Europa, il Pollo grasso. Orso russo e Aquila americana all'attacco del Vecchio continente

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sognando un'eurasia florida e pacifica

Europa, il Pollo grasso. Orso russo e Aquila
americana all'attacco del Vecchio continente

Mala tempora, per il momento, currunt per il pollo grasso, che è nascosto al feroce orso e alla pericolosa aquila da un vaso di coccio che si romperà presto…

di Sergio Bevilacqua

Pollo grasso insidiato da Orso e Aquila
Pollo grasso insidiato da Orso e Aquila

Putin parla con le armi. Trump parla con i dazi. Draghi invoca un’unità politica europea urgente e improbabile. Insomma, l’Europa è il pollo grasso, così la capiscono tutti.

Modo di dire che si usa a proposito di un goloso oggetto di appetiti che non ha capacità di difesa. In questo scorcio di XXI secolo, è avvenuto un inatteso e pericolosissimo rigurgito primitivo, dalle caratteristiche non solo locali ma sempre più globali: la Guerra. Essa si presenta non più come un fatto storico ripetitivo e superato, a cui ci siamo disabituati grazie a 70 anni di relativa pace nei paesi sviluppati, ma di nuovo come una concreta possibilità, deleteria per l’intera specie umana. Al momento, essa si ripropone sotto l’aspetto di una concreta forma di terrore (quella che ho chiamato teleutofobia, cioè paura della fine di tutto a causa di un conflitto nucleare complessivo), ma sembra assumere sempre di più i connotati di un possibile evento tragico. È ormai purtroppo opportuno considerare il fatto che potrebbe davvero accadere, e che l’esercizio della forza potrebbe travolgere il mondo intero, dal momento che un’area molto ricca del pianeta, la vecchia Europa, “piccolo” bacino di meno di un decimo dell’umanità, del 5% delle terre emerse, detiene la ricchezza del 22% del mondo e non ha, rispetto ai tre più grandi Paesi per capacità bellica (USA, Russia e Cina), da sola nemmeno un centesimo della loro capacità offensiva/difensiva.

Benché le dimensioni economico-demografiche siano differenti, sul piano della Guerra, l’Europa è attaccabile e impossibilitata meccanicamente a una difesa efficiente dei suoi confini geografici, economici e istituzionali.

Non solo le condizioni militari sono sproporzionate, ma anche la cultura civile europea è impreparata ad affrontare questo rischio primitivo, che pareva, seppur con pazienza e diseguaglianze, superato dai principi di pace conseguenti alla Seconda Guerra Mondiale e ai famosi tre quarti di secolo che l’avevano quasi fatta dimenticare.

Con la recrudescenza del ringhiare, abbaiare e aggredire di questi ultimi anni, con l’abbandono dei trattati e della diplomazia, sono balzate d’un tratto in primo piano le capacità di distruzione a livello globale, senza che, per la prima volta nella storia, esse abbiano un senso di opportunismo economico (distruggere per ricostruire). L’economia globalizzata, infatti, per la prima volta, rema contro il conflitto esteso, che mette in crisi i vantaggi dei colossi economico-finanziari che in questi 70 anni hanno travolto, senza guerra, i confini degli Stati, semplicemente togliendo a questi ultimi un ruolo improprio, o meglio forse anacronistico, che il XX secolo aveva dato loro nello sviluppo economico: marxismo (economia di Stato appunto), keynesismo (intervento dello Stato nell’economia con commesse pubbliche e politica fiscale), nazionalizzazioni, sono stati cancellati nel dialogo politico, con le realtà imprenditoriali (ovunque ormai private, anche nella Cina pseudocomunista) sempre più libere di svolgere il loro ruolo sull’intero globo terracqueo.

Non si può escludere, data la natura ancora balzana della specie umana, che emergano questi istinti primitivi dello scontro fisico, anziché del ben più raffinato e civile confronto competitivo economico, rassicurato dalle razionali e ben poco manovrabili catene manageriali delle grandi organizzazioni globali. È infatti un errore pensare che un imprenditore, per grande che sia, possa condizionare, anche a seguito della sua proprietà privata delle grandi aziende, il loro funzionamento per farne uno strumento di potere solo proprio, finalizzato magari alle più gravi perversioni: nelle grandi corporation, quel potere, per diventare fatti, deve attraversare organismi collegiali come assemblee degli azionisti, consigli di amministrazione, comitati di direzione, direzioni operative e, quindi, divenire noto a decine o centinaia di persone avvedute e professionalmente sviluppate, le quali dovrebbero tutte condividere tali devianze… e comunque il mondo ne verrebbe a conoscenza. Per quella via, non c’è, quindi, probabilità elevata di complotto ai danni dell’umanità: è la natura organica prevalentemente sana delle aziende efficienti ed efficaci che ci mette al riparo da tale triste eventualità.

La natura balzana della specie umana, pericolosa come è stata per sé e per il mondo, salvo ottenere, con le sue virtù peraltro palesi, indiscutibili successi, come la propria vertiginosa moltiplicazione, la crescita dell’aspettativa di vita e della migliore salute media dei suoi individui, ha ben altra fonte di pericolo, che non è quello dell’economia diretta dal capitale privato gestito collegialmente: essa è nel cattivo funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Più nei totalitarismi che nelle democrazie, il forte potere rappresentato dagli Stati è gestito in modo molto sommario e superficialmente consensuale. Entrano in fortissimo ruolo le comunicazioni e i mass-media, ove è possibile, per loro natura tecnico-organizzativa, fare passare messaggi e campagne di sensibilizzazione dei popoli dirette da pochissimi (democrazie imperfette) o addirittura da uno (totalitarismi) e, conseguentemente, creare una forza di occupazione delle istituzioni fatte di fedelissimi e non di professionalità qualificate e “scientificamente” responsabili come negli organismi manageriali. Data poi la presenza presso gli Stati delle forze militari e della capacità di guerra, ecco che proprio lì potrebbe avvenire un progetto perverso, con probabilità di successo. Ma è anche vero che, per realizzarsi, la mano pubblica dovrebbe appoggiarsi a quella privata, dalle caratteristiche suddette.

È ovvio che, se dovesse avvenire un corto circuito di medio-grandi dimensioni tra potere economico e potere statale, magari totalitario, esso costituirebbe un rischio enorme per tutti. Come ho scritto altrove, ciò è possibile oggi solo nei Paesi a economia primaria, cioè legata al territorio (amministrato dagli Stati) per cui, come è dimostrato dal caso russo, anche un Paese con bassa economia e demografia limitata, se c’è coesione forte tra un’economia primaria molto fruttuosa e il potere politico, pressoché totalitario, sopra uno Stato armatissimo, allora questo soggetto sistemico diviene player mondiale di livello strategico, sfidando e preoccupando ben maggiori dimensioni sistemiche socioeconomiche.

Dunque, mentre la Russia è quanto accennato nelle righe sopra, gli USA, con l’amministrazione democratica. erano una forza che usava bastone e carota con i suoi “alleati” europei, peraltro nei fatti evirati della forza bellica, e ora, con l’amministrazione Trump, sembra avviarsi verso l’uso del solo bastone.

Insomma, per motivi solo superficialmente diversi, USA e Russia sono in pressing sull’Europa, ricca e pacifica. Pollo grasso, e vaso di coccio tra vasi diversamente di ferro.

Si dice che c’è solo un gallo nel pollaio, e qui ce ne sono già due, USA e Russia, cioè Putin e Trump, se non 3, la Cina di Xi Jinping. Un pò lontana per essere equilibratrice di quanto potrebbe succedere nel Vecchio Continente e agnostica rispetto a una buona parte della problematica sopra esposta.

Questo scenario ha due possibili altre versioni, e tra le tre è piuttosto difficile capire quale è la più probabile: la seconda, è una politica di vera pace basata su un piano importantissimo di infrastrutturazione per la valorizzazione dell’intera economia eurasiatica, integrata tra Europa, Russia e Cina (cui s’aggiungerebbe questa volta anche il subcontinente indiano), con un volano gigantesco che favorirebbe anche l’economia degli USA; la terza, che è un “problematico di cui” della prima, è l’immediato consolidamento istituzionale europeo in federazione di Stati, con governo unico su materie strategiche e sviluppo vertiginoso, sia in tempi che in quantità, di capacità bellica e soprattutto di arsenale nucleare.

Mala tempora, per il momento, currunt per il pollo grasso, che è al riparo dal feroce orso e dalla pericolosa aquila grazie a un vaso di coccio che si romperà presto…

Martedì 18 febbraio 2025

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