di Gianluca Valpondi
Mirko De Carli, dirigente nazionale del Popolo della Famiglia, responsabile dei rapporti col Partito Popolare Europeo |
Ciao Mirko e ben ritrovato. Ultimamente sei stato oggetto di attacchi piuttosto accesi per alcune tue pubbliche affermazioni. In Europa, intendendo l’Unione europea, si vorrebbe, se ho ben inteso, riconoscere l’aborto come diritto umano, o forse “solo” riconoscere l’accesso all’aborto come diritto umano, cioè la possibilità della libera scelta. Ci spieghi il tuo punto di vista?
Caro Gianluca, ben ritrovato a te. È un periodo molto intenso di acceso dibattito politico, che purtroppo troppo spesso sfocia in una violenza verbale inammissibile. Per questo ho dato mandato al mio legale di verificare la possibilità di querelare per gli attacchi che ho ricevuto, in particolare da alcuni siti come Gayburg, che con toni sprezzanti e inadeguati hanno appunto replicato ad alcune mie considerazioni. È evidente che siamo dentro a un processo purtroppo per certi versi irreversibile, che sta cercando di scardinare passo dopo passo la visione antropologica su cui si poggia lo sviluppo millenario della nostra civiltà. In questo senso basta aprire ogni giorno i quotidiani, guardare ogni giorno i telegiornali per vedere che le prime notizie riguardano sempre il dilagare di un impianto ideologico Lgbtq che diventa sempre di più la “normalità” che deve essere accettata da tutti, a prescindere dalla propria formazione, a prescindere dal proprio credo. Vediamo che chi si oppone a questa visione ideologica viene spesso attaccato in maniera violenta con accezioni anche inopportune o inadeguate; e quindi sembra che bisogna lasciar muovere il “manovratore” senza alcun elemento di disturbo. Penso anche a quello che sta accadendo in Europa, dove appunto si vuole introdurre un concetto inaccettabile non solo per noi cattolici ma anche per chi ha a cuore la propria civiltà, per chi ha a cuore i diritti dell’uomo, ha a cuore quella costruzione fondata sul primato della persona e della famiglia che ha regolato la dinamica della nostra civiltà da sempre. Il diritto all’aborto non è un diritto, è un diritto a far sì che la donna possa decidere di disporre della vita della creatura che porta in grembo, e quindi può diventare un diritto all’omicidio, e questo non è accettabile. I diritti devono salvaguardare l’uomo, come la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – il documento più importante redatto dopo la fine del secondo conflitto mondiale ad oggi – dichiara, e quindi va tutelata anche e soprattutto la vita nascente. Non a caso, come LaCroceQuotidiano e il Popolo della Famiglia, sin dall’inizio delle nostre battaglie abbiamo sempre proposto una moratoria contro l’utero in affitto su cui facemmo anche i gazebo per la vita e una lunga raccolta di firme, migliaia in tutta Italia, e per promuovere il diritto universale a nascere, proprio perché va tutelato il diritto dell’uomo, anche della vita umana nascente, perché è vita anche quella e va tutelata anche nel grembo della madre. In Europa purtroppo c’è chi pensa che allargare la platea dei diritti significhi allargare la libertà di fare ciò che si vuole a chiunque; solamente che la libertà non la si può concepire come un fai ciò che ti pare ma è fondamentale concepirla secondo l’accezione più autentica che è quella di appartenenza; appartenenza alla scala valoriale, appartenenza ad una visione antropologica chiara e precisa. Oggi più che mai dobbiamo tutelare la vita in ogni sua forma, tutelare la vita in ogni suo momento, e il diritto all’aborto è qualcosa che nulla ha a che vedere con questo, soprattutto in tempi in cui la grande peste bianca che avvolge l’Occidente è così forte, quella cioè del calo demografico permanente. Quindi l’Europa, se vuol ritrovare un futuro - come anche Angela Merkel, a conclusione del suo ultimo consiglio europeo, ha dichiarato – ha bisogno di riscoprire una visione valoriale comune che oggi non c’è, e per riscoprirla occorre porsi delle domande chiare su quale visione antropologica proporre: su quali valori costruire l’architettura europea? Noi ce li abbiamo molto chiari, come Popolo della Famiglia.
Pare che su facebook il ddl Zan sia già in vigore e tu ne sai qualcosa. In generale che rapporto vedi tra social media e mondo politico?
Personalmente mi rendo sempre più conto di quanto i social media siano diventati uno strumento politico purtroppo, a disposizione di alcune frange politiche che lo utilizzano per attaccare gli avversari politici. Me ne sono accorto sulla mia pelle appunto con l’ultima vicenda che ho vissuto, ma è da tempo che vediamo quanto non siano piazze veramente libere le varie piattaforme social su cui interagiamo tutti noi per esprimere i nostri pensieri. Purtroppo non sono spazi veramente pubblici, come invece sarebbe opportuno che fossero, ma sono piazze private, dentro le quali uno può esprimersi secondo quelle che sono le regole, i codici che sono definiti dai loro legittimi proprietari. E nella stragrande maggioranza dei casi parliamo di proprietà che hanno una visione ideologica che è strettamente connessa al pensiero dominante oggi, da Facebook a Twitter a Instagram e via discorrendo. Per cui è molto molto importante mantenere un forte collegamento con il rapporto diretto con la persona - dimensione che non ho mai abbandonato nel mio impegno politico e culturale - e soprattutto non abbandonare mai quella che è una varietà diffusa e larga di comunicazione. Ad esempio, io ancora oggi credo che i giornali, anche in versione cartacea, soprattutto quelli locali più che quelli nazionali, hanno ancora un valore molto importante, perché, soprattutto dopo la pandemia, cresce la voglia di tornare alla socialità diffusa – penso ai bar, ai pub, ai circoli sportivi…(dove i quotidiani locali sono ampiamente diffusi) - e non è un caso che nei dati di raccolta pubblicitaria i giornali locali battano spesso e volentieri in quel territorio specifico dove operano i giornali nazionali, perché sono più letti. Ecco, non dobbiamo dipendere mai da un’unica piattaforma, dobbiamo cercare di utilizzare tutte le piazze possibili per far arrivare i nostri contenuti. Oggi davanti a legislazioni come il ddl Zan, che vogliono imporre pensieri unici, che vogliono imporre visioni ideologiche di parte alla comunità, sempre e ancora più importante e fondamentale è avere il coraggio di allargare l’orizzonte alla comunicazione, tenendo sempre presente – e voglio ripeterlo ancora una volta – che quello che è veramente vincente e determinante, perché il messaggio che ci sta a cuore arrivi sempre, è appunto il rapporto diretto con la persona.
Un valente amico nell’area del popolarismo cristianamente ispirato, che in varie occasioni ha sostenuto e dato il suo esplicito appoggio al Popolo della Famiglia, ha posto recentemente una critica costruttiva al PdF stesso, in termini che potrebbero dirsi in qualche modo e per qualche verso analoghi a quelli del Partito Popolare Europeo nei confronti del leader ungherese Viktor Orban. Scrive infatti l’amico e fratello in Cristo: «Un dato è obiettivo: il PdF fa leva sul fatto morale e ne fa un oggetto di battaglia politica alimentando la contrapposizione “ideologica”. Si può essere politicamente meglio funzionali ad un vero servizio gratuito e ad una funzione più propriamente cristiana, cristica,... comunionale. Anche nel praticare una reciprocità ed una migliore relazionalità meno cinica e autoreferenziale». A integrazione di questo, riporto anche l’intervento di un altro amico della stessa area politica comune: «Parto dall’immagine pubblica che si trasmette. Il tema della vita, e quello della famiglia, sono concepiti come temi etici, classificando tra quelli sociali i temi del lavoro, dell’economia, della giustizia. So che non è così e ho sostenuto più volte che hanno una radice antropologica comune. Ma la separazione esiste». Come risponderesti a queste sane, seppur pungenti, provocazioni?
Le domande che poni sono domande assolutamente pertinenti. Anche il paragone che suggerisci rispetto alle dichiarazioni mosse da parte del Partito Popolare Europeo riguardo alle scelte governativo-legislative del premier ungherese Viktor Orban è assolutamente puntuale e attinente. Come Popolo della Famiglia abbiamo scelto di porre al centro della nostra proposta politica il bisogno e le necessità delle famiglie, in particolare le famiglie che hanno figli. Questo significa orientare la proposta politica e tutte le soluzioni programmatiche esposte - che vanno dal fisco al welfare alla sanità alla scuola... e via discorrendo -, partendo dalle necessità concrete, pratiche e reali di una famiglia e di una famiglia che ha figli. Significa, come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II, orientare attraverso la bussola della famiglia tutte quelle che sono le priorità di una comunità, attraverso appunto la visione del bisogno famigliare. Tenendo conto, e i dati Istat lo confermano, che la quasi totalità della società italiana vive in “formato famiglia”, anche se in difficoltà, anche se sfilacciata; ma noi sappiamo che oggi la tenuta sociale, anche durante il periodo pandemico, c’è stata grazie a straordinarie madri, a straordinarie donne di famiglia, a straordinarie mogli, straordinarie reti sociali fatte di nonni, genitori, figli, nipoti…, relazioni che sono tutte figlie della dinamica della famiglia. Per questo non è una visione ideologica – e rispondo alla tua prima provocazione -, la nostra non è una visione che contrappone diverse posizioni che hanno un impianto ideologico, ma è una visione che ha una concretezza pragmatica molto precisa e che vuole porre il tema della famiglia non come un tema identitario fine a se stesso, ma come un elemento di riferimento orientativo capace di declinare tutti i temi sociali, economici e culturali, che sono al centro del dibattito della politica. C’è chi li declina sul tema – penso alla Lega di Salvini – del rapporto tra italiano e straniero, tra Italia e Europa; c’è chi li declina sul rapporto patria-straniero, patria-poteri sovranazionali (Fratelli d’Italia); c’è chi li declina, come a sinistra, con i temi cosiddetti del pensiero radicale di massa, per citare Del Noce; o i grillini sul rapporto casta/potere-popolo. Ognuno ha la sua dinamica. Per il Popolo della Famiglia il punto orientativo è la famiglia. Per quanto riguarda la seconda provocazione, noi non riteniamo che bisogna fare una dicotomia tra tematiche sociali, economiche, culturali e tematiche etico-valoriali; bisogna guardare tutto in una prospettiva, che è quella del bene della famiglia e del bene della persona. I temi etici devono essere visti secondo questa visione. Se noi siamo capaci di guardare al tema del lavoro partendo dai bisogni della famiglia, e di una famiglia che ha figli, noi non stiamo affrontando il tema del lavoro in maniera “etica”, ma lo stiamo affrontando in maniera valoriale riferita a quei valori che sono propriamente riconducibili alla nostra base culturale, che è quella che fa riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa. Questo è fare politica secondo una visione di società, una visione di Paese, una visione di comunità. I temi etici in politica esistono e su questi occorre esprimersi, e un partito può avere futuro e può avere respiro se è non contraddittorio sui valori di riferimento e se è pragmatico, intelligente nelle traduzioni imperative con cui si attuano i valori nella concretezza della dinamica di tutti i giorni, che sono le riforme, che sono le proposte di legge, che sono le modalità con cui si modifica il fisco, o i supporti che vengono dati attraverso quello che è il cosiddetto “Stato sociale” e la sua stessa riorganizzazione. Per cui oggi più che mai un partito ha bisogno di una visione valoriale chiara, non discutibile e non dubbia o incerta, e di una grande capacità innovativa e di continua discussione - sempre in cambiamento - di quelli che sono gli strumenti attuativi, che sono proposte di legge, proposte programmatiche, e iniziative che vengono portate avanti, che possono mutare col tempo in base al mutamento della società e della storia, ma che sono sempre funzionali a tradurre quei valori che sono eterni – per noi cristiani sono riconducibili all’umanesimo cristiano – e che mettono al centro le due cose che ci stanno più a cuore, la famiglia e la persona.
“Lo Stato è laico”, ha detto il premier Mario Draghi, in riferimento alla nota diplomatica del Vaticano riguardo al ddl Zan. Cosa intendeva, secondo te?
Penso che Mario Draghi sia stato inappuntabile nel suo intervento in aula parlamentare alla Camera e in maniera ancora più puntuale al Senato. Il richiamo alla laicità dello Stato è stato strumentalizzato da alcune parti politiche promotrici del ddl Zan in maniera inopportuna, in quanto il riferimento alla laicità dello Stato è un riferimento ben preciso al riconoscimento della libertà per tutti di esprimere il proprio pensiero, come ha detto il Premier Draghi, nel rispetto della Costituzione e dei trattati internazionali, tra cui il Concordato. E quindi nel dichiarare questo ha voluto precisare che la possibilità di richiamarsi al Concordato è legittima e va considerata come un elemento da tenere in considerazione quando si vara un qualsiasi disegno di legge, e se ci sono elementi non chiari è chiaro che vanno approfonditi. Ha detto una cosa ancora più interessante e più intelligente, e cioè che è il tempo del Parlamento, nel senso che ha dato l’opportunità alle forze politiche di avere il tempo per trovare un punto d’incontro capace di superare la prospettiva ideologica del provvedimento e di garantire il rispetto della Costituzione, il rispetto dei trattati internazionali, tra cui il Concordato, e di far sì che se dev’essere approvato un provvedimento, sia veramente realizzato per lo scopo che ha; in questo caso, come più volte detto, la tutela delle persone nel caso di discriminazione per scelta sessuale. Detto questo, il premier è stato intelligente anche nel far capire in maniera indiretta che se il Parlamento non sarà capace di assurgere al proprio compito ovviamente sarà il tempo del Governo, come ha detto con puntualità l’amico Mario Adinolfi in una delle sue ultime interviste, rilasciata su La Verità, e che quindi sarà poi il momento in cui il Governo dovrà intervenire attraverso il ministro Cartabia con una presa di posizione precisa che sicuramente non consentirà narrazioni ideologiche come quelle che vogliono avanzare i promotori del disegno di legge Zan; ma un testo preciso, chiaro, che si occupi unicamente del tema delle discriminazioni per scelta sessuale, quale sarebbe poi il tema reale che a detta di molti si dovrebbe affrontare con questo disegno di legge, ma che viene usato in maniera ipocrita per portare avanti battaglie di altro genere con articoli già esaminati da diversi costituzionalisti e ritenuti incostituzionali e con delle difficoltà anche nel tutelare lo Stato italiano rispetto ad impegni internazionali come quelli assunti con il Concordato. Quindi, per quanto mi riguarda, il premier Draghi si è mosso in maniera opportuna e corretta.
Martedì 29 giugno 2021
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