di Sergio Bevilacqua, Maria Antonietta Centoducati
La Prima del 2024 al Comunale Nouveau di Bologna è per Manon Lescaut di Puccini. Una scelta ponderata, sia per ciò che riguarda l’anniversario pucciniano (cento anni dalla morte del lucchese) sia per il grande spazio d’interpretazione che l’opera del 1893 ha ancora, a differenza delle altre grandi pucciniane Bohème, Turandot, Butterfly, Tosca.
Il teatro brilla di mise serie e ricercate, le autorità civili e delle forze dell'ordine si stringono intorno allo spettacolo che vede un cast di qualità e la regia di Leo Muscato, in Emilia molto considerato, anche giustamente.
La storia romantica della ragazza che si perde nel massacro della subordinazione della donna in quanto risorsa (civile, quasi economica) è davvero toccante e il regista decide di dare ad essa un tocco espressionista: raffigura sentimenti interpretati dalle masse umane colorate sul palcoscenico e da una predominante scelta di tinte accese, ove prevale il rosso. All’inizio il progetto è confuso, anche perché Manon non è Tosca, Butterfly o Turandot, personaggi forse più delineati ma anche sorretti da una celebrità estrema: invece, in Manon di Muscato, occorre arrivare al quarto atto per capire il senso metaforico della parte visiva dell’allestimento. Più che occasione di narrazione, i 4 atti sono occasione di suggestione, ed è al quarto che l serie ottiene il suo coronamento, in una sorta di delirio di morte sottolineato dal parossismo della scenografia. In questa chiave, appunto, il quarto atto scioglie i dubbi del percorso precedente, che risulta molto poco documentale e tendente all’astratto, mentre i fatti della storia della giovane Manon presentano obiettività narrative, anche rilevanti in se stesse. Chi conosce la storia inizia domandandosi, chi non la conosce si lascia facilmente prendere da questa sinestesia volutamente impressionante e straniante.
Spesso in Muscato il cubo del palcoscenico soffre di poca passione per la profondità, e l’uso aggressivo frontale di base e altezza tende ad annunciare i fatti in modo strillante. Anche qui (come nella sua Bohème) è così, ma tutto è bene ciò che finisce bene e il quarto atto è veramente un’apoteosi del progetto espressivo del regista, che riconcilia con il vissuto un poco interrogativo dei tre atti precedenti.
Se il lavoro della regia tende a comprimere gli equilibri propri di ciascun atto per ottenere un effetto generale finale, musica e voci (all’altezza!) agiscono come garanzia parallela autonoma passo passo. Certo, garanzia anche ansiosa, perché un doppio binario video-audio non è proprio il massimo nel live. Ma, ma…, c’è una grande forza che si scatena nello spettacolo: è la voglia di magistralità orientativa musicale di Oksana Lyniv, alla sua prima Manon e al suo sesto Puccini. Ho apprezzato molto sinceramente la direzione d’orchestra della ucraina e così pare anche la gran parte dei suoi musicisti. La sensazione che Lyniv a distanza volesse sommergere “da sinistra” “il direttore” Beatrice Venezi, oggetto di recenti pesanti critiche dai suoi stessi orchestrali nella sua ultima performance direttoriale ha però aleggiato nella mia mente non poco.
Oksana ha danzato con la bacchetta e ha esibito uno stile personale molto spettacolare e maturo, pieno d’ispirazione per i componenti dell’orchestra, proprio a rispondere a chi aveva accusato la Venezi, altrove, di inutilità drammaturgico-ispirativa. Lo stesso sindaco di Bologna Lepore è stato il primo ad alzarsi in piedi al momento dell’applauso alla direttrice musicale del Comunale, e qualcosa politicamente significa anche questo, anche se l’interpretazione musicale di Oksana Lyniv è stata travolgente davvero. Con la perla di aver creato un raccordo diretto con l’empireo nel brano sinfonico di apertura del quarto atto, dove, grazie alla magia musicale, tutto sembrava staccarsi da terra e volare verso le profondità dell’animo umano al seguito delle volute corporee della grande (e minuta) ucraina. Qualcuno potrà criticare una presenza così tersicorea alla direzione d’orchestra... E se ci fosse stato qualcosa di evidentemente erroneo sarebbe stato gravissimo in un’occasione del genere: invece quella danza della bacchetta e del corpo che la muoveva era bellezza pura e scoperta di un linguaggio direttoriale vicino al pubblico ma soprattutto alla musica, per il tramite della sua orchestra. Spettacolo nello spettacolo per la prima dell’importante stagione operistica bolognese, uno dei 15 più importanti appuntamenti dell’Italia 2024.
Così, questa Manon è stata una lezione del contenuto alla forma (Lyniv/Venezi), dell’emozione al tempo (la regia di Muscato), della luce e dei colori alla trama.
Una sofisticata e bella esperienza meta-operistica, densa di suggestioni altre, dunque palcoscenico per molta varia catarsi, con forse un poco di sofferenza per la storia vera e propria di Manon: sacrificio però necessario per fare decollare, in questo esordio di nuova produzione il 26 gennaio 2024, Manon come archetipo identitario femminile fine ottocentesco: Manon donna per il convento, Manon che s’innamora veloce, Manon che ama la vita facile, Manon che ama l’amore, Manon che ama le ricchezze, Manon che “la paga”, Manon che soffre forse innamorata ma con lui ben più di lei, Manon che muore nel deserto del nulla… Una donna fragile e volitiva, il cui cervello pare non riuscire a governare pulsioni di base, per ciascuna delle quali c’è un uomo pronto per lei. Non è allora storia umana quella della Manon Lescaut di Bologna, anche se il personaggio storico forse ancora meriterebbe, ma ampia e pregevole ellissi simbolica, nelle forme di un’altra geniale icona del grande viaggio nel femminile di Giacomo Puccini. Quest’altra grande sua intuizione ha mostrato, nelle mani sensibili del sovrintendente Macciardi, della direttrice musicale Lyniv, della regia di Muscato, dei cantanti (Grimaldi in Manon e Ganci in Des Grieux) e dell’orchestra, le caratteristiche filosofico-antropologiche di un’altra figura femminile, piena questa volta di misteri, pulsioni profonde, capricci e irrazionalità. E con intorno sempre uomini a salvarla, comprarla, proteggerla, morire con lei.
Magia dell’eterno femminino.
Lunedì 29 gennaio 2024
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