di Sergio Bevilacqua
La kermesse dell’arte umana nota come “Festival Verdi” del Teatro Regio di Parma, oggi, 2023 alla XXIII edizione, nei due appuntamenti principali, I Lombardi alla Prima crociata e Il trovatore, nuove produzioni per le regie di Pier Luigi Pizzi e Davide Livermore, presenta l’esercizio emblematico dei nuovi strumenti scenografici consentiti dalla tecnologia digitale di oggi.
È dunque d’obbligo una riflessione, scientifica nei limiti di ciò che può la Nuova Sociologia dell’Arte: è questo caso o necessità storica? Sta cambiando qualcosa di profondo?
L’uso della proiezione e della tecnologia digitale, con le esperienze di videomapping che piegano la realtà alle condizioni dell’occhio, come avvenne in modo primitivo nei decori degli interni fino a tutto l’Ottocento (papier peint, trompe l’oeil, anamorfosi…) diviene oggi un clamoroso asset per ogni scenografia.
Ed è teatro, quanto mai! Delicata connessione tra occhio e cervello nella finzione del palcoscenico, con presenze umane che esercitano la loro sistemica complessità attraverso bit e non joule. Il movimento sulla scena non è più solo fisico, e il suo effetto digitale è identico o addirittura superiore. Enorme beneficio per la catarsi, grande opportunità di significazione per eventi immaginari come quelli che sempre hanno mosso le scene dei teatri, a cavallo della tragedia e della commedia. Fine dei limiti. I limiti restano solo relativamente geometrici, ampiezza e profondità del palcoscenico, come già Wagner ci ha insegnato, ma all’interno dei quali c’è tutto lo spazio antropologico necessario per la proiezione dell’Umano. Ed è il più grande spettacolo che esista, quello dell’uomo in scena: il teatro con la sua abbondante cornice di palcoscenico. Il LIVE. Rivoluzionario, a pescare nel profondo dell’uomo, lì in 500, 1000, 3000, 10000 (come all’Arena di Verona) a misurarsi con il proprio sé profondo, con l’emozione, con il coinvolgimento mentale e la sua intima e riservatissima esperienza.
Sarà allora un caso che il più grande dei registi teatrali italiani e oltre, Pier Luigi Pizzi, dall’alto della sua ben più che senatoriale magistralità abbia affidato al digitale e alle proiezioni l’animazione del suo bel “Lombardi”? E un caso altrettanto che lo scatenato Livermore, bell’esempio di ricchezza creativa e bagaglio semiologico, abbia lavorato nel suo “Trovatore” sugli orizzonti più recenti dell’Arte Digitale per fare avvenire sensazioni ed emozioni?
Caso, dunque, o necessità?
Cari amici, maneggiare l’opera è sempre mettere le mani nel Parnaso: tutte le Muse ti guardano e, per l’accesso principale, tutte sono intente a scoprire che cosa verrà loro richiesto. Apollo, deus ex machina parnassiano, presenta loro Pizzi e Livermore, ed ecco il Parnaso proiettarsi a Manchester, dove l’Università ha creato il centro più importante al mondo di arte digitale: molte decine d’insegnamenti prendono per mano da Mnemosine a Tersicore per vestirle di segni digitali che compongono e scompongono loro stesse, non solo il senso del Grand-opéra. Punto di non ritorno. E Apollo lo sa.
Infatti, il festival Verdi 2023 ha accerchiato il Parnaso, attaccando la messinscena sinestetica con le armi digitali, da ben due parti: quella figurativa e coltissima (il simbolico di Pizzi) e quella post-figurativa, astratta finanche espressionista, di Livermore. Apollo ha capito, e ha calato subito i ponti levatoi. Si è visto più bello o, meglio, ha visto di più del Bello-Oggi: altroché narcisismi, Apollo è Apollo, mica Narciso, mica figlio di ninfe entreneuse e di volgari divinità fluviali, lui è figlio di Zeus e ben sa cosa è giusto fare. Come danteschi pellegrini, Pizzi e Livermore accolgono l’avveduto assist olimpico, e si buttano in un esercizio straordinario: due regie che, così abbinate, rappresentano un vero colpo da maestro del nuovo sovrintendente Messi, un colpo da “pallone d’oro” (come il suo omonimo calciatore argentino) della direzione artistica teatrale. Difficile venire dopo gli scoppiettanti cartelloni di Anna Maria Meo che, per il bene del teatro, attendiamo a importanti incarichi futuri. La doppietta scenografica proposta dal primo Festival Verdi del nuovo sovrintendente e del suo direttore artistico Vlad, ci dice quale sarà l’orientamento del Regio nei prossimi anni: innovazione creativa, scandaglio di profondità drammaturgiche, italianità e qualità del prodotto teatrale. Dopo le stagioni della grande apertura mondiale dalla precedente gestione, si ritorna a lavorare nelle profondità del prodotto, con erudizione. Così il programma 2024, che prosegue un fine percorso di studio dell’opera verdiana: dalla monumentalità guerriera e giovanile di Attila (1846) allo slancio esplicitamente risorgimentale della Battaglia di Legnano (1849), per arrivare al Verdi sofisticato e internazionale di Un ballo in maschera (1859) e Macbeth (1847, rev. 1865), quest’ultimo eseguito in francese, come avvenne alla Prima della revisione parigina.
Martedì 3 ottobre 2023
© Riproduzione riservata
643 visualizzazioni