di Giampiero Cardillo
Il prossimo anno sarà passato un secolo dalla fondazione del Partito Popolare Italiano, voluta da don Luigi Sturzo, nato nel 1871, morto nel 1959.
In questi nostri anni viviamo consapevoli o inconsapevoli molte guerre mondiali “a pezzi”, come le ha definite il Papa.
Una di queste guerre è una guerra delle parole, apparentemente non cruenta, più silenziosa di un grappolo di bombe, ma più insidiosa, giacché le parole diventano voti, ma anche bandiere, trascinate lacere e insanguinate su campi di battaglia dove si muore davvero, dove muoiono tutte le altre parole-bandiera ostili, assieme agli uomini che le seguono. Non importa se si muore per bastonate, coltellate, proiettili, bombe, veleni, fame o disperazione.
Una battaglia decisiva della guerra delle parole dei nostri anni si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Populismo contro individualismo. Sovranismo contro mondialismo. Patriottismo contro nazionalismo.
Chi vince porta a casa il potere, il futuro nostro e dei nostri figli, la ricchezza o la povertà di una nazione, la vita o la morte di molti uomini e donne. Vale la pena partecipare, capire, schierarsi, combattere, impiegando un po^ del nostro tempo e forza d’animo, sottraendone ad altri più facili, effimeri, meno utili interessi e passioni.
Un pugno di giorni fa, presso la Fondazione Adenauer, la Cancelliera tedesca Merkel, che forse vedremo fra un po^ di tempo a capo della Commissione Europea, ha detto che “gli stati nazionali devono rinunciare alla propria sovranità”.
Prima della sua elezione il Presidente della Francia Macron sosteneva che “il patriottismo è il contrario del nazionalismo”. Significa che essere patrioti è essere mondialisti.
I nazionalisti sono, dunque, contro il mondialismo, con tutte le conseguenze che ne derivano: esistono i popoli nazionali o esistono solo individui praticamente senza patria, figli del mondo?
La risposta a questa domanda è decisiva, per niente astratta.
Ha inciso e inciderà nelle nostre carni, deciderà del nostro stato, della nostra condizione economica e sociale più di quanto si possa supporre.
Un esempio? L’oro dell’Italia di chi è? La quarta riserva mondiale d’oro sovrano (?) è del popolo italiano, della BCE o della Germania, che vanta un credito verso di noi di 400 miliardi di euro?
Conseguenze di questo dubbio già si rilevano in ambienti importanti dell’economia EU.
I sovranisti tedeschi, all’opposizione in Germania, alter ego dei nostri, che invece sono oggi al governo dell’Italia, pretenderebbero che tutti i nostri acquisti futuri di beni importati dalla Germania fossero garantiti in oro.
Non basterebbero, secondo loro, le banconote, prese a debito dalle casse della BCE, per pagare una Mercedes.
Occorrerebbe magari dell’oro in garanzia del debito, se si accende un prestito o si paga in banconote.
Le “nostre” banconote sarebbero per loro solo carte di debito, non soldi.
Oppure si dovrebbe pagare direttamente in oro.
Anche la nostra Banca d’Italia, per bocca del suo Direttore Generale, ha espresso dubbi sulla proprietà dell’oro sovrano italiano in generale: “Decida la BCE” di chi è la proprietà, ha sostenuto pubblicamente.
Dietro le parole sopravvengono azioni concrete.
Se siamo un popolo abbiamo il diritto di difendere ciò che riteniamo nostro, accumulato nel tempo con sudore e difeso col sangue nelle guerre vinte o perdute.
Se siamo individui questo diritto si liquefa in un brodo mondiale senza memorie da difendere, in un diritto riscritto per accordi e trattati incrementali sovranazionali. Un diritto che scaturisce dalle necessità del commercio e della finanza mondiale, in forza del quale tutti gli individui, non come popolo, hanno le stesse possibilità di partecipazione attiva o passiva e di essere, da quel diritto, indistinto e sempre in fieri, difesi o colpiti.
Ma se si accetta di essere popolo, si deve accettare che anche altri lo siano e che difendano ciò che ritengono appartenere al proprio popolo.
Un’astrazione che si fa concretezza estrema.
Una astrazione che si fa “guerra”, a volte.
Orbene, un maestro delle riflessioni senza tempo, quale è certamente Luigi Sturzo, cosa direbbe oggi in proposito?
Scrisse un libro proprio sull’argomento: ”La società: sua natura e leggi”, che definisce “una vera antropologia sociale”.
Antropologia, perché non si prescinde dall’individuo per studiare una società.
Sociale, perché non si può indagare l’uomo astrattamente, al di fuori del contesto in cui vive.
Antropologia e sociologia in Sturzo si fondono.
La società nel pensiero sturziano non è per niente una astrazione filosofica o etica, ma vive in uno spazio e consuma un tempo.
La sociologia sturziana introduce Dio, il fine dell’uomo, nella sua riflessione teorica-pratica.
Perciò recupera l’individuo nella quadrilogia Dio-individuo-storia-società, che si sintetizza in Antropologia sociale. “La società non è una entità o un organismo fuori o sopra l’individuo, né l’individuo è una realtà fuori della società. L’uomo è insieme individuale e sociale…Egli è talmente individuale da non partecipare nessuna altra vita che la sua, sí da essere personalità incomunicabile; ed è talmente sociale che non potrebbe esistere né svolgere qualsiasi facoltà né la sua stessa vita al di fuori delle forme associative”.
Sturzo aggiunge: “La società è in fondo comunione: il suo termine più esatto è comunità, coscienza dei singoli di essere in comunione fra loro.”
Noto che comunità è il termine che userà Adriano Olivetti per il suo progetto politico.
Ciò premesso passiamo a definire sturzianamente il popolo, la nazione, l’internazionalismo.
Il testo di riferimento è Nazionalismo e internazionalismo.
Lì il popolo è definito “potenzialmente come la forza sociale di controllo”, una “forza di limitazione dello Stato o meglio degli organi statali che si presuppone eseguano la sua volontà”. Una limitazione di tipo organico, morale, e politico.
Il popolo è uno dei cinque limiti organici del potere, assieme al capo dello Stato, il parlamento, la magistratura e il governo.
A che serve il potere popolare di controllo? A non legare il potere alla ricchezza, a limitare il potere dei governanti, a dare contenuto etico alla politica.
Una garanzia del limite, in buona sostanza.
Il popolo per Sturzo è una forza di resistenza etica, ma solo se si organizza in attività politiche e sociali, diventando forza civilizzante, coscienza collettiva. Ma non fonte assoluta di sovranità come principio giuridico.
Anche il dissenso minoritario ha una dignità storica, legittima o rivoluzionaria: “Nessuna ragione assoluta risiede nel popolo”, afferma Sturzo. Non è persona-collettiva, ma forza sociale, valore morale, coscienza collettiva, personalità che si storicizza e si unifica verso un principio immanente-trascendente (cfr. Massimo Cappellano nel Lessico sturziano - ed. Rubbettino).
L’unico soggetto storico, perciò, è per Sturzo, l’individuo, non un popolo che domina su tutti gli altri; “l’elemento di unificazione è sempre la coscienza, non un valore di civiltà ispirato a fattori naturali.
Alla base dell’entità sociale è la coscienza individuale, la quale, riflessa fra i membri del gruppo come pensiero e azione, forma la coscienza collettiva e per essa la personalità sociale. La storia così può essere riguardata come proiezione processuale di tale coscienza-personalità”.
Il popolo è il limite politico del potere: ”il popolo vive di storia…è la continuità della stirpe, è la forza della razza, è la ragione morale della vita, è la tendenza dell’anima immortale che abbraccia nel presente, anche doloroso, le memorie del passato e le congiunge con le speranze dell’avvenire”…”Popolo significa democrazia, ma la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza democrazia diventerebbe libertà solo per alcune classi privilegiate, mai per l’intero popolo”.
Ma il popolo non è mai la giustificazione di un potere, come invece sosteneva Maritain.
“Il popolo preso come espressione di tutta la collettività civica, non può essere riguardato allo stesso tempo e per lo stesso oggetto come sovrano e come soggetto, ma lo può essere funzionalmente, in quanto diviene, attraverso l’elettorato, uno degli organi dello Stato a funzione particolare e precisa; o in quanto opinione pubblica può influire sugli altri organi dello Stato; o in quanto può, in un determinato momento, esprimersi in forma rivoluzionaria come antitesi delle classi che detengono il potere che si identificano con lo Stato. Il popolo come collettività, non è affatto un potere organico, né si può identificare con lo Stato”.
Il corpo elettorale non governa il Paese, ma designa coloro che governano il Paese.
È limite alla sovranità popolare la natura stessa della democrazia che, attuata, tende a svilupparsi e a consolidarsi.
È limite alla volontà popolare la legge morale naturale.
Sturzo è, perciò, cosmopolita solo in senso etico-culturale: “Il popolo così definito non oltrepassa i confini della nazione, non postula esiti mondialisti, una reductio ad unum, a un organismo superiore”.
Il suo essere europeista è di conseguenza una posizione etico-culturale, senza rinunciare ad una sistemazione politico-istituzionale.
Trascina nell’internazionale ciò che vale per il nazionale: una cultura del limite, prudente, saggia.
Tratteggia una civiltà cristiana europea, una grande palingenesi europea favorita, monnetianamente, da continui accordi con gli Stati Uniti.
Una Europa che è un po^ distante da quella che viviamo oggi, tanto quanto si stanno allontanando gli Stati Uniti da un’Europa politicamente indebolita, perché non ha fatto progressi integrativi concreti ed epocali da troppi anni.
Sturzo ci ricorda spesso il primato della politica estera su quella interna. Vale per gli Stati e per l’Europa.
Sturzo vede necessaria un’Europa dei popoli, più che delle Istituzioni, propende per un’Europa delle Regioni e non degli Stati, per un’Europa priva di zone di influenza contrapposte, per un’Europa unificata dalla GB alla Russia, con un solo esercito, un solo parlamento.
Perciò, rispetto alla posizione della Cancelliera Merkel, che nega l’esistenza concettuale di popoli sovrani portatori di diritti collettivi, e rispetto ai cosiddetti sovranisti, che invece affermano il diritto inconcusso dei popoli di liberarsi dei poteri sovranazionali oppressori e rapinatori, Sturzo rappresenta una terza posizione: occorre una Europa forte e coesa, che superi il nazionalismo attraverso il regionalismo, custode di storie individuali simili, di coscienze solidificate nella storia diversa di ciascuna terra.
Forze centrifughe sovraniste oggi minano in Europa il sentiero dei passi ulteriori, indispensabili, che occorre fare per una maggiore coesione europea. Allo stesso modo, da un fronte opposto, c’è chi, in nome di un mondialismo fondato sulla primazia dell’individuo, mina il medesimo sentiero di incremento del cammino unitario, indebolendo le economie dei partner sino allo sfinimento. Il paradosso di quest’ultima posizione che dovrebbe essere EU-centripeta, sta nel fatto che si alimenta delle medesime istanze sovraniste emerse al proprio interno, proprio mentre ne nega la legittimità di rappresentanza popolare a favore di un mondialismo individualista.
Il risultato è che fra i diversi sovranismi dei diversi Paesi Europei non è possibile scorgere un filo europeista comune, una medesima fonte del diritto, medesimi obiettivi politici, economici e sociali.
Infatti sono proprio i sovranisti anti-europei tedeschi di Alternative fur Deutschland che denunciano l’accordo Target 2, chiedendo a Italia e Spagna di restituire 800 miliardi alla Germania corrispondente al debito posseduto dal loro sistema finanziario. Immaginano così di coprire l’enorme perdita di valore in borsa del loro sistema bancario (-90% dal 2007) e di rientrare del credito prima che l’Italia o la Spagna siano costrette a lasciare l’Euro, anche in vista degli scossoni anti-euro e anti-europei sovranisti o indipendentisti che sono emersi in Italia e Spagna. Da un fallimento, argomentano, si ricava poco dei propri crediti. Meglio mettere subito le mani sull’oro degli Italiani, del quale la stessa Banca d’Italia non osa pretenderne la proprietà. I sovranisti tedeschi si insinuano nelle stanze del governo Merkel facilmente, giacché il mercato dei capitali in Germania ha perso 500 miliardi di euro nel solo 2018.
È proprio la spinta de-globalizzatrice che avanza, proveniente dagli Stati Uniti del Presidente Trump, che determina, in un paese, come la Germania, esportatore con un surplus enorme, una perdita crescente del valore delle proprie aziende.
In tale quadro Sturzo come agirebbe?
Per quanto abbiamo riferito dei suoi pensieri si può supporre che dedicherebbe ogni sforzo nell’alzare il livello culturale della discussione, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Raggruppando menti e cuori, liberi e forti, con cui ricapitolare i fondamenti filosofici, storici, morali, sociali della ragione europea e nazionale.
Credo che prima di ogni altra azione si dedicherebbe a combattere la battaglia delle parole, mostrandone l’orrore delle conseguenze di male intenderle, la grandezza degli obiettivi se bene intese e condivise.
Si dedicherebbe anzitutto a incivilire la contesa e il dibattito politico, scaduto a livelli infimi e infingardi.
Spero che i tanti “qualcuno” più abili di me possano correggermi, integrare ciò che ho scritto, allargare ad altre riflessioni l’attualizzazione di un maestro imperdibile, nell’anno che ne ricorda l’episodio più alto della sua meravigliosa vita spesa fra Vangelo e Politica.
Venerdì 11 gennaio 2019
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