di Sergio Bevilacqua
Piccina mogliettina, olezzo di verbena…”
Credo che questo verso tra tutti rappresenti benissimo la grande e intima produzione operistica della Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Siamo nel primo decennio del XX secolo, la collaborazione del maestro lucchese con Giulio Ricordi è ai massimi: è lui ad aver creato un pezzo della grandezza di Puccini, fondendolo con Illica (e fondendo Illica scapigliato con l’ordinato Giacosa). Dopo Verdi grande anchor-man e grande eccitatore di folle, i meccanismi del successo operistico erano ormai chiari, anche se lo spettacolo rimaneva esattamente com’era nato: un’esperienza domenicale, che si svolgeva il pomeriggio quasi distrattamente. Infatti, a parte i pezzi sinfonici, in particolare l’ouverture, e le popolari romanze, nella loro attesa era legittimo distrarsi, fare un salto fuori o anche solo nel foyer a fumare un sigaro o la pipa con gli amici: gli aromi tostati del fumo erano una caratteristica dell’aria in tutti i locali pubblici. E dei bei teatri…
II 1904, la Prima alla Scala di Milano della Butterfly segnò un altro grande successo per Puccini. Esso fu il risultato di una lucida visione, dove si fondono almeno 3 fattori dirompenti per l’epoca e che anche oggi affascinano:
All’interno di 1-3 si gioca il grande fascino di quest’opera, palestra di visioni dell’Umano che ha impegnato molti grandi registi teatrali. Tra questi sono state mie esperienze recenti le regie di Butterfly, nel panorama italiano degli ultimi 20-30 anni:
È vero che in questa fase storica del teatro musicale di pregio e di tradizione prevalgano le Regie sugli altri fattori d’arte operistica. Perché nell’Opera si sta facendo un grande e spontaneo lavoro di un nuovo concetto di Arte-in-fieri, che ovviamente risulta più evidente quando essa ha forme organiche, di messinscena e non soltanto di una fruizione (apparentemente…) statica, come nella pittura e nella scultura. Il senso è che l’arte può essere incoraggiata nel suo percorso di aggiornamento catartico. Per capirci meglio, faccio un esempio all’estremo opposto: fino alla fotografia, la considerazione sulla qualità dell’Arte gravava soprattutto sulle capacità e magistralità di riproduzione (disegno e uso del colore) di soggetti (ritratto, paesaggio e natura morta) che avevano a che fare con la documentazione della memoria. Quando la fotografia ha scippato alla pittura tale funzione, la magistralità di disegno e uso del colore è passata in secondo piano rispetto alla scelta oggettuale. Dunque, come intesero già i preraffaeliti, ma poi gli impressionisti e i nostri macchiaioli, la funzione strategica del disegno e della stesura del colore nella rappresentazione crolla verticalmente. Ora nel teatro musicale siamo in questa fase: il più grande spettacolo artistico della storia umana, l’opera lirica, soprattutto nel formato pan-parnassiano del Grand-opéra, in questa fase viene valutato non soltanto per le magistralità canore e musicali di sempre, ma anche ormai prevalentemente per gli aspetti audiovisivi, sempre di secondo piano fino all’ultimo dopoguerra, e soprattutto per le interpretazioni drammaturgiche date dalle regie.
Dunque, un anno speciale il 2023 per Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Due riedizioni potremmo dire ormai storiche entrambe (Zeffirelli all’Arena di Verona e Michieletto al Regio di Torino) e una messinscena magistrale di nuova produzione per il 69° Festival Puccini a firma Pier Luigi Pizzi.
“Piccina mogliettina, olezzo di verbena…”: così il corsaro dell’amore Pinkerton seduce Cio-cio-san, e lei ricorda queste parole che aprono il varco dell’amore/morte nel cuore a lei, quindicenne di Nagasaki. Un’atomica preannunciata, questa frase di seduzione: e non va dimenticato che il personaggio di Butterfly è quanto di più centrale si possa concepire in un lavoro teatrale. Ella è regina della scena dall’inizio alla fine, prima in preparazione drammaturgica del suo profilo, molto intelligentemente concepito da Illica e perfezionato da Giacosa, poi nello sviluppo della sua storia e quindi del suo sentimento e fiducia familiare da sposa, poi ancora del suo aderire alla società del marito, poi la sua delusione incolmabile e alla fine, sottratto anche l’estremo frutto dell’amore (il figlio) da parte della “vera” sposa americana, con la morte.
Una quindicenne dunque, una giapponese, ragazza di buona famiglia decaduta, con una notevole voglia di ingenua revanche, in conflitto con l’ambiente familiare, già geisha che non significa prostituta ma donna d’intrattenimento (nemmeno entraineuse…) artistico. Il profilo della geisha degenera solo dopo la sconfitta giapponese con la seconda atomica su Nagasaki, anche se certo anche ai primi del Novecento non era un mestiere da ragazze di buona famiglia, pur senza essere ignobile come la prostituzione. La critica estetica del capolavoro pucciniano trova necessariamente il tema principe nel personaggio di Cio-cio-san. La drammaturgia guida e così la grande impronta musicale, ma la interpretazione attoriale e canora sono centrali. Prima delle differenze di regia e di visone dell’opera viene il concentrarsi su questa tessera autonoma del mosaico.
Ed ecco dunque 3 interpreti differenti: al Regio di Torino per Michieletto, il 20 giugno il soprano armeno Lianna Haroutounian, all’Arena di Verona per Zeffirelli, all’esordio veronese, clamoroso, il soprano Asmik Grigorian, al Teatro Puccini di Torre del Lago per Pizzi, il 5 agosto il soprano Carolina Lopez Moreno. Tre regie molto diverse e tre contesti molto differenti. Ma Butterfly dovrebbe essere sempre la stessa. In effetti forse così non è, in particolare per la revisione attuata da Michieletto: ci sono infatti molti snaturamenti. L’oriente che lui raffigura non è il Giappone, la cui civiltà si distacca in modo profondo e particolare. Quartieri del sesso come quello che fa da scenario non sono propri delle metropoli del Sol Levante, bensì più dell’Indocina o proprio della Tailandia. In una specie di Pattaya, Cio-cio-san è una baby prostituta, quasi priva di retaggi culturali: la vicenda è fortemente condizionata da elementi sociologici come il bullismo sul figlio, il commercio tra i commerci, che vorticosamente avvolgono tutto grazie alle scenografie. Le profondità psicologiche e delicatamente amorose si disperdono nelle molteplicità semiologiche del consumo di beni e di umanità, ma il soprano Lianna Haroutounian, con un’ottima prestazione personale, attenua le distanze e appare più Butterfly di quanto il contesto suggerirebbe. La stessa impressione ebbi a Bologna quando, nel 2016, vidi quella stessa opera, già da alcuni anni in giro per i teatri: è probabile che Michieletto sapendo di questa tenacia intrinseca del personaggio abbia deciso di aggiungere straniante per sorprendere e distinguersi, con peraltro un piacevole risultato.
In Butterfly, il soprano Asmik Grigorian duplice figlia d’arte (padre celebre tenore in URSS e madre celebre soprano in Lituania) ha travolto il pubblico dell’Arena, per la qualità potente della voce, capace inoltre di vibrazioni nel sussurrato udibilissime ovunque nell’ovale areniano. Una voce areniana indiscutibile, tanto quanto la sempre bella scenografia zeffirelliana, che riesce a spostare sul kolossal l’intimismo pucciniano di Butterfly senza risultare grossier. Come sempre con Zeffirelli all’Arena, successo assicurato: è grande teatro, si può discutere quanto profondo, ma la domanda è se tutto questo mostrare non nasconda un semplice istinto calligrafico. Allora, credo di poter dire di no: gli effetti speciali Zeffirelli li produce perché all’Arena ci vogliono, ma ho avuto modo di vedere una sua regia minimalista di Aida nel piccolo teatro Verdi di Busseto, ed è stata una delle più belle Aida che ricordi.
Però, di fronte a tanta dovizia di bellezza moderna e tradizionale, il giusto mezzo, non senza i suoi rischi drammaturgici da vero cavaliere della regia, lo dobbiamo attribuire a Pier Luigi Pizzi. Tutta perfetta la sua regia al 69° Festival Puccini, con il soprano Carolina Lopez Moreno a strappar lacrime e applausi. E un finale a sorpresa: a metter fine al sofferente harakiri di Cio-cio-san, pensa Suzuki, con un plateale colpo di coltello alla gola. Una licenza poetica riuscitissima nel quadro filologico costruito dal maestro milanese e veneziano, futuro Direttore artistico del festival Puccini del centenario. La Butterfly di Pizzi occupa uno spazio equilibrato tra filologia sempre opportuna e spirito moderno. Il collegamento vertiginoso tra il rilievo intimo della storia e i temi globali riesce qui a rendere una proiezione in tempi e modi dell’epoca e della testa di Giacomo Puccini chiaroveggente, a dimostrazione delle doti di visione tipiche del grande maestro. Uno spettacolo da non perdere, che certamente tornerà in cartellone al Puccini Opera Festival. Pizzi è erede di Zeffirelli sul piano estetico (e anche in longevità brillante), ma a differenza del fiorentino, porta uno stile minimalista: infatti, facile dire che Pizzi non sia un regista "areniano", ma io spero e confido di vedere presto una sua regia nel clamoroso contenitore veronese. Per l'opera d'arte in sé, per la Madama Butterfly, quello di Pizzi è un vero massaggio ristoratore: tutto risalta purissimamente, la vicenda è perfettamente narrata senza eccessive sovrapposizioni e l’apertura ai personaggi comprimari come Suzuki, Sharpless, Goro e Kate Pinkerton crea un coefficiente drammaturgico molto teatrale che aumenta il tasso catartico più che altrove. Finalmente, Cio-cio-san è molto bambina e le sfumature semantiche indotte dalle scelte registiche, a mio avviso vincenti, ci mostrano un confronto di civiltà che Puccini e il suo tempo intendevano più alla maniera di Pizzi che non a quella di Zeffirelli o anche di Rigola nella sua, peraltro, bellissima Butterfly simbolico-astratta della Fenice di Venezia alcuni anni fa.
Nella Butterfly di Michieletto, il gioco della ricontestualizzazione incontra molte incoerenze con il libretto, che tendono a demotivare un certo pubblico e, dall’altra parte, a sollevare consensi da chi invece apprezza il gioco della decodifica e ricodifica. Non credo che si possa parlare di uno dei migliori lavori del veneziano: egli è uno di quei registi considerati portatori della innovazione anche radicale, come anche il povero Graham Vick e Bob Wilson oppure Stefano Poda. All’estero, le istituzioni teatrali, al fine di non perdere il pubblico tradizionalista, che è ancora la maggioranza, hanno creato la figura interna del “drammaturgo”, cioè di colui che, alle dipendenze della direzione artistica del teatro, funge da interfaccia con il regista per evitare fughe in avanti ed eccessive compromissioni della drammaturgia originale. In Italia tale figura è assente, benché in alcuni casi essa sia surrogata dal direttore artistico, com’è accaduto sicuramente al Maggio di Firenze fino alla gestione Pereira e, ancor’oggi, al Rossini Opera Festival di Pesaro con ottime evidenze di risultato, grazie a Juan Diego Florez.
Ma concludiamo con una vera chicca, il volo di una quarta farfalla, quella del grande scultore Mario Ceroli che mi ha ricordato questa sua performance con addosso le sue ali di farfalla: ali che hanno volato sull’Hudson a New York e che hanno trovato la lora romantica ambientazione anche sul lago di Massaciuccoli, sul pontile di fronte al teatro Puccini.
Giovedì 7 settembre 2023
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