di Francesca Camponero
La Fiom ha reagito al nuovo decreto sull'emergenza coronavirus con una dura nota che spazia dal bisogno di proteggere il lavoro degli operai a quello di tutelare la loro salute e chiede di "mobilitarsi da subito per iniziative tese a verificare che ai lavoratori siano garantite dalle imprese le condizioni di salute e sicurezza anche attraverso fermate per una riduzione programmata delle produzioni".
Nessuno può contestare che si chieda la salvaguardia della salute dei lavoratori. Cosa più che giusta e giustificata, ma ci siamo chiesti cosa significherebbe dare uno stop generale a tutte le attività lavorative legate all'industria?
Vorrebbe dire che, a breve, sui tavoli degli italiani non ci sarà più da mangiare. All'industria alimentare infatti è legata tutta la filiera che fa sì che il cibo arrivi ai supermercati e poi alle nostre case. Stiamo parlando di chi produce cartoni da imballi, contenitori in plastica, vetro, alluminio ecc. Ci avete mai pensato?
La decisione del Governo di chiudere negozi ed esercizi commerciali, ma lasciare aperte le fabbriche e le attività produttive di prima necessità sta generando forti ripercussioni negli stabilimenti italiani. Ed è comprensibile perchè il Governo ha fatto il grosso errore di dividere le attività di prima necessità da quelle che, secondo lui, non lo sono, non tenendo presente che chi lavora nelle prime non è un lavoratore con diversi diritti di quello che opera nelle seconde. Ed ecco la rivolta, che sta preparando scioperi in tutte le parti d'Italia con in testa i sindacati in allarme perché vengano garantiti i livelli di sicurezza sanitaria."I lavoratori sono giustamente spaventati", dicono Fim, Fiom e Uilm, avvertendo che si è "pronti allo sciopero se necessario".
Ma forse i sindacati non tengono presente che chiudere il sistema industriale vuol dire, nel breve termine, non poter più garantire gli approvvigionamenti necessari per le famiglie italiane anche a seguito delle difficoltà nei trasporti con l'estero. E qui apriamo il dolente capitolo della chiusura delle frontiere a scapito della circolazione delle merci. Autotreni e camion che fanno viaggiare beni di consumo e che per questo hanno anche bisogno di materiali di ricambio, freni, ruote, insomma manutenzione che è garantita solo dal funzionamento delle varie industrie di settore.
Confindustria fa bene dunque a non arrendersi e continua la sua campagna al motto “la produzione industriale deve essere garantita”.
Non dimentichiamo che l’industria metalmeccanica che costituisce il cuore pulsante del sistema industriale italiano, è trasversale nella struttura produttiva nazionale e realizza macchinari e beni strumentali che sono necessari all’attività di numerose imprese in svariati settori. L’attivo del suo interscambio (60 miliardi di euro) contribuisce al totale riequilibrio della bilancia commerciale italiana, strutturalmente deficitaria nei settori energetico ed agro-alimentare.
Il suo blocco genererebbe effetti diretti e indiretti molto gravi nel sistema produttivo, certamente più ampi di quelli prodotti dall’interruzione dell’attività nel solo settore metalmeccanico poiché inciderebbe sulla continuità della catena di approvvigionamento per svariate aziende. Uno stop di soli 10 giorni sarebbe in grado di creare una disruption lungo le filiere di fornitura determinando un ritardo nella consegna degli ordini già ricevuti. Una catastrofe in questo momento già tragico.
Lunedì 23 marzo 2020
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