di Sergio Bevilacqua
Era tempo che attendevo di incontrare in Italia la musica di Mario Borrelli, cantautore italo-svizzero di madrelingua italiana. Con l’amico pittore Rossano Ferrari saremo al Teatro Petrella di Longiano, in provincia di Cesena, il 22 marzo per la rentrée tricolore di questo interessante artista, che saggia così il terreno dell’attenzione alla sua musica da parte del pubblico di quella che può essere definita anche la sua madrepatria, essendo campano da parte di padre.
Una via piena di significati quella percorsa da Borrelli come cantautore, che rilegge questo mestiere rendendogli con naturalezza tutta la sua ricchezza e valore di sempre, pur nello scenario tambureggiante del terzo millennio.
Iliade e Odissea nascono da una esperienza orale: erano cantate, e gli aedi che le interpretavano con tante licenze, fin dalla più remota antichità, erano considerati profeti che illuminavano le Muse e lo stesso Apollo, dilettando il Parnaso dei loro suoni di strumento e voce e promuovendo concetti che poi potevano divenire stili di vita e civiltà, filosofia. I trovatori medievali mantengono quel tratto e si ritrovano a poetare (trobar, in provenzale) con in mano un liuto. Giuseppe Verdi, oltre a essere un grande artista, era anche un uomo pratico che seppe essere importante imprenditore agricolo e affrontare la sua arte non solo con lo spirito del creativo, ma anche con quello del pragmatico: quante arie egli prese dalle strade popolari, dal canto delle lavandaie e dei mercati? Ci è difficile saperlo, ma i segni di questa sua attenzione speciale alle melodie e ai ritornelli tipici della cantata popolaresca italiana si sentono nelle romanze delle sue opere e la sua musica ha spesso una cifra facile, ma virtuosa, che la rende orecchiabile, che si appoggia anche al cosiddetto zum-pa-pa, facile attacco di suoi detrattori, e invece evidente segnale di vicinanza della musica colta a quella cosiddetta leggera in Italia, o più sociologicamente “pop” nel mondo.
Il grande secolo della lirica e del recitar cantando, il XIX, sviluppò proprio in Italia un genere che non avrebbe più abbandonato l’umanità: il pop, ovvero la musica leggera, che, con la canzone napoletana, breve, romantica, melodica e drammaturgicamente calibrata, prende e dà alla lirica nobile. Che poi Gaetano Donizetti sia davvero il musicista che ha scritto “Te voglio bene assaje” sta semplicemente a significare quanto lo spettacolo dell’opera lirica sia vicino al gusto di chi ascolta musica e testi, di chi cerca un messaggio da parte dei cantautori che pensano, scrivono e fanno musica cantando.
I cantautori non sono sempre solo delle persone, a volte sono dei piccoli e medi sistemi umani organizzati, soggetti multipli, ove i ruoli tendono sì a stabilizzarsi, ma in una condizione organica, interattiva: ci sono cantautori che fanno musica, cantautori che fanno testi, cantautori che sono registi di show audiovisivi, come ci ha abituato il pop-rock angloamericano… Ma di certo cantano e sono autori di qualcosa.
Aedi, trovatori, colti o popolari, con la voce al servizio del pentagramma o con il pentagramma al servizio della voce, a veicolare con passione condivisa i testi di altri, a recitare i propri, a creare intorno a quei fatidici 3-7 minuti tutta l’emozione possibile, alla luce di messaggi dati dalle parole e dal tono della voce anche grazie alle espressività dei microfoni, dalle sottolineature degli accompagnamenti o di brani solo strumentali, da scenografie intime o abbaglianti…
I cantautori hanno fatto molta strada rispetto ai messaggi che lanciavano il secolo scorso, dallo shock della rivoluzione culturale dei ’60 e dei 70 fino agli anni ’80, rispetto alle costruzioni storico-politiche… Ciò che propongono oggi è più spiccatamente musicale e meno politico, più mirato a fattori propri dell’intimità personale e dei sentimenti. I cantautori vanno per strade coerenti con l’enorme bacino di utenza destato dal web e dai social network, capace di generare forti attriti e conflitti, e che trova nel messaggio amoroso-sentimentale un campo neutro, libero da faide e ostilità.
Visto che il campo è comune, diviene poi difficile distinguersi per messaggio ed effetti audiovisivi. Molti ci provano, ma pochi riescono ad attirare l’attenzione del pubblico, soprattutto perché essa è data da una sofisticata e costosa organizzazione pubblicitaria, i cui vertici sono inattaccabili e gestiti a livello ormai planetario, e lasciano liberi dei rivoli che nemmeno risaliti all’inverso, con grande sforzo, come fanno i salmoni, possono portare nel principale corso del fiume, nel main-stream. Però, come fanno i salmoni, in acque più pulite e ossigenate sì. Grandi sforzi, ma risultati artistici rilevanti, senza guardare troppo al successo commerciale che dipende da tutt’altro. È il caso di tanti artisti italiani ma ormai possiamo dire del mondo, e anche di Borrelli. Artisti che hanno forse abbandonato l’ambizione di vedersi sugli schermi ideali di Times Square, ma non quella di mostrare la qualità artistica della loro proposta.
Anche sotto il fungo della globalizzazione possono proliferare fenomeni artistici importanti, basati su quell’originalità che è così tipica dell’umano e, in particolare, delle variegate e antiche civiltà europee e che non sono soltanto prodotti di nicchia, benché la loro diffusione rimanga limitata.
Il produrre innovazione nel linguaggio della musica pop-rock assorbita dal cantautorato, vede molti tentativi correnti (basti ricordare in Italia l’ultimo festival di Sanremo), che spesso distraggono, sono difformi, dal messaggio sostanziale del genere singer-songwriter, di tradizione angloamericana, francese, italiana e latino-americana. Col mutare del gusto musicale, come i tempi mostrano, la sfida è quella d’incorporare le nuove sonorità e, contemporaneamente, di salvare l’emozione di un messaggio che si esprima con le parole e colpisca, come accade nel lavoro di Mario Borrelli.
Padre italiano e madre tirolese, Mario nasce e vive in Svizzera nel cantone germanofono di San Gallo, dove ha trovato quella nicchia di ascolto e seguito che gli dona la motivazione per continuare ad esprimere la sua arte: diversi concerti all’anno, Mario mantiene il filo del ricchissimo cantautorato del Belpaese, dei suoi riferimenti anche recenti (Battisti, Battiato, Dalla, De André, De Gregori) che si aggiungono alle due scuole classiche della canzone popolare e della lirica soprattutto verdiana. Lo si nota nei testi che, in particolare nei due album “Spècchiati” e “Respiri libero”, seguono la linea di un dialogo d’amore tra uomo e donna che appare controverso ma desideroso di composizione: il messaggio che si legge trasversalmente nel lavoro di chansonnier di Borrelli è che tale composizione amorosa sia difficile e incerta, sottolineata, nei testi, da toccanti interruzioni del dialogo, su cui appoggiano spunti quasi tenorili della voce, che si stagliano come modernissime dissonanze nel mezzo di uno stile canoro educato e attuale.
Il gruppo dei musicisti che Borrelli mobilita ha caratteristiche serie e professionali, con requisiti di esecuzione strumentale di alto livello, cui il cantante lascia spazi importanti, come accade nel grande pop-rock anni 70-90, in testa i Genesis. I venticinque anni in cui Borrelli svolge il suo lavoro maggiore, vede la produzione di un album nel 2021 (“Specchiati”) che ha atteso il post-pandemia per venire presentato, e succede a una stagione di riflessione e rinnovamento, che oggi dedica un occhio più attento al mercato italiano. L’epoca precedente, culminata con la raccolta “Respiri libero” del 2010, consta di oltre 50 brani, dei quali è spesso autore di musiche e testi e molte decine di concerti, soprattutto nel San Gallo appunto, ma anche qualcuno in Italia.
Per incontrare la originale produzione di quest’autore e cantante il 22 marzo ore 21, a metà strada tra Cesena e Rimini, https://www.vivaticket.com/it/ticket/mario-borrelli-saki-hatzigeorgiou/257859?culture=it-it
(testo A.I.free)
Domenica 16 marzo 2025
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