25 aprile, cristiani contro il totalitarismo

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teresio olivelli, partigiano martire della carità

25 aprile, cristiani contro il totalitarismo

Ricordiamo oggi la liberazione dell'Italia dal totalitarismo

di Gianluca Valpondi

Teresio Olivelli, martire cristiano
Teresio Olivelli, martire cristiano

La Chiesa ha di recente riconosciuto il martirio cristiano del già servo di Dio e venerabile Teresio Olivelli (1916-1945), morto in un campo di concentramento nazista dopo aver posto il suo corpo già stremato a scudo di un altro prigioniero che stava subendo le barbare percosse di una guardia. Il pensiero e la vita di questo eroe della fede e della carità sono un seme fecondo per noi e una perla da far brillare nella nostra povera Italia a corto di idee e di ideali. Teresio ci scuote così dal nostro torpore: “La gioventù o è eroica o è miserabile. L’uomo all’idea non può dare mezze misure di se stesso, dà tutto. Quando poi Cristo è l’ideale che ci sospinge, credo che il dovere si attui nell’amore totalitario a Lui e debba essere consumato sino all’ultima stilla. O la fede è vissuta come conquista oppure è anemia da invertebrati. Nella cattolica Spagna si combatte per salvare il Divino in noi, per vincere l’anti-Cristo, negazione dell’uomo e del Cristo. L’avvenire non appartiene ai molli. La vita è perfetta quando è perfetto amore”. Davvero l’inginocchiarci di fronte a Dio ci rende immuni dall’essere schiavi di qualsivoglia ideologia che vorrebbe tarpare le ali della nostra autentica libertà. Questa lezione è quanto mai attuale. « (…) Tutti questi rapporti costitutivi diventano rapporti legali. Non sono più rapporti determinati dalla natura. È lo Stato, che, assecondando la libertà di ciascuno, definisce che cos’è il matrimonio, chi è figlio di chi, qual è lo scopo della famiglia e il ruolo che ciascuno ha dentro di essa, eccetera. Tocchiamo in questo modo con mano l’ironico paradosso cui conduce la concezione liberale dello Stato — come ha implicitamente ammesso il giudice della Corte suprema americana Thomas, in un interessante passaggio della sua dissenting opinion in merito al caso Obergefell vs. Hodges, che ha portato alla legalizzazione federale del matrimonio gay negli Stati Uniti: “Nella tradizione legale americana — scrive il giudice Thomas — la libertà è sempre stata compresa come libertà dall’intrusione del governo e non come diritto di ricevere un qualsivoglia titolo (entitlement) da parte del governo stesso”. Tale apparente cambiamento, fa venire a galla in realtà una tensione che giace latente all’origine della concezione liberale dello Stato, concepito come puro garante della libertà individuale dei singoli e perciò non autorizzato ad imporre alcuna verità che si pretenda naturale. Quella che sembrava modestia e non ingerenza — la rinuncia a proporre qualsivoglia verità — trasforma paradossalmente lo Stato nel creatore stesso della verità. Lo Stato non si limita a riconoscere una realtà che già esiste e gli uomini hanno da sempre riconosciuto come tale. Ne diviene il creatore. La soggezione del cittadino allo stato diviene qui assoluta, poiché solo la legge dello Stato può garantire all’individuo la libertà di essere ciò che vuole. Se guardiamo alla dichiarazione con cui il giudice Kennedy ha giustificato la decisione della corte suprema di approvare il matrimonio gay, il paradosso diviene ancora più chiaro. Con un’interpretazione molto discussa dell’emendamento 14, Kennedy afferma la natura costituzionale del matrimonio gay in nome del “diritto di ogni cittadino di definire la propria identità”. Da una parte, dunque, il matrimonio gay appare come il punto di arrivo coerente della antropologia liberal: ciò che definisce l’uomo non è più l’essere creato ad immagine di Dio, ma la sua libertà che si autodetermina, senza nessun parametro. Dall’altra, poiché non esiste più alcun criterio di verità che trascenda l’opinione e la volontà soggettiva dell’uomo, lo Stato, in quanto soggetto legiferante — senza entrare nella complessa domanda di chi di fatto rappresenti questo soggetto — acquista in realtà un potere quasi “divino”: è lo stato infatti che mi permette di essere ciò che io non potrei essere senza il suo “entitlement“. Contro tale visione bisogna tornare a guardare una elementare verità: l’autodeterminazione è certamente un aspetto importante della libertà, ma non l’unico. La libertà esiste ed entra in azione sempre e soltanto in risposta ad un dono, ad un “dato” che la precede: gli sposi dicono di sì ad un amore che è stato dato loro. Questa idea di uomo come libertà assoluta, cioè come libertà separata dalla verità, è un’astrazione che investe tutti i livelli della vita dell’uomo di oggi. Ma questa idea è semplicemente falsa, astratta appunto (…) Tenendo presente che stiamo giudicando una concezione e non le singole persone, possiamo dire che la situazione è assai complessa. In sostanza, tra i sostenitori di queste leggi non ci sono posizioni omogenee. Una giornalista omosessuale del New York Times, Masha Gessen, per esempio dice: “Lottare per avere il matrimonio gay implica il mentire circa il vero scopo che intendiamo raggiungere, una volta ottenutolo. Noi infatti diciamo che l’istituzione del matrimonio non cambierà. E questa è una menzogna. L’istituzione del matrimonio cambierà, e deve cambiare… anzi, io penso che non dovrebbe più esistere”. A ben guardare, come abbiamo già rilevato sopra, l’esigenza del riconoscimento legale sembra che contraddica l’idea centrale dell’antropologia liberal: e cioè il principio dell’autodeterminazione assoluta del singolo. Tuttavia, proprio questo è il paradosso: quando il posto della natura viene preso dalla legge, si può essere veramente liberi solo grazie al riconoscimento legale. Se il legame non è riconosciuto, il legame non c’è: è la legge a farlo esistere» (prof. Antonio Lopez, docente di teologia e decano al Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia di Washington, DC).

Il Ribelle (1944), giornale partigiano italiano fondato tra gli altri da Olivelli, proteso in direzione di una rivoluzione morale permanente volta a superare i limiti insiti nella natura umana, afferma che «lo Stato autoritario, comunque si denomini, pretende farsi come un assoluto e sostituirsi alla legge morale della stessa intimità della coscienza, negando in tutto o in parte quei diritti che sono essenziali alla dignità della persona, e senza dei quali non esiste sostanzialmente persona. Il primato assegnato alla persona era la logica conseguenza di un’idea che poneva alla base la necessità di riconoscere e rispettare la “gerarchia dei fini”: fini temporali, quelli della società, fine eterno quello dell’uomo. Era quest’ultimo un principio che permetteva di completare e di vivificare, unendole e sostenendole, le norme atte a garantire l’ordine sociale. Se era infatti importante tutelare la sicurezza personale e nazionale, dare a ognuno la possibilità di lavorare e di procurarsi i mezzi di sostentamento, instaurare fra i diversi rami produttivi rapporti armoniosi e garantire la tranquillità pubblica, l’insieme di questi elementi, in quanto limitato alla natura temporale, rappresentava soltanto una “fragile struttura esteriore”. Il riconoscimento e il rispetto dei fini permetteva invece che questa struttura non solo fosse animata, ma che i suoi elementi costitutivi fossero convogliati in direzione di un ordine superiore confacente al carattere più intimo dell’uomo rinvenuto nella sua natura immortale. La società doveva essere quindi ordinata all’uomo ed era concepita come una “persona di persone” con il compito di creare le condizioni necessarie per garantire lo sviluppo della persona umana in modo da permetterle di riconoscere “in piena libertà la propria vocazione e di seguirla”» (cfr Dignitatis Humanae, Conc. Vat. II). Un altro che di totalitarismi se ne intende, fa eco e attualizza il pensiero “ribelle” di Teresio Olivelli. “Nell'ambito sociale si sta diffondendo anche una mentalità ispirata dal laicismo, ideologia che porta gradualmente, in modo più o meno consapevole, alla restrizione della libertà religiosa fino a promuovere il disprezzo o l'ignoranza dell'ambito religioso, relegando la fede alla sfera privata e opponendosi alla sua espressione pubblica. Il laicismo non è un elemento di neutralità che apre spazi di libertà a tutti: è un’ideologia che s’impone attraverso la politica e che non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, che corre il rischio di convertirsi in qualcosa di puramente privato, e dunque di mutilato. Ci troviamo, cioè, di fronte ad una concezione puramente naturalistica della vita dove i valori religiosi o sono esplicitamente rifiutati o vengono relegati nel chiuso recinto delle coscienze e nella mistica penombra delle chiese, senza alcun diritto a penetrare ed influenzare la vita pubblica dell'uomo (la sua attività fìlosofica, giuridica, scientifica, artistica, economica, sociale, politica, ecc...). Abbiamo, così, un laicismo che si identifica in pratica con l'ateismo. Esso si oppone apertamente ad ogni forma di religione, insorge violentemente ogni qual volta la Chiesa esercita il suo dovere di ammonire la società e la politica su ciò che per essa è bene o male, vanifica tutto nella sfera dell'immanenza umana. Il marxismo è precisamente su questa posizione. Le credenze religiose sono, secondo questo laicismo, un fatto di natura esclusivamente privata; per la vita pubblica non esisterebbe che l'uomo nella sua condizione puramente naturale, totalmente disancorato da un qualsiasi rapporto con un ordine soprannaturale di verità e di moralità. Si tenta di frantumare l'unità di vita del cristiano, nel quale è assurdo, e perfino patologico, voler scindere la vita privata da quella pubblica. Gli si consente di accettare una dottrina di pensiero ma non di metterla in pratica. Un corretto concetto di libertà religiosa non è compatibile con questa ideologia, che a volte viene presentata come l’unica voce della razionalità. Non si può limitare la libertà religiosa senza privare l’uomo di qualcosa di fondamentale. Nel contesto sociale attuale stanno crescendo le nuove generazioni, influenzate dall’indifferentismo religioso, dall’ignoranza della tradizione cristiana con il suo ricco patrimonio spirituale, ed esposte alla tentazione di un permissivismo morale. A nessuno sfuggono però i rischi e le minacce che, per un autentico assetto democratico, possono derivare da certe correnti filosofiche, visioni antropologiche o concezioni politiche non esenti da preconcetti ideologici. Permane, ad esempio, la tendenza a ritenere che il relativismo sia l’atteggiamento di pensiero meglio rispondente alle forme politiche democratiche, come se la conoscenza della verità e l’adesione ad essa costituissero un impedimento. In realtà, spesso si ha paura della verità perché non la si conosce. La verità così come Cristo l’ha rivelata è garanzia per la persona umana di autentica e piena libertà. Se l’azione politica non si confronta con una superiore istanza etica, illuminata a sua volta da una visione integrale dell’uomo e della società, finisce per essere asservita a fini inadeguati, se non illeciti. La verità, invece, è il migliore antidoto contro i fanatismi ideologici, in ambito scientifico, politico, o anche religioso. Il messaggio evangelico, infatti, offre la centralità della persona come ancoraggio sovra-ideologico, a cui tutti possono fare riferimento. Senza tale radicamento nella verità, l’uomo e la società rimangono esposti alla violenza delle passioni e a condizionamenti aperti od occulti. Come esperti delle discipline sociali e come cristiani, voi siete chiamati, pertanto, a svolgere un ruolo di mediazione e di dialogo tra ideali e realtà concrete. Un ruolo che talvolta è anche di “pionieri”, perché vi è chiesto di indicare nuove piste e nuove soluzioni per affrontare in modo più equo gli scottanti problemi del mondo contemporaneo. I cattolici sono perciò invitati non soltanto a impegnarsi per rendere viva e dinamica la società civile - con la promozione della famiglia, dell’associazionismo, del volontariato e così via -, opponendosi a indebiti limiti e condizionamenti frapposti dal potere politico o economico; essi devono anche riconsiderare l’importanza dell’impegno nei ruoli pubblici e istituzionali, in quegli ambienti in cui si formano decisioni collettive significative e in quello della politica, intesa nel senso alto del termine, come oggi è auspicato da molti. Non si può infatti dimenticare che sono proprie della vocazione del fedele laico la conoscenza e la messa in pratica della dottrina sociale della Chiesa e, quindi, anche la partecipazione alla vita politica del Paese, secondo i metodi e gli strumenti del sistema democratico. Alcuni poi sono chiamati a uno speciale servizio alla comunità civile, assumendo direttamente ruoli istituzionali in campo politico. Per il cristiano la politica è il prolungamento della logica della testimonianza. Politica vuol dire ricerca del bene comune di una comunità, elaborare sistemi di pensiero volti alla crescita e al progresso. Come si può, in questo processo, ignorare il Cristianesimo? Come può il cristiano escludere l’insegnamento di Colui che è “Via, Verità e Vita”? Come può la Chiesa tacere su quei progetti e leggi che contrastano in modo stridente con la parola di Dio? In contrapposizione col laicismo, tutt’altro discorso è la laicità. Essa, infatti, vuol dire per lo Stato porsi in una posizione d’imparzialità, ma non d’indifferenza, nei confronti delle varie confessioni religiose. In uno stato laico, chiunque può abbracciare o meno un credo religioso, avendo poi la libertà di esplicarlo e testimoniarlo in tutti i settori della società stessa, senza nulla imporre. È questa laicità che la Chiesa auspica e che il credente ha il dovere di salvaguardare e applicare. Ne deriva che la laicità è un concetto pacifico; il laicismo è un concetto controverso; la laicità è un principio ispiratore di dialogo; il laicismo è un principio acceleratore di scontro; la laicità genera pluralismo; il laicismo genera un’imposizione di un’idea; in altri termini, la laicità avalla molteplici convinzioni; il laicismo monopolizza la società senza Dio” (San Giovanni Paolo II) (cfr, ancora, Dignitatis humanae). Noi sappiamo, e il martire e intellettuale Teresio Olivelli ce l’ha testimoniato con le parole e le opere e la vita e il sangue, che la giustizia di Cristo è l’unico vero e infallibile viatico per la tenuta della società (cfr Rosmini, “La società e il suo fine”). Mandiamo a memoria la “preghiera del ribelle” di Teresio; chissà mai che possa servirci. “Signore, facci liberi! Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce, segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi, oppressi da un giogo oneroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te fonte di libere vite, da^ la forza della ribellione. Dio, che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi; alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura. Noi ti preghiamo, Signore. Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa^ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità. Tu, che dicesti “Io sono la resurrezione e la vita”, rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.

Giovedì 25 aprile 2019

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