di Sergio Bevilacqua
1. FINANZIARE LE GUERRE: IL PERICOLO DELLE ECONOMIE PRIMARIE
Qualcuno si domanderà perché io insista nei miei articoli sulla decadenza dei Criteri Geopolitici di analisi strategica e macroeconomica. Prendiamo il principio base della strategia basata sulla geopolitica: l’occupazione territoriale, cioè l’invasione. Essa dipende dalla geografia e dai mezzi a disposizione: entrare con la forza in un Paese straniero, utilizzando mezzi blindati e truppe di terra, al fine di sostituire l’umano che dirige lo Stato e l’Economia con altro umano proveniente d’altrove per ottenere una resa oppure tramite l’occupazione violenta, richiede la disponibilità di risorse finanziarie per acquisire mezzi, sostenere la logistica e attuare la pressione militare diretta. l'economia è ormai da decenni sganciata dalle istituzioni pubbliche, indebolendole, e anche il potere militare si presenta come una grande falla nell’autonomia degli Stati, dovuta al proliferare degli eserciti privati (professionistici, mercenari fin dal Conte di Carmagnola di manzoniana memoria), come ad esempio la storica Popsky britannica e la celeberrima Wagner del deceduto Evgenij Prigožin.
Insomma, per fare la guerra servono soldi, che sia per eserciti internalizzati nello Stato o esternalizzati tramite mercenari organizzati. E gli Stati democratici i soldi non li producono più da soli da diversi decenni. Infatti, uno dei fattori macroeconomici più importanti della storia umana è stata proprio l’estrazione dell’attività economica diretta (o quasi) dalle strutture pubbliche, che però continuano ad avvalersi di entrate fiscali, tasse e tariffe, dipendenti in sostanza dall’economia, e di fattori coercitivi endemici, sia organizzativi che giuridici, per spostare risorse dai residenti privati all’organizzazione pubblica, per poi eventualmente investirle nel militare.
Tale situazione economico-istituzionale è molto diffusa, soprattutto nelle democrazie, ma ci sono ancora Stati che invece detengono di fatto ingenti risorse economiche: sono gli Stati totalitari e le pericolosissime oligarchie. In quei Paesi, la ricchezza (prodotto dell’economia) non avviene tramite attività industriali di trasformazione (ormai globalizzate e divenute esterne al potere dei singoli Stati), ma da risorse del territorio, come le miniere, il gas metano e il petrolio, per le quali è evidente la coincidenza con i poteri statali, anch’essi territoriali. Infatti, queste pericolose tipologie di Paesi non-democratici sono prevalentemente caratterizzati da economia primaria, oltretutto insensibile a logiche di concorrenza in quanto strutturata in “cartelli”, per essere più forti verso i loro clienti (non verso i loro concorrenti!), che sono le evolutissime aziende del secondario industriale (e terziarie indotte). È ovvio che questo meccanismo di produzione del valore comporti alcuni fenomeni principali: per essere più forti, il raporto con lo Stato non può esistere senza una responsabilità anche verso la Nazione e il Popolo. Non esistendo col primario la fitta rete di aziende tipico del secondario, e risolvendosi il processo di produzione del valore con organizzazioni elementari, gli enormi patrimoni degli oligarchi vanno a sostenere lo Stato, che così sviluppa una dipendenza verso di essi; parallelamente, il Popolo sarà oggetto di una politica assistenziale che riguarda i consumi e avverranno interventi nei settori ove la sfiducia internazionale verso i totalitarismi e le sub-democrazie comporta embarghi, cioè gli armamenti e determinati campi di innovazione sensibili al piano bellico. Tutti i settori correnti dell’economia civile sono ormai globalizzati e, come dimostra, quasi ante -litteram ma tassativamente il caso del crollo dell’Unione Sovietica, la concorrenza è globale e basata su risorse ormai definite e non più acquisibili sic stantibus rebus nel mondo, con aziende leader globali che operano senza confini in tutto il mondo.
2. IL POTERE ECONOMICO EQUILIBRANTE DEI GRANDI GRUPPI ECONOMICI GLOBALI
Infatti, le aziende globali sono divenute necessariamente apolidi per i motivi tecnico-economici caratteristici della manifattura, che basa da sempre il proprio sviluppo sull’allargamento dell’esperienza di prodotto-mercato e dunque sui principi basilari di: 1. “Economie di scala”, che inducono miglioramenti nella redditività e nei prezzi; 2. della cosiddetta “Curva di esperienza”, per la quale la reiterazione riflettuta delle connessioni di prodotto/mercato induce innovazione. Ecco quindi la pervasività globale dell’economia industriale e la cosiddetta globalizzazione economica: un fatto quasi naturale, che ha portato all’abbattimento delle barriere, doganali e altre, poste dagli Stati, ponendo fine al loro ruolo anche di produttori e alle loro interessenze finanziarie.
Invece, l’economia primaria (minerario, estrattivo, agricoltura e anche allevamento) tende a produrre concentrazioni economico-patrimoniali, anche in forma aziendale, resistenti e non evolutive, soprattutto quando non si integrano fluidamente con le trasformazioni. Ed è questo il caso di Paesi come Russia, Lega Araba, Iran, alcuni Paesi africani, a differenza ad esempio del Canada, grande Paese primario ma ben integrato nel ciclo successivo della trasformazione, sia in modo diretto che tramite la connessione continentale con gli USA a sud.
Ove, dunque, non si verifichi l’integrazione con il secondario industriale, la tendenza naturale delle oligarchie economiche primarie è a occupare i poteri statali. E non è un caso che siano proprio quelli gli Stati che oggi fanno le guerre (ai Paesi trasformatori e dunque industriali secondari e terziari avanzati) o usino il terrorismo, cioè violenza bellica e distruttiva come modo d’imporsi. Così, si estraggono dalla logica commerciale cliente/fornitore che caratterizza la civiltà economico-industriale di oggi e che determina, attraverso meccanismi abbastanza sani (ma l’economia non è proprio una semplice macchina…), il valore patrimoniale ed economico. Rispetto alle logiche dell’economia commerciale, basate in fondo sulla domanda/offerta e sulla concorrenza evolutiva e migliorativa, il mettere sul tavolo carrarmati e minaccia atomica oppure il terrorismo non è atto di analoga civiltà: i primari disintegrati sono il freno dell’evoluzione e del cambiamento migliorativo umano, mentre l’economia di trasformazione è come la frizione, che consente il cambio di marcia antropologico.
3. OLIGARCHIE ECONOMICHE, TOTALITARISMO E RISCHI BELLICI
Negli Stati oligarchici e primari, la disponibilità diretta di risorse economico-finanziarie proprie dell’economia civile porta, come nel feudalesimo (ma anche nel comunismo cosiddetto reale il meccanismo base era il medesimo), a un corto circuito tra potere economico e potere pubblico (nel comunismo c’era addirittura identità). Quest'ultimo, tramite anche le risorse endemiche agli Stati, come la possibilità di attuare la coscrizione obbligatoria con mezzi coercitivi, è in grado concretamente non solo di volgere l’economia in breve a convertirsi in economia di guerra, ma anche di spostare l’intero asse della cosa pubblica (valoriale, comunicazionale, giuridico, burocratico, coercitivo) verso un’organizzazione di difesa o di attacco bellico.
L’oligarchia (ad esempio quella russa oppure quella petroliera dei paesi arabi), cioè il potere di pochi, avviene dunque attraverso l’occupazione delle istituzioni statali da parte di persone appartenenti alle aziende economiche primarie del territorio o loro prestanome effettivi. Tali aziende (la Gazprom russa ad esempio) fanno il Prodotto interno lordo di uno Stato primario, la ricchezza di una nazione di risorse minerarie o estrattiva, di coltivazioni agricole o animali.
Tutta differente la ricchezza dell’economia di trasformazione che è basata sul più completo allargamento dei mercati e non può avere un unico Stato o confederazione cui appoggiarsi. Ovviamente, le aziende secondarie parteggiano per le democrazie, le quali non sono né produttrici di valore economico-finanziario industriale né gestite attraverso meccanismi ideologici o di semplice parte, per il principio base del rispetto delle minoranze e per quello dell’alternanza.
Come conseguenza, essendo l’Economia la gran parte della Politica, in tutto il mondo civile e in particolare nelle democrazie, è divenuto ben visibile l’accorciamento delle distanze di programma politico tra destre e sinistre, spesso con scavalcamenti su temi che furono identitari nel passato per una parte e per l’altra. Così, la gestione dello Stato, di cui si occupa la Politica, sia in termini organizzativi che strategici, è maturata ed è diventata, col passare dei lustri, sempre più tecnica, e gli orientamenti sul che fare sempre più condizionati da fattori vieppiù generali, dal continentale, al globale, all’olistico.
I gruppi economici apolidi con le loro prassi commerciali e industriali dall’alto, incidono non poco sul livello dei consumi e dei redditi e si organizzano come meglio è per il loro prodotto/mercato nel mondo. Essi sono secondari o addirittura terziari, e vivono d’innovazione di prodotto e di processo produttivo: dunque potremmo dire in primis di conoscenze o di valore scientifico. Ciò è, in fondo, ben più nobile rispetto ai soggetti economici primari che vivono di proprietà materiali dovute alla natura (e non all’applicazione dell’intelligenza umana come le trasformazioni), sono territoriali e, per questo, si possono appoggiare a determinati poteri politici statali e locali.
Un’ingenua obiezione romantica riguarda il ruolo guerrafondaio che avrebbe l’industria delle armi. Va notato che è secondaria anch’essa e, come tutta l’industria, vive di valore scientifico, ma dipende comunque da molti altri settori: i mezzi bellici, come le automobili civili o gli aeroplani di trasporto passeggeri e merci, sono crocevia di tutti i principali settori manifatturieri, dalla metallurgia, alle plastiche e gomme, alla carpenteria, fino all’evolutissima elettronica e meccatronica. Se l’industria bellica è conglomerata in grandi gruppi diversificati non fa molta paura di per sé, perché la strategia del settore farà i conti con quella delle altre manifatture del conglomerate, pur avendo come opportunità caratteristica di prodotto-mercato proprio le guerre e le loro preparazioni.
4. GLOBALIZZAZIONE ED ECONOMIA OLISTICA
Occorre soprattutto poi notare un fatto epocale originale, come diversi altri in questo Terzo millennio appena avviatosi: a differenza di sempre, i gruppi economico-finanziari globali oggi non vogliono assolutamente la “Guerra grossa”. Raggiunto un certo grado di globalizzazione, l’opportunità di un business della ricostruzione decade, è in proporzionalità inversa e diviene meno allettante in valore assoluto e più rischioso in termini competitivi. C'è invece moltissimo valore economico dietro la cessazione dei conflitti tra blocchi, anche per il fatto che la pace aumenta la propensione ai consumi e le aspettative imprenditoriali. In particolare, oggi, le tensioni belliche indotte dalla Russia oligarchica e primaria stanno distraendo da uno degli obiettivi di crescita economica più gigantesca per l’umanità del futuro: il grandissimo tema, antropologico in molti sensi, dello sviluppo economico dell'Eurasia, del bacino economico eurasiatico.
Nel mondo dell’economia secondaria globalizzata e in vista dell’olistico, le élite politiche non ricercano il valore economico: i grandi gruppi, che sanno benissimo procurarsi da soli tale risultato, chiedono semmai libertà di commerci e volani di reddito grazie all’integrazione economica e allo sviluppo del secondario locale. La politica degli Stati keynesiani, comunisti ecc. ha fatto il suo tempo: la nuova linea degli Stati è il fisco sull'economia, che significa qualità di servizi e infrastrutture, offerta formata da competenze umane, reti di risorse, efficienza e gradevolezza dell’ambiente sistemico: così si verificano vere sinergie sostanziali, non localistiche, anacronisticamente ideologiche o semplicemente culturali, tra Stati ed economia.
Invece, nelle oligarchie, l’arretratezza della cultura politica fa pendant con la scarsa professionalità dell’informazione giornalistica, condizionata in modo triste e pericoloso dai poteri politici superati degli Stati neo-feudali. Ciò fa sì che nelle analisi correnti vengano trascurati fattori fondamentali, che fanno credere a popoli elettori (o pseudo-elettori soprattutto nelle oligarchie, ma anche in certe democrazie primitive) alla forza degli Stati, che invece nel mondo non sono più così importanti. Caso emblematico di un’eccezione che conferma la regola, la sostanza economica territorial-primaria dell’economia russa e il deficit democratico creato da Putin con la riforma dello Stato federale effettuata circa dieci anni fa, che ha limitato la regola democratica aurea dell’alternanza e favorito decisamente la coincidenza tra potere politico ed economico, con la maggiore partecipazione allo Stato delle oligarchie primarie. L’apparenza inganna, ma l’idea di un equilibrio locale possibile in autonomia è anche proprio del trumpismo. Il concetto di locale oggi è ogni cosa che non è globale od olistica: è locale una strategia per gli USA, per l’Unione Europea, per il mondo islamico, per la sola Cina, ecc. Questa politica locale negli USA è in realtà, però, strategicamente funzionale alla glob-olistica, perché abbandona la vecchia strategia politica planetaria geopolitica e vede lo Stato come garante di un popolo, quasi uno Stato-sindacato, un "tribuno della plebe" dialettico con le superpotenze economico finanziarie globali e sempre più appunto glob-olistiche.
5. LA GUERRA COME INFRAZIONE ALLA POLITICA INTERNA E LA NON-OPPORTUNITÀ ECONOMICA ATTUALE DELLA RICOSTRUZIONE
Effettuata questa veloce ma pregnante disamina economica, vediamo ora alcuni fattori intrinseci alla politica della guerra. La crudezza di una politica interna verso minoranze sempre presenti nei consorzi umani e le eventuali provocazioni, sono una cosa, e le “mani addosso” sono un’altra. Se uno Stato ne attacca un altro con violenza sanguinaria oggettiva effettua un'azione di Guerra (missione militare speciale, così fu appellata da Putin la guerra scatenata contro l’Ucraina, per nascondere il fatto sostanziale): tale azione è di grado non commensurabile agli eventi pur crudi di ordine pubblico interni a uno Stato sovrano e alle supposte provocazioni. La Guerra non rispetta le autodeterminazioni degli Stati e, se qualcuno la fa, il salto porta la meccanica interattiva su ben altro piano pratico. Questo ha fatto Putin, questo ha fatto Hamas, questo fanno gli Houti. Non c'è allora scusante logica, né commisurazione rispetto ad altri tipi di antagonismo ostile (economico, politico interno, verbale, di limitazione delle interazioni e degli interscambi, ecc.): toccare le armi e produrre direttamente sangue alieno è diversissimo dal non toccarle o, magari, anche produrre del sangue in propri ambiti definiti di giurisdizione.
Dunque, spostata la questione sul piano dell’aggressione, la sola cosa intelligente per chi attacca con le armi sapendo di essere inferiore (Hamas), è poi quella di fare la vittima: ma ciò funziona nel mondo della comunicazione solo per gli sprovveduti o gli interessati a mestare nel torbido... Chi invece attacca sapendo di essere superiore (Putin rispetto all'Ucraina) sta esercitando una sorta di prepotenza, nel caso specifico sotto forma di forza militare e minaccia atomica, che non appartiene nemmeno al mondo animale, dove mai vediamo attacchi tra comunità della stessa specie: la forza che prevale sulle determinazioni giuridiche e sulle convenzioni culturali e istituzionali civili rappresenta una manifestazione retrograda e incivile.
Pena l'imbarbarimento, tali manifestazioni primitive devono essere trattate nostro malgrado tutto con egual moneta: a-la-guerre-comme-a-la-guerre.
Gli atti correnti di violenza bellica son stati tecnicamente scatenati (e sappiamo anche perché...) da Putin, Hamas e Houti. Sono loro che hanno fatto la guerra, e non gli altri. Ucraina, Israele, NATO, USA-UK non possono che mettercela tutta con giudizio sullo stesso piano. Sperando (spes ultima dea...) che non scatti il delirio, che però solo l'ebetismo dei Parlamenti può produrre: come detto sopra, oggi (e domani) le forze dell'economia secondaria e finanziaria sono contro la guerra. La guerra avverrebbe contro il buon senso, la vita e anche l'economia globale che ne sarebbe tragicamente danneggiata e così il vero benessere dell'umanità e dell'ambiente, nonché, per la prima volta gli interessi privati dei grandi gruppi apolidi. Infatti, anche i grandi gruppi apolidi, che fanno quasi il 50% del PIL mondiale, sanno che la ricostruzione dopo una guerra mondiale sarebbe (a differenza di ciò che è stato con la Prima e la Seconda Guerra Mondiale) un pessimo affare rispetto all'oggi e alle sue prospettive specifiche di miglioramento, e dunque i loro interessi sarebbero irrimediabilmente danneggiati. E le aziende dell’economia e finanza sono realtà profondamente razionali, regolate attentamente al loro interno in termini di assoluta eccellenza professionale e collegiale. Mica sono come le bande parlamentari di partitastri italiani!
6. LA STRATEGIA DEL TERRORE ATOMICO E IL BLUFF DI PUTIN
Se Trump è forse una caricatura poco rassicurante, la sua linea non è né assurda né inopportuna. America First significa un rapporto meno succube per l'Europa, la possibilità di gestire una politica eurasiatica in modo più tecnico-economico e meno strategico. Qui sta il rischio/opportunità: riportare Putin a 15 anni fa, quando cercava l'appartenenza al mondo europeo e occidentale, che all’epoca gli si è, forse giustamente, negata.
Oggi sono cambiate molte cose e la geopolitica può lasciare il campo all'anti-geopolitica, che è l'economia glob-olistica. È possibile che la questione russa possa risolversi con un riequilibrio dei sistemi del valore del secondario a favore dei raw material (migliore remunerazione delle materie prime, probabilmente possibile). E con lo sviluppo estremamente fruttuoso di una logistica di terra eurasiatica. O, meglio, ci sono forse elementi per pensare a un piano di pace e sviluppo, se gli USA dovessero allentare il controllo strategico sul Vecchio Continente, attuato tramite la comune alleanza nella NATO.
Le illusioni anacronistiche e infantili filo-putiniane parlano d’impero russo, di dominio feudale, di riprendersi da parte della Federazione Russa, ormai solo con le cattive, tutto quello che è stato perso dopo il crollo dell'URSS. E poi, sempre gli infantilismi: se gli USA si ritirano dall'Europa e dalla NATO l'Unione Europea dovrà farsi carico della propria difesa, con necessari enormi investimenti in campo militare e così gli europei dovranno cambiare il nostro modo di pensare. I grandi gruppi economico finanziari apolidi e glob-olistici non lascerebbero mai la sostanza del potere a coloro che considerano mezze scimmie ovvero beceri politicanti: e i politici veri lo sanno, infatti hanno sempre concertato con l’economia le vere mosse per la gestione degli Stati e dei Popoli. Così anche Putin, che finge attacchi atomici, con un bluff tanto clamoroso da essere quasi assurdo in quanto bluff. Ma anche Putin sa benissimo che il suo risultato di pseudo-zar è comunque da politico, cioè nel benessere del suo popolo, e che tale benessere viene dall’economia, non solo da Gogol, Dostoevskij e Tolstoj e Shostakovich e dalla battage pubblicitario di grandeur (detta alla Napoleone…). E nel bluff ci cade l’opinione pubblica sprovveduta (lui lo sa bene!) che a volte per opportunismo si fa il pesce in barile. Così Crosetto ministro della Difesa: «Oggi Putin ha detto chiaramente che lui la pace non la vuole, non vuole smettere di bombardare in Ucraina. Così almeno anche a livello italiano quelli che pensano sia facile dialogare con Putin si renderanno conto che non è facile». E aggiunge: «Difesa e sicurezza in tempi difficili possono avere un prezzo alto. Viviamo in un mondo di ombre che da due anni a questa parte ci ha imposto un cambio velocissimo di paradigma, che ci ha costretto a una presa di coscienza della debolezza dell'organizzazione della difesa così come l'avevamo strutturata: non parlavamo più di morti in Europa da decenni, oggi sono centinaia di migliaia». Bluff nel bluff o limite della politica? Direi che quasi non è rilevante che sia l’uno o l’altro.
7. L’OPPORTUNITÀ DEL FUTURO: LA CREAZIONE DELL’UNICO BACINO ECONOMICO EURASIATICO
Nella narrazione attuale, promossa dagli organi d’informazione, l'emozione del bombardamento atomico e della guerra convenzionale estesa nasconde comunque altro. Ci sono sovraordinate strategie economiche che cambiamo l'analisi, e la spostano da anticamente geopolitica a modernamente glob-olistica. Qui operano i grandi poteri economico-finanziari apolidi che sono secondari e terziari indotti: apolidi, cioè sopra Stati e loro organismi, essi avvertono come profondamente fastidiosi e contrari i capricci dei minerari russi e le loro minacce di distruzioni. Certo il piccolo popolo russo (10 milioni in più del piccolo Giappone) guidato dal pokerista Putin, oggi capo plebiscitario, appare molto pericoloso, ma solo se si sta "al suo" gioco, al suo bluff. Il punto che ha Putin in mano non è un poker d'assi, è molto meno. Se accettasse di essere pagato per un tris (cosa che credo in un certo contesto non acuto) la crisi rientrerà. Ci sono infatti due elementi strategici per lo sviluppo economico e olistico che la Russia detiene: materie estrattive (materie prime e carbonfossili) e logistica eurasiatica. Entrambe sono interessanti sia per Europa-Occidente che per la Cina.
In aggiunta, la Russia ha "Il Terrore", cioè il grande arsenale nucleare, senza il quale la sua aggressività sarebbe finita da tempo, non avendo dimensioni demografiche ed economico-finanziarie sufficienti a difendere le sue miniere in modo convenzionale. Putin lo sa e bleffa. Finge moderazione nell'attacco, in realtà senza il nucleare non può fare oggi molto più di così, e un Paese non poi così inferiore al suo come l'Ucraina, se sostenuto militarmente, rimarrebbe eterno campo di battaglia, perché le forze armate convenzionali russe non riuscirebbero a risolvere la questione, che oggi, in realtà, non intendono affrontare.
Per creare un unico sistema economico eurasiatico, un enorme ed efficiente bacino economico, un volano mai visto per il progresso dell'Umanità che creerebbe enorme sviluppo in tutto il pianeta, occorre o una Russia d'accordo e impegnata in infrastrutture o... nessuna Russia. E questo è interessante per tutte le forze vere e sane dell'economia mondiale. Gli Stati tutti temono per il loro potere, ma mentre le Democrazie si adeguano (vedi gli USA, Stato più sensibile in assoluto all’andamento economico sostanziale), i totalitarismi invece resistono, ma non i cinesi, che sono secondari, manifatturieri, e hanno capito come girano le cose: chi resiste è la Russia.
Putin bleffa, ma non è escluso (se no non ci sarebbe bluff!) che preferisca morire anziché cambiare gioco e passare dal Poker al... Bridge (ponte). E allora morirà, insieme a non si sa quanti occidentali, ma una Russia “imperiale” da quella di Pietro il Grande, a quella sovietica, alla sua, scomparirebbe dalle carte geopolitiche, per diventare un'area economica dialettica con il resto dell'economia mondiale, un pò come è il Canada per gli USA.
8. RUSSIA DI OGGI E DI DOMANI
La Russia vista nella sua obiettiva consistenza è un Paese con una popolazione come il Giappone con un'entità economica di meno di un terzo, inferiore all'Italia, quasi solo primaria, un'economia dei consumi assistita dallo Stato oggi semi-feudale in mano ad oligarchi primari che li sostengono. È plausibile che, in un quadro mutato, pure Putin cambierebbe, razionalmente. Se non lo facesse, sarebbe quasi certamente spazzato via o da un'auspicabile ennesima Rivoluzione russa o da una guerra distruttiva che perderebbe, ma non senza... il Terrore!
Calcoliamo pure che il potenziale demografico russo sia di più di duecento milioni, considerando i suoi satelliti/sudditi tipo Bielorussia. Poi consideriamo anche il maggior numero di carri armati e di testate nucleari del mondo...
Ed è quanto basta per un altro elemento della schermaglia: la strategia del "Terrore". Ma è un bluff che il mondo dell'economia glob-olistica non accetta. E quindi: riguardo alle armi tattiche, l'Europa non sarebbe da meno. E l'invasione si calcola sulle truppe di terra, che sono in proporzione demografica, e sarebbe un porta a porta svantaggioso perché tale proporzione vede la Russia meno della metà dell'Europa.
Se poi si facesse un calcolo sulle testate nucleari, allora un pò di più o di meno rispetto alla NATO, non cambierebbe granché, purtroppo... Ma è proprio l'uso dell'atomica la parte più colorita del bluff: se avvenisse l’apocalisse, di certo la Russia finirebbe la sua storia imperiale e il suo gigantismo. A costi ovviamente apocalittici per tutti, ma finirebbe.
Putin è molto intelligente e astuto, sa che i poteri economico-finanziari glob-olistici non vogliono la guerra grossa. E non accetterebbero la ricostruzione russa dell'Europa o la ricostruzione del mondo per tornare ad essere al massimo quello che sono già oggi. Questa è la differenza storica rispetto ad altri conflitti già visti, dove esisteva un interesse alla ricostruzione per via di un volano di crescita. Il volano di crescita oggi mancherebbe e i potentati economici privati apolidi (nati in Occidente, Cina e anche India) hanno già stabilito che la ricostruzione sarebbe un grave danno, non un'opportunità come nel 1939-40.
La vera opportunità per tutti, Russia e USA inclusi, non è il gioco del Poker che sta facendo opportunisticamente Putin col bluff atomico, ma il gioco del Bridge (ponte, congiunzione), la costruzione dell'Eurasia Economica.
Nulla è certo, ma questo è più probabile: il temporeggiare tenendo il mondo in scacco col Terrore è una strategia per vedere se si aprono finestre (Trump?) per grandi vantaggi economici con un nuovo fenomeno economico eurasiatico dove la Russia faccia per Cindia ed Europa più di ciò che fa il Canada per gli USA, con enormi benefici globali per tutti, USA compresi.
E con l'accordo in questo caso dei grandi potentati economico-finanziari apolidi.
Giovedì 21 marzo 2024
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