di Fulvio Beltrami
Il primo settembre un raid aereo delle forze Americhe lungo la costa della città di Barawe, nel sud della Somalia, ha ucciso Ahmed Abdi Godane, leader della milizia islamica Al-Shabaab ed artefice dell’ascesa al potere di questo gruppo terroristico avvenuta nel 2008. Nell’attentato trovarono la morte altre tre figure di primo piano del comando militare islamico. La prima settimana di ottobre le truppe della missione di pace dell’Unione africana, Amisom, conquistarono la città portuale di Barawe affermando di aver inflitto un colpo mortale alla possibilità di approvvigionamento di armi e munizioni e all’esportazione di carbone, una delle principali fonti di finanziamento di Al-Shabaab.
Decapitata la leadership e privato di un importante centro logistico, il movimento islamico somalo si troverebbe in estrema difficoltà e vicina sarebbe la sua sconfitta definitiva ristabilendo pace e democrazia in un paese sconvolto da 23 anni di caos e guerre civili, ci informano i media americani, ugandesi e kenioti. La realtà sembra essere estremamente diversa e vede Al-Shabaab indebolito ma ancora un terribile nemico capace di riorganizzarsi, resistere ed esportare il conflitto somalo nei paesi vicini grazie ad azioni terroristiche sempre più letali. All’interno dell'Alto Comando militare dell'UPDF (l’esercito ugandese) alcuni ufficiali sembrano essere cauti rispetto ai proclami ufficiali.
Concordando che Al-Shabaab si trova in una posizione difficile, avvertono della capacità di questo gruppo di rigenerarsi a causa di errori e contraddizioni generati da Stati Uniti, Onu e dal contingente militare africano Amisom. La morte del leader Godane non necessariamente può portare Al-Shabaab ad un periodo di turbolenza interna e a lotte intestine che comprometterebbero la sua capacità a resistere alle offensive Amisom supportate dai raid aerei americani come Washington e Kampala affermano.
Cinque giorni dopo aver subìto la perdita del suo leader storico, Al-Shabaab ha nominato un nuovo comandante supremo: l’emiro Ahamd Umar Abu Ubaidah, cugino del defunto Godane. Abu Ubaidah ha immediatamente lanciato un forte segnale ordinando due attacchi terroristici simultanei. Il primo contro il governo somalo a Mogadiscio e il secondo contro un convoglio Amisom presso la città di Algoye. Attacchi che hanno preso di sorpresa la ben preparata intelligence ugandese e demoralizzato le truppe africane, nonostante le recenti vittorie registrate.
Gli autori di questi due successi militari sono gli Amniyat, truppe d'élite di Al-Shabaab create da Godane ed addestrate dall'ISIS (Islamic State of Iraq and Sirya), la micidiale macchina da guerra che sta mettendo in ginocchio l’Iraq e costringendo gli Stati Uniti a ritornare nel teatro bellico iracheno per salvaguardare i propri interessi petroliferi e i suoi alleati curdi. La morte di Godane difficilmente creerà difficoltà ad Al-Shabaab in quanto la strategia di questo gruppo islamico è frutto del cugino Abu Ubaidah ora leader supremo. Una strategia che prevede il mantenimento dei territori controllati (circa il 58% del paese) e una regionalizzazione del conflitto somalo già esportato nel vicino Kenya grazie ad un'ondata di attacchi iniziati nel settembre 2013 che hanno messo in ginocchio l’economia keniota e ridicolizzato esercito e governo.
Abu Ubaidah ha ricucito lo strappo con Al Qaeda avvenuto nel 2012 ed ha creato forti legami con altri gruppi islamici tra i quali Boko Haram (Nigeria) e ISIS. Legami consolidati tramite l’invio di miliziani somali sui fronti nigeriano, yemenita, iracheno e siriano, ricevendo in cambio contingenti di jahaidisti internazionali inviati da ISIS in Somalia. Abu Ubaidah sta creando delle cellule terroristiche ausiliarie operanti nell’Africa Orientale con l’obiettivo di regionalizzare il conflitto e costringere Uganda, Burundi, Kenya ed Etiopia a ritirare le proprie truppe.
La più attiva e preparata di queste cellule terroristiche è quella keniota, denominata Al-Hijra. I tentativi di creare cellule terroristiche in Etiopia e Uganda sembrano al momento falliti grazie alla preparazione dell'intelligence e degli eserciti dei due paesi africani. Nonostante la perdita del porto di Kisimayo avvenuta nel 2012 e quella recente del porto di Barawe, il gruppo terroristico può contare su una serie di porti minori che permettono di ricevere armi ed esportare materiale di contrabbando per il suo finanziamento.
Un intenso network marittimo è attivo tra le coste dello Yemen e quelle somale nonostante che il Golfo Arabico sia costantemente pattugliato dalla forza navale militare internazionale di cui la marina italiana fa parte. Le robuste finanze di Al-Shabaab permettono di assicurarsi la complicità dei generali kenioti nel traffico del carbone (25 milioni di dollari all’anno secondo le stime delle Nazioni Unite). Permettono inoltre di ricevere preziose informazioni sull’esatta posizione delle navi da guerra che permettono ai piccoli navigli pieni di armi di arrivare nei porti somali controllati da Al-Shabaab senza essere intercettati.
Queste informazioni vengono fornite da militari europei corrotti: 10.000 euro ad informazione sicura. L’inchiesta aperta dalla Nato nel 2013 sembra incapace di scoprire le talpe e un prudente silenzio mediatico copre lo scandalo. Le Nazioni Unite, costrette a far fronte ad una terribile crisi finanziaria, hanno recentemente ridotto i finanziamenti destinati al contingente Amisom e si registrano forti ritardi sul pagamento dei soldati africani impegnati sul fronte somalo. L’Uganda, presente in Somalia fin dal 2007, sta perdendo la leadership all’interno dell'Amisom. Una leadership che ha permesso di infliggere colpi mortali ad Al-Shabaab tra il 2010 e il 2012.
Attualmente l’Amisom è corrosa da lotte intestine che spingono Etiopia e Kenya a mettere in dubbio il comando ugandese e, spesso, a contrastarlo. Questa crisi interna, che sta compromettendo seriamente l’efficacia della catena di comando creata dal UPDF, è dovuta da contrapposti piani geostrategici. Addis Abeba e Nairobi sembrano determinati a ridimensionare l’egemonia di Kampala per impedire che la Somalia diventi un protettorato ugandese. Il Kenya, in stretta collaborazione con le compagnie petrolifere Total ed Eni, sta inoltre creando uno Stato satellite nel sud del paese: il Jubaland.
L’obiettivo principale è di rendere sicure le frontiere tra Kenya e Somalia e permettere ad Eni e Total di sfruttare gli immensi giacimenti petroliferi scoperti lunga la costa somala ai confini con il Kenya. Il primo obiettivo è stato vanificato da Al-Shabaab grazie alla creazione del gruppo terrorista keniota Al-Hijra che è capace di operare in autonomia all’interno del Kenya. Il secondo obiettivo sta creando forti dissidi tra Nairobi e Mogadiscio. Le autorità somale hanno fatto ricorso alle Nazioni Unite rivendicando la sovranità dei giacimenti petroliferi offshore e minacciato di arrestare ogni tecnico italiano, francese o keniota che tentasse operazioni di esplorazione petrolifera lungo le sue coste sud-est.
La frizione tra Mogadiscio e Nairobi compromette la necessaria collaborazione tra i due eserciti. In costante aumento sono le false informazioni date dall’esercito somalo a quello keniota con l’obiettivo di far cascare i soldati kenioti in mortali imboscate organizzate da Al-Shabaab. L’Amisom è inoltre indebolita dalla necessità del governo ugandese di spostare le migliori truppe presenti in Somalia per inviarle sul fronte del Sud Sudan e sui futuri fronti nell’est del Congo e nel Burundi.
L’Uganda sta prendendo seriamente in considerazione di attivare guerre preventive nei due paesi africani qualora il gruppo terroristico ruandese FLDR non venga distrutto in Congo e che il piano di regime razziale del presidente burundese Pierre Nkurunziza venga realizzato. Gli esperti veterani ugandesi del fronte somalo vengono sostituiti da reclute spesso terrorizzate dalla capacità bellica di Al-Shabaab costringendo il contingente ugandese ad assumere posizioni difensive in Somalia. L’ultima carta a favore di Al-Shabaab è l’endemica corruzione del governo somalo, non eletto democraticamente e con scarso supporto popolare.
L’esercito somalo vende armi e preziose informazioni ai terroristi islamici offrendogli la capacità di prevenire offensive militari dell’Amisom. La tattica adottata da Al-Shabaab è di evitare scontri campali lasciando anche le città controllate per poi creare una guerra di logorìo attraverso azioni di guerriglia e terroristiche che mettono a dura prova le forze africane e costringono ad aumentare lo sforzo finanziario bellico. È doveroso ricordare che Al-Shabaab, come del resto il ISIS, è frutto degli errori strategici di Washington. Al-Shabaab nasce dalle ceneri dell’Unione delle Corti Islamiche che dal 2000 al 2006 riuscì a stabilizzare la maggior parte della Somalia, all’epoca in mano di una miriade di signori della guerra.
L’Unione delle Corti Islamiche, seppur dichiarando l’intenzione di voler creare la Repubblica Islamica della Somalia, promuoveva una versione moderata dell'Islam ed era completamente avversa alle tendenze estremistiche e ad Al-Qaeda. Questa politica moderata non fu sufficiente a convincere la Casa Bianca che la Somalia non si stesse trasformando in uno stato terroristico e santuario di Al-Qaeda. L'amministrazione George W. Bush incoraggiò e finanziò l'inazione etiope nel 2007 con l’obiettivo di porre fine al governo della Corte Islamica ben voluto dalla popolazione. Come reazione nacque e prese il sopravvento uno tra i più feroci, estremisti e sanguinari gruppi islamici africani.
Sabato 11 ottobre 2014
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