di Sergio Bevilacqua
Interessante e curioso articolo di questo giornalista, Antonio Gurrado, su “Il Foglio” dal titolo “Toti, Wittgenstein e Nietzsche” (https://www.ilfoglio.it/bandiera-bianca/2024/07/19/news/toti-wittgenstein-e-nietzsche-6768302/).
Il testo punta l'indice su principi della storia della filosofia, come ispirazione della interpretazione e prassi giudiziaria. E dice: “Il governatore della Liguria si è visto contestare come finanziamento illecito ai partiti un atto che in precedenza era già stato contestato come corruzione: il fatto è rimasto lo stesso ma, nel frattempo, è cambiata l’interpretazione che ne ha dato la procura”. E continua, di seguito: “Non dico il test psicoattitudinale, ma ai magistrati bisognerebbe porre una domanda secca: meglio Wittgenstein o Nietzsche?”.
Un’affermazione gravissima (test psicoattitudinale…) buttata lì sui rappresentanti del potere giudiziario, che ne critica la capacità d’intendere e volere, facendoli risaltare come burattini di trame intellettualoidi, con l’esito di una riduzione della dignità dell’autonomo potere giudiziario che rappresentano, come in un grand-guignol da Teatro di figura, Arlecchini e Balanzoni.
Per fortuna non è così.
L'articolo prende in giro in modo subdolo una doverosa attività della magistratura, l'interpretazione, spesso anamnestica (cioè, dovuta agli interrogatori) e non solo fattuale (cioè, collegata alle evidenze fenomenologiche, le “prove fisiche”), nella definizione della fattispecie concreta (reato) per la sua correlazione con la fattispecie tecnico-giuridica (legge). Tale attività è doverosa e segno non di squilibrio mentale come evoca il testo citato, bensì di alta professionalità.
È indubbio che tale componente del processo è intrinsecamente organica e che soltanto l'opportunismo processuale dei legulei (e la subdola letteratura giornalistica) può gravarlo d'inconsistenza in quella sede.
Il principio, cioè, che un giudizio non può essere rifatto per lo stesso reato (anche riqualificato da postumo) non può essere applicato all'iter processuale, che serve anche per qualificarlo, il reato… Buttarla in filosofia è uno squallido escamotage di basso giornalismo e di manipolazione dell'opinione pubblica. Pare espressione in questo caso o d’incompetenza dell’estensore del testo o di un patologico principio di soggezione dell'operato giudiziario al potere politico tramite il quarto potere, quello dell'informazione.
È infatti proprio sul delicato rapporto tra poteri separati (base fondamentale della democrazia amministrativa, senza la quale la Democrazia tout-court diviene una finzione ed è invece già Totalitarismo, diremmo di tipo light) che s'inserisce il quarto potere: certi articoli dovrebbero essere censurati o i giornalisti sanzionati dall'Ordine dei Giornalisti direttamente o tramite le Direzioni di redazione, perché ridicolmente poco professionali. Ciò dovrebbe avvenire, anche previa formazione adeguata sui temi specifici a cura dell’Ordine, in modo diretto o indiretto; tale formazione dovrebbe sensibilizzare gli operatori dell'informazione sui trattamenti della stessa relativamente ai casi di ipotesi di reato in amministratori e dirigenti pubblici, al fine di migliorare la funzione della Pubblica Amministrazione e non indurre cause di blocco, facendone decadere ancor di più l'immagine e il servizio.
Come fare poi, al di là del ruolo della “Stampa”, a garantire meglio la legittimità e l’attuazione dei servizi pubblici, regolati da fonti del Diritto?
Vediamo alcuni casi principali:
Per la natura della nostra società ipermediatizzata, tutto ciò dovrebbe avvenire sempre con una Stampa coordinata. E non mi si sollevi il tema della censura e della libertà di Stampa, che mi sono ben presenti e che considero requisiti fondamentali delle libertà su cui si fonda anche la democrazia. Qui si parla di politica dell'informazione riferito al servizio spesso vitale dato alla società dall'ente pubblico. Gli enti pubblici sono organismi complessi non giudicabili dalla opinione pubblica, e gli “errori” tecnici (quasi certamente voluti) nel dare l'informazione, sono spesso usati per spostare l'opinione pubblica ingenua verso un obiettivo politico da uno giudiziario, alterando l'equilibrio organico-naturale dei poteri. E ciò è contrario alla deontologia degli organi d’informazione e dei loro interpreti professionali, e dovrebbe essere oggetto di serio controllo da parte dell’Ordine.
Se le leggi e le sentenze sono fatte di parole, queste non devono essere manipolate con altrettante parole di giornalisti astuti e superficiali. Ed è l’Ordine che deve garantire questa funzione, in modo che non vengano effettuati spostamenti dell’opinione pubblica con astuzie intellettuali, ma che essa venga alimentata di informazioni il più possibile vere, intelligibili ed equilibrate.
Ne va della libertà e della sua forma istituzionale più evoluta e rassicurante, la Democrazia, in questo caso soprattutto del primo dei due tronchi collegati, quello Elettorale, ma anche di quella Amministrativa insieme: ed è un attimo, l’abbiamo visto, lo scivolare nelle forme del Totalitarismo.
Passando magari per la baraonda, anche travestita da elevata filosofia.
Domenica 21 luglio 2024
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