di Sergio Bevilacqua
Ogni epoca ha il suo specifico nelle arti e l’originalità dell’epoca attuale si gioca tra le arti visive novecentesche storiche e la grande novità, l’arte digitale. Un percorso estetico che le leghi, come fa Antibrote, nome d’arte di Florence Brandalesi, è particolarmente infrequente. L’arte è sempre un viaggio, un percorso tra l’uomo e il tutto e l’insorgere delle nuove tecnologie diviene occasione di visita di questa relazione: lo fu la fotografia, lo è oggi il digitale. Il tutto, l’intero, è la solita proiezione estrema di ciò che noi vediamo… Vediamo, vedere: vidi, Οἶδα, perfetto del verbo εἰδέναι ha la stessa radice ἰδ della parola εἶδον "idea"… Vedere, cioè, nell’antichità è sapere: il vedere è fonte ed espressione interiore dell’idea. Se il nostro vedere si avvale di strumenti diversi, il nostro sapere diviene diverso. Così per il cannocchiale, per il microscopio… Usare le arti visive, le loro forme più recenti, può essere quindi produrre sapere, esporre un sapere. Perché il sapere della vista incontri e superi il sapere della filosofia e della scienza la sua manifestazione deve essere speciale, e transitare con classe e scioltezza verso quella catarsi immane che è il sentimento dell’ὅλος, dell’indiviso o dell’intero, che l’arte visiva può produrre quando magistrale. Il concatenamento tra le tecnologie visive digitali e il prodotto materiale è pura pedagogia del nuovo sapere artistico, della nuova catarsi.
Così fa Antibrote: la sua mente di vera artista visiva proietta quindi il suo vedere nel sapere e ha bisogno di questa meta. La sua proiezione poietica è come costretta da una insanabile difformità e attraversa, a cavallo delle tecnologie digitali, il divario tra il figurativo fotografico e l’astratto, tra il digitale e l’oggetto tangibile. La sua ricerca fa ansimare il corpo che senza risparmio affronta quella missione e cerca tutti gli strumenti disponibili, che siano figli della tecnologia elettronica o chimica, o di altre forme di manifestazione. Ed è sempre una lotta contro il tempo, se la missione è l’ὅλος, poiché esso si sposta. Ma Antibrote documenta il processo, che diventa tema d’arte.
Perché Antibrote si spinge verso le tecnologie più recenti delle arti visive? Perché è artista, quintessenza dell’homo sapiens: il quale, a differenza delle altre specie cerca una maitrise, una padronanza. La padronanza è di certo una nostra missione genetica, buona o cattiva, verità o menzogna… E quando si va oltre, quando si cerca La Via anticipando le evoluzioni dell’ὅλος, la testa duole, perché è proprio lei che guida la nostra ricerca… Antibrote ha intuito, sensibilità, formazione che la portano in modo umano (troppo umano…) verso le strade utili a questa maitrise progressiva: possono essere anche religioni, filosofie, piani socioeconomici ma, tra tutte, l’Arte è la più specifica. L’arte vera, quella che attraverso la sua fenomenologia percettiva colpisce l’umano con la fusione olistica, attraverso innumerevoli divergenze, convergenze, urgenze, varianze. Più cerchi più trovi, ma più potrai cercare.
E allora l’immateriale arte digitale diventa in Antibrote il sostituto della struttura molecolare del marmo, suo opposto. Il marmo è, scientificamente, una roccia carbonatica originatasi per genesi metamorfica, come un’immagine attraverso l’applicazione di un software grafico: significa che nasce dalla trasformazione di una roccia preesistente, la cui composizione e struttura hanno subito cambiamenti nel tempo a seguito dell’intervento di diversi fattori chimici e fisici. Ad esempio, il marmo di Carrara, apuano, è il risultato della trasformazione di sedimenti di calcare o composti di calcare, che a causa di variazioni di pressione o di temperatura (software grafici nell’immagine digitale) hanno mutato nei milioni di anni (qualche secondo) la loro organizzazione e la loro composizione trasformandosi nella roccia bianca con struttura granulare (di “aspetto saccaroide”, per utilizzare un termine scientifico) che oggi conosciamo. Ed eccolo lì, materia prima dello scultore, reso tale dal lavoro d’arte geologica della Natura, come l’immagine digitale originaria diviene materia prima della sua esistenza concreta grazie all’uso di software grafici da parte di Antibrote.
Marmo, μάρμαρον, perché brilla… si mostra, e dona la sua struttura fatta di elaborazione di un lavoro mai finito e mai iniziato, della notte dei tempi, un processo di profondità aionica (dell’αἰών) e trascendente, per dare a Canova (Antibrote), la possibilità di fare la sua scommessa (su plexiglass).
Una vera amazzone: riprendere la scultura simulando con il digitale l’eterno lavoro della natura, imprimere sul plexiglass il segno della mente assillata dalla catarsi nell’ ὅλος, invertire la serena prassi canoviana e destrutturare il marmo/immagine per produrre la sua ricodifica… Trasferire il viaggio nell’intero, metaforizzato in un percorso digitale, è una sfida titanica, che può mettere in crisi l’organismo, ma gli dona il senso del processo superiore, che nell’arte vera ci include tutti. La faretra di Antibrote, arciera delle Amazzoni, è un esempio dell’altrosenno, che supera la vecchia realtà e si lancia, fiducioso dei suoi attrezzi software, nell’estetica, perché oggi universo/metaverso è un campo di battaglia tra reale e immaginario costruttivo. In questa terra di mezzo, dove il simbolico non è semiotico ma originalmente significante, le Amazzoni combattono per la loro terra contro invasori alieni, dimenticando le faide con Troia e rivendicando il proprio diritto mitico a un processo nuovo, a un tentativo di fusione tra il digitale e il pittorico, a farlo bene, malgrado Achille e gli iceberg, che si oppongono alla fusione. Banali intralci, se si pensa, anche se si soffre: come, altrimenti, divenire icone umane se non con la morte per Troia, per sempre nostra, in questa fusione che va dal display al plexiglass? Missione eroica, buona sorte: così cadono le sorelle, Pentesilea e le altre, per la mano cinetica dell’oscuro tradotto in luce che sempre pende sull’Altro. Perché ciò avvenga, il percorso si rischiara, con la luce digitale.
Inoltre, se si chiede all’arte l’interpretazione olistica, se Antibrote la evoca con precisione nelle proprie intuizioni e motivazioni poietiche, allora non si può recidere il legame tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande: lei non sta sfidando nessuno, non la fisica, non le religioni! Sta soltanto dando il suo contributo, per una via significante, a scoprire le coerenze tra idea e materia: quale compito!
Non sarebbe meglio il sorriso di una donna, deformato magari come in Jenny Saville o Marlene Dumas? Che c’entra… questa di Antibrote è la ricerca di una mente, che imbraccia l’arco e scocca la freccia dalla sua faretra che amputa, che toglie un seno per fornire altra alimentazione: Antibrote come le sue sorelle, sono ora fantasmi più vivi degli Achei. L’amazzone Antibrote è esempio di eroica ginecoforia odierna, sentimento e logica, corteccia (cerebrale o no) e linfa (od ormoni) per frutti digitali esplosivi, dal minimo dell’esperienza quotidiana alla visione siderale. Oggi, il suo continuum lega universo e metaverso, viaggiando come una fluida canoa da quel Po che diventa Stige e ritorno, nelle tondeggianti colline ortogonali del nastro di Moebius. Quale grandiosa sfida, il congiungere digitale e fisico in arte…
Quanti equilibrismi, in Antibrote. Il mar Immaginario con le sue correnti, prismatiche più che in Escher, non lascia tranquilli e lo sforzo diviene titanico. Sovrapposizioni e deformazioni portate da algoritmi di programmi grafici scandiscono il percorso verso l’Intero Mobile, e così l’Innenwelt diviene dinamicamente Umwelt e ritorno, l’atman diviene brahman, le reminiscenze mitologiche incontrano il digitale; intanto, il fruitore tradizionale incontra l’opera e intuisce o avverte, ma non è chiamato a riconoscere la grande manifattura digitale, a differenza di un collezionista evoluto di Non Fungible Token… Il colore e la forma però lo seducono e la prima fruizione vi si appoggia, come alla curiosa firma, al titolo: già così Antibrote sorprende, anche se il viaggio diventa poi davvero profondo quando ci si addentra nel mondo dell’arte digitale. come quello in un’Iliade o una Etiopide perduta...
Ce la troviamo di fronte, l’arte digitale di Antibrote, ma chi la conosce non si fa affascinare dal semplice risultato formale: rileva infatti il grande lavoro di stratificazioni e di contorsioni attuate dall’artista, come in Matisse con l’acrilico, per far compiere all’opera il viaggio tra il sé e l’intero, sulle montagne russe dell’otto interno. Un’arte con le sue regole auree, dove il tool grafico non è mai autore e chi sorprende è sempre la mano dell’amazzone.
Dunque, vedo la strada di Antibrote come quella di una maitrise artistica del Terzo Millennio, con un progetto elevato e una vera profondità, dove la ricca figurazione è figlia di processi molto avanzati che legano serenamente la mano alla mente, certi della loro via che è costellata di tecnologia evoluta a costo di grande impegno.
Accanto alla grande stima di chi capisce, Antibrote dovrà fare un salto anche in quel mondo che è più suo che altrui, ove le finezze della sua arte sono riconosciute e il raffinato processo diviene oggetto di catarsi a sua volta. E non solo per la meritata ricerca di gloria personale, ma per la massima espansione di quella catarsi moderna che la sua arte poetica rappresenta in digitale e anche in una forma fisica d’arrivo sensoriale e solida, sdraiata sul plexiglass come Olimpia di E. Manet sul suo sofisticato giaciglio di femme fatale: perché la profondità è la stessa anche se soggetto, tecniche e materiali sono quelli di due epoche diverse, e ora che la fotografia ha da un secolo tolto a Manet l’uso del pennello, la costruzione semiologica visiva digitale toglie al pennello, al pixel l’uso di Manet, per orizzonti che miscelano la varietà delle menti umane, metaverso e universo. Così, la carrellata d'interpretazioni di artisti della storia dell'arte che Antibrote rielabora in chiave digitale.
Mercoledì 11 ottobre 2023
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