempre maggiore esperienza di manifattura per il miglioramento delle caratteristiche del prodotto rispetto alle esigenze della clientela (2). L’economia industriale, la manifattura meccanizzata col supporto di macchine, di tecnologie, è un effetto in extremis del metodo sperimentale (scoperte scientifiche>tecnologie>industria), mentre una certa uniformazione conseguente è un effetto dovuto alla comunanza di bisogni e desideri umani ovunque. Dato che il fenomeno parte e si sviluppa attraverso i conti economici, anche l’impatto sarà ad essi connesso: ci sarà quindi una spinta opportunistica ad allargare il mercato di prodotti standardizzati che potranno sostituire altri caratteristici locali (spinta Glocal, cioè invasione delle particolarità del locale da parte delle produzioni generali del globale); ci sarà poi anche un suo limite tecnico-economico, che consisterà nei costi connessi alla spinta verso uniformazioni radicali, che, al di sopra di una certa soglia, saranno considerati antieconomiche e quindi abbandonate. Sopra ciò, si basa la parte meno antipatica della globalizzazione: l’uso di prodotti globali per rafforzare e valorizzare le residue particolarità locali (“risacca” Lobal).

L'economia industriale, a differenza di quella precedente e anche un poco parallela delle "Arti e mestieri" richiede complessi elementi organizzativi, che costituiscono una professionalità in sé: chi la esprime meglio ha un vero vantaggio competitivo, chi la nega pianga il suo deficit, poiché essa è ricchezza antropologica nuova, novecentesca e mai esistita prima. E noi sociologi di campo, sociatri, sappiamo che c’è una correlazione tra lo sviluppo dell’economia industriale e gli enormi successi ottenuti dall’umanità con la moltiplicazione della specie e l'elevarsi dell'aspettativa di vita.

Chi oggi nega questi fatti nega la vita dei suoi figli. Cioè, proseguendo con la metafora, butta via il bambino con l'acqua sporca che c'è, tutti lo sanno: inquinamento, contributo antropico ai cambiamenti climatici, sfruttamento intenso delle risorse della Terra e di certi territori… Ma soprattutto c'è il bambino.

Ed è un bambino occidentale prima, angloamericano poi e soprattutto USA fino ad ora.

Piacevole o meno, è così e posso garantire da mezzo secolo SUL CAMPO (e non al bar) che questo è vero e dimostrato.

La capacità organizzativa, manageriale, di ciclo industriale con tutte le sue specificità è un'acquisizione antropologica. Impossibile abbandonarla, ignorante e controproducente sottostimarla. Le aziende americane hanno insegnato a fare azienda (che significa in primis “società”) a tutto il mondo, e ne hanno tratto enormi vantaggi, tanto da decollare, appena la vera globalizzazione, economica, è avvenuta, verso le vette delle classifiche settoriali mondiali di tutti i settori industriali. Oggi, queste realtà ormai infrastrutturali della civiltà umana sono nelle condizioni di poter essere ovunque, di scegliere le proprie residenze, che vuol dire dove portare valore sotto forma di tasse, e reddito, sotto forma di lavoro e di indotto su realtà che ancora non possono o non vogliono librarsi libere nell’aere dell’intero pianeta.

E gli Stati? Non sono più i contenitori dell’economia, ma soltanto delle residenze, praticamente discrezionali, di persone fisiche e giuridiche. Dunque, gli Stati devono cambiare strategia, e cioè devono passare da una strategia che considera le aziende, anche se là nate e ora solo residenti, “cose più o meno proprie”, a una strategia che deve dare alle aziende (e alle persone) risorse utili e favorevoli alla vita là e alla residenza. Altrimenti, aziende e persone semplicemente se ne vanno altrove, in altri Stati, con grave danno per le casse degli Stati abbandonati e per i redditi dei loro popoli.

Trump come ormai abbiamo capito sta affrontando l'Amministrazione dello Stato Federale americano con un atteggiamento di tipo imprenditoriale. Attenzione, non è un idiota, per nulla, ed è anche già stato presidente degli USA. Sa benissimo quali sono le resistenze che deve affrontare, ed essere presidente imprenditorialmente non significa fare dello Stato un’azienda economica (improprio, impossibile e ingenuo) ma nemmeno inseguire ideologie o filosofie bacucche, che vanno bene per i politicanti da strapazzo, che non conoscono davvero il mondo e soprattutto l’economia, che è l’ottanta per cento della politica e dell’amministrazione, e la cui competenza non s’improvvisa come invece s’improvvisa un blablabla per convincere elettori distratti, non “del mestiere” e romantici.

E dunque cosa fa, ciuffo d’oro? Ove la forza contrattuale sostanziale è presente, lui preme. La partita è globale, sempre per gli USA, e la strategia economica che sta portando avanti Trump prevede che le risorse di "Paese" (dalla bandiera alle infrastrutture, alla copertura militare del territorio, alla politica fiscale, ai servizi, alla sicurezza in casa propria, alla certezza del diritto ecc.) siano valorizzate per attrarre "buone" persone giuridiche e fisiche, cioè aziende che portano ricchezza e lavoro, e professionalità elevate, attratte dal regime di servizi e garanzie.

Indubbiamente questa strategia economica sembra trascurare i retaggi della cultura, che è il secondo asset dopo l’economia di ogni politica. Ma Trump e il mondo sanno benissimo che il successo secolare degli USA è nella pratica e nelle scienze operative, e non nella storia e nella erudizione. L'accelerazione rispetto all'approccio democratico teorico dimostra la vitalità e la sicurezza su un'interpretazione della umanità di oggi, su un'antropologia che il vecchiume europeo e limitrofi non capisce.

Da sociatri e non da ideologi (una genìa di filosofi che riducono la portata del pensiero a un esercizio condominiale), la domanda è: cosa serve al futuro dell'umanità?

Le favole sono sempre esistite ed è giusto che il "C'era una volta..." continui ad allietare i sonni dei bambini; ma quando si tratta di veglia, occorre guardare avanti, non indietro, in particolare quando si è immersi in un contesto ad alta turbolenza sistemica come quello esarivoluzionario (globalizzazione, antropocene, ginecoforia, ipermediatizzazione, teleutofobia e transumanesimo) odierno.

Oggi, il nostro qui-unde-quo è in forse e in fieri. Figuriamoci quanto un dannato pratico e pragmatico come Trump possa considerare, non da ebete o da ignorante, il “Trattato di Costantinopoli” sul diritto di navigazione internazionale: un trattato firmato nel 1888, in una città che non esiste più, quando le navi erano a vapore e si andava a cavallo, Suez era inglese e la gente moriva di colera, malaria e pellagra.

Se un imprenditore, il cui spirito è fondamentale per rifondare gli Stati oggi, o quanto meno il suo, di fronte allo svincolarsi dell'economia ormai apolide, guardasse solo a ciò che è stato e non soprattutto a ciò che sarà, il naufragio oggi nel bel mezzo della esarivoluzione sarebbe assicurato, nel senso di "certo" in quanto nessun'assicurazione lo proteggerebbe mai.

Trump è antipatico? Sì, lo è e lo sa. Gli interessa? Al momento no. E gli USA son sempre gli USA, con Biden od Obama oppure con Trump: prima bugie buoniste davanti e determinazione dietro, oggi determinazione davanti e accomodamenti dietro. Non c’è sostanziale differenza tra i due approcci: e infatti malgrado crisi acute, la democrazia americana, la logica dell’alternanza non l’ha mai discussa in modo sostanziale (in modo simbolico sì, “Capitol Hill” docet, ma in extremis logico, non era un tentativo di colpo di Stato, bensì una reazione a un preteso colpo di Stato da parte degli altri). Le amministrazioni americane hanno sempre, giustamente, avuto come strategia la massima valorizzazione del patrimonio civile degli Stati Uniti d’America. Chi può dire che è sbagliato?

Canale di Panama
Canale di Panama
Canale di Suez
Canale di Suez

Ai carrarmati e alle minacce nucleari devono sempre essere preferiti i riequilibri economici, anche perché, se mandi l'esercito o, peggio, le bombe atomiche, poi devi ricostruire il Paese, cioè in primis la sua economia, se invece costruisci un diverso Paese, cioè una migliore economia, puoi forse evitare di mandare l'esercito. Ed è chiaro con l’amico Egitto e con le tariffe di Suez, che è poi un ballon-d’essai per Panama soprattutto, come coi dazi, che il contraente USA tira l’acqua al suo mulino anche con bugie o con mezze verità, e spara 100 per ottenere 20. Qual è il senso di “Le navi che battono bandiera americana devono passare gratis”? Il senso è; “Cari operatori economici, navali, vedete quanto vale in soldoni battere questa bandiera? Siate americani! Pagate le tasse allo Zio Sam, e avrete solo guadagni!”. Mica male, mi sembra, come messaggio… E intanto comunque gli USA sono al centro della scacchiera (dove si vince la partita), sempre di più e in modo sempre più evidente.

E così Trump fa sventolare la bandiera a stellestrisce, sottolineando che si tratta del logo di un ottimo brand, mentre i tardo-neanderthaliani, rimasti alle battaglie a soldatini, al Risiko, alla rudimentale geopolitica, all’ideologia, rosicano e si mangiano le dita dall’invidia…

(testo A.I.free)

Martedì 29 aprile 2025

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