di Sergio Bevilacqua
Sentire e vedere la ottima interpretazione attoriale e canora di Riccardo Zanellato il 17 novembre al Teatro Valli di Reggio Emilia nei panni di Mosè mi ha portato con la memoria a quell’agosto 2011 in cui lo stesso basso, più giovane, interpretava il medesimo personaggio nel Mosè in Egitto al Rossini Opera Festival, diretto musicalmente da Roberto Abbado per la regia del grande, mai abbastanza compianto, Graham Vick. Io ero a Pesaro al ROF, dove sono tutti gli anni, e ricordo come fosse ieri quello spettacolo, che segnò la dichiarazione aperta di una strategia lucidissimamente intesa dal sovrintendente Gianfranco Mariotti, padre di Michele, ormai grande direttore d’orchestra e di Giacomo, uno dei migliori manager di comunicazione teatrale italiani, ma vero padre del Rossini Opera Festival: la strategia di allargare le maglie dell’interpretazione delle opere liriche, appoggiandola sulla parte visiva, che segnò anche un grande fattore innovativo generale nel geniale recupero del musicista pesarese con la eccellente “Rossini Renaissance”. Dopo Vick, il vedere ha ripreso il suo posto nel “recitar cantando”, dopo oltre un secolo di messinscene filologiche e decadute sul piano del coinvolgimento del pubblico.
I tempi sono davvero cambiati. Allora la discussione sull’originalità di certe regie era agli albori, così come la rivoluzione scenografica che ha toccato l’opera, prima con le decontestualizzazioni e poi con l’uso sempre più massiccio e professionale delle videoproiezioni.
Tra il Mosè 2011 e il Mosè 2024 sono passati 13 anni, ma ben di più è scorso sui palcoscenici. Mentre la padronanza del basso rodigino è apparsa enormemente cresciuta (oggi Riccardo è più Mosè di Mosè), Pier Francesco Maestrini ha capito alla perfezione quale doveva essere l’equilibrio tra suoni e segni visivi, tra audio e video. E ha utilizzato con grande padronanza gli strumenti delle videoproiezioni, che finalmente s’inseriscono nelle composizioni semiologiche delle scenografie senza soluzione di continuità rispetto alle classiche strutture fisiche. L’intesa di Maestrini con il maestro Giovanni Di Stefano è stata eccellente, come la fu a suo tempo quella tra Vick e Abbado. Maestrini nel suo breve scritto di note di regia cita come una pietra miliare la messinscena vickiana di Pesaro 2011 e sostiene con grande sensibilità di aver evitato volutamente aspetti politici del giorno d’oggi. Il risultato è stato di spostare la vicenda verso versanti soprannaturali quasi come in un thriller, sfumando molto il piano politico in un più neutro piano magico-fantasy-religious che però apre versanti d’ispirazione molto vivaci e ben operati. L’interpretazione non-quaresimale (quest’opera nasce storicamente, al contrario delle opere buffe rossiniane destinate ai cartelloni di carnevale, per i cartelloni successivi, quelli penitenziali della quaresima) apre a un respiro artistico potente e libero, e moderno. Ecco allora le presenze belcantistiche, ineludibili, limitarsi al minimo, non essere cifra ma virtuosismo, atte, in questa forma smorzata, ad avvicinare come attrazioni l’intero pubblico, senza offendere troppo i melomani puristi. Trucco e parrucco eccellenti, per tutti i personaggi e in particolare per Amaltea (Miriam Battistelli) e Amenofi (Angela Schisano), si fanno notare e così i costumi. Un bravo ancora ai movimenti di scena e al coro che ha ottenuto, con Zanellato, la soddisfazione del bis nella “Preghiera di Mosè”, brano di suprema grandezza lirica.
Il Mosè del Valli intrattiene molto piacevolmente, la trama è benissimo sostenuta dal palcoscenico tutto e si nota bene quanto la lirica rossiniana nascesse vicina al teatro, con trame che per prime dovevano colpire l’attenzione del pubblico, al cui sostegno poi interveniva il resto del Parnaso, anche se la danza interverrà più avanti con il Grand’Opera. Modena, Piacenza e Reggio in coproduzione hanno fatto proprio una bella cosa.
Domenica 17 novembre 2024
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