di Sergio Bevilacqua
Una serata piacevolissima, con una città che s'incontra nel suo teatro, quasi come una volta. La brillante compagnia Corrado Abbati mette in scena un classico “Al Cavallino Bianco”, operetta in tre atti di Ralph Benatzky. Sulla scena Il Balletto di Parma con le coreografie di Francesco Frola, l’Orchestra Filarmonici Arti & Suoni, maestro concertatore e direttore Alberto Orlandi.
Il teatro è pieno, segno di un solido rapporto con la società parmigiana e anche di una notevole capacità di attrazione verso la provincia e le città limitrofe, svolta come di consueto con maturità professionale ed elevatezza. Si vedono finalmente parecchi smoking e anche numerosi abbigliamenti ricercati, scelti proprio per l’occasione. Lo stile Terzo Millennio, cosmopolita, vede il rispetto delle scelte di chiunque, chi sceglie di non dare rilevanza a luogo ed evento, come a dire “La cultura per me è cosa quotidiana, questa è la mia casa e mi vesto in modo casalingo”, oppure “la cultura… ne vorrei tanta di più, ma purtroppo la mia vita scorre nella produzione, di economia e servizi, ma la Cultura la rispetto profondamente, vedete la cravatta?”, oppure “ Se vado al tempio della cultura (il Teatro) mi vesto bene per rispetto all’importanza del luogo” oppure “Finalmente un’occasione per indossare quello smoking ormai desueto, ma sempre così bello…!” oppure “Non sono andata dalla sarta come si sarebbe fatto cinquanta anni fa, ma quel vestito di firma messo solo una volta malgrado gli anni che passano e che mi dona classe e bellezza, beh lo indosserò al Regio l’ultimo dell’anno e con piacere”, eccetera eccetera.
La cosa più bella? Che in questa primissima alba di Terzo Millennio, nessuno, al Regio di Parma del sovrintendente Luciano Messi e dell’ottimo maestro di cerimonia Paolo Maier, criticava l’altro: ecco un grande elemento di maturità proprio della Nouvelle Vague, a differenza del concetto di “cafone” dell'era borghese, che ha lasciato il passo a un nuovo modo di stare insieme, che non è il decaduto stile piatto e sciatto del vecchio comunismo, che non ha recuperato gli stilemi antipatici della nobiltà, ma che vede tutto come una variegata fenomenologia del contemporaneo, molteplice e rispettosa della varietà come si deve nell’epoca della Quadrivoluzione del Globantropocene iper-mediatizzato e ginecoforico. In questo contesto, credo che sia il caso di citare anche il sindaco della città di Parma, Presidente del Regio Michele Guerra, che rappresenta una svolta rispetto al recente passato, come sempre connessa alle circostanze, quindi non tutta dovuta a lui.
Il Regio “Anima Messi” è cambiato rispetto all’epoca precedente, che fu un’epoca garibaldina, unica e benedetta: la grandissima intelligenza, capacità organizzativa, apertura mentale e concentrazione di potere in una persona di sublimi qualità imprenditive e artistiche come Anna Maria Meo, ebbe la straordinaria gloria di riportare il Regio a fasti dimenticati, sia come referenzialità scientifica (con enormi invidie da ogni dove nel Nord) sia nel recupero a Parma della “Risorsa Verdi” espropriata bellamente, causa l’inerzia provinciale accumulata nelle gestioni precedenti, dalla Scala di Milano per il duecentesimo della nascita del Cigno di Busseto.
L’oggi non è peggio, beninteso: è diverso, e per “cause naturali” si potrebbe quasi dire. Il nuovo Regio “Anima Messi-Guerra” sembra divenire molto più tradizionale, capitalizzare già il grande sforzo di fresca innovazione e cosmopolitismo dell’Era Meo e riportare il Regio coi suoi cartelloni in una dimensione di orgogliosa eccellenza operistica italiana classica, recuperando frange popolari che la geniale e chiaroveggente calabrisella (lo dico e scrivo con grande affetto e apprezzamento, perché conosco da sociologo-sociatra di campo che cosa può produrre di straordinario la Terra di Calabria, ove ho operato per anni) Meo aveva forse un poco perso per strada, svolgendo l’eroica missione di far capire nei fatti come dev’essere il teatro soprattutto d’Opera oggi.
Onore vero, ed è sempre poco, alla passata Direttrice e nessun timore nel dire che la nuova gestione deve presidiare con attenzione il patrimonio internazionale generato, e che Parma, sempre in bilico tra cosmopolitismo e costumi locali, non deve dissipare, per ritornare tra i 10 importanti teatri di tante province limitrofe che non volano… Il volo spiccato è stato altissimo e non importa se la cera si è sciolta: Icaro no, ma il Regio è ancora lassù… ben lontano ancora da Modena, Piacenza, Cremona, Reggio Emilia e malgrado il bacino e alcune eccellenze genetiche anche Bologna. Anche mostri sacri come la Scala o la Fenice (per motivi molto diversi) hanno ammirato quel volo, e così un bel pezzo d’Europa e di mondo…
Ma torniamo al nostro bellissimo ultimo dell’anno, che nel suo grande-piccolo, mi ha ricordato quello di alcuni anni fa, con cena di gala a seguire (che purtroppo questa volta non c’era) e momenti di grande familiarità con l’istituzione e artisti (allora il bravo Stefan Pop, tra gli altri…).
La sera del 31 dicembre si è vista, come dicevo, una città intorno al suo Teatro, una città moderna di maturità e solida intorno a esso. Segno, come altri precedenti tutt’affatto diversi, di grande qualità impresariale, anche questo, senza dubbio.
E va detto che un organismo trilobato al vertice con un Presidente che interviene, un Sovrintendente, un Direttore artistico e, in aggiunta, la presenza della simpatica eminenza di Barbara Minghetti, non ha la facilità di manovra e anche la possibilità d’imprinting innovativi del governo precedente, quasi monocratico.
Attendiamo serenamente e vediamo se la via della tradizione, che sembra aver imboccato il Regio, porterà grandi frutti anche a livello assoluto, globale, e non solo (com’è già visibile), a livello di questo bacino parmigiano-parmense sempre a cavallo tra il cosmopolita e il locale. Che merita attenzione e ascolto.
Il Regio è stato un’astronave: ora che l’era diluviana incombe sempre più e che il comando è cambiato, che possa divenire, perché no, un’Arca?
Sabato 6 gennaio 2024
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