di Sergio Bevilacqua
I trattati europei, che pure la Polonia ha liberamente sottoscritto, prevedono che le norme comunitarie abbiano preminenza su quelle nazionali, come sacrosantemente ricordato dal nostro delfino della grande Merkel, Mario Draghi. Il che comporta il dovere, su specifiche materie, dei singoli Paesi di conformarsi alla legge europea anche quando questa confligga con le posizioni politiche dei governi locali. Per la Polonia (ma anche per l'Ungheria governata dal nazionalista Viktor Orbàn) è stato il caso di temi divisivi come l'accoglienza obbligatoria di quote di immigrati sul proprio territorio (materia di doverosa pertinenza comunitaria), ma anche delle garanzie di indipendenza della magistratura o della tutela dei diritti delle minoranze (materie di appartenenza più che comunitaria, addirittura Occidentale, cioè canoni della nostra grande, comune esperienza democratica). Due settimane fa, la Corte Costituzionale polacca aveva rotto i ponti con Bruxelles deliberando che le leggi nazionali avessero preminenza su quelle comunitarie, e la Von der Leyen aveva reagito rifiutando ogni compromesso e promettendo di garantire i diritti dei cittadini europei «in qualsiasi Paese essi risiedessero». E se tirar dentro all'Europa dei primitivi ha il suo senso, anche con la intenzione di erudire il pupo, già ben esperita dalla digestione della Germania Est da parte della grande nazione tedesca, questo non significa che si lasci radicare il tumore dell'anti-democrazia nel corpo europeo, col rischio che coinvolga i linfonodi e dilaghi come morte.
La Politica è anche questa. La cecità di molti verso le vie dello sviluppo sociale, civile ed economico in era G.A.M.(vedi http://italia.reteluna.it/it/la-trivoluzione-3-rivoluzioni-in-una-sola-un-nuovo-diluvio-pronti-a-salire-sull-arca-AdjKK.html ) e gli interessi di piccole o grandi "botteghe", comunque obbligano a decisioni dure come questa. Io sono d'accordo con le limitazioni dell'impegno comunitario verso i Paesi che non aderiscono al programma di comune sviluppo civile europeo. Questi non fanno lesa maestà, ma lesa intelligenza strategica. Se si ricredessero, una volta si varasse giustissimamente la misura, la si rivedrà.
Ma purtroppo, occorre constatare che la destra europea è un catorcio di vecchiume. L'alternativa ci vuole, altrimenti ci si gioca la democrazia, ma non verrà da visioni opportunistiche di "popolo" o da filosofie decrepite bell'e decomposte.
Per dirla in destrese, lingua piena di vuoti, il futuro democratico sarà di una "sinistra" che farà concorrenza a un'altra "sinistra", e tra i vuoti semantici del destrese c'è appunto il significato reale di Comunismo, che è rimasto nascosto sotto l'antica ormai bandana di Berlusconi, che però più invecchia meglio è, tra i mojito di Salvini o tra le sparate della Meloni. Per dirla in linguaggio normale, la Destra è finita, finalmente, e io ci ho provato seriamente a cercar di capire se c'era qualcosa di buono in quel mondo antico: e non sono le teste della provincia italiana e localistica di campanile, fatte perlopiù di rettili sguscianti per conto loro e di roditori interessati a pezzi di formaggio mooolto stagionato, a farmelo constatare da sociologo, ma la filosofia mondiale delle destre radicali che mostra un pericoloso ritardo antropologico. Non originalità, vero ritardo.
È antropologicamente superata, la "destra", come già fu la "sinistra" del materialismo storico, e pericoloso l'irrigidimento dell'anacronismo. Oggi, deve sorgere o dichiararsi finalmente in onestà intellettuale, sia di là che di qua, un centro moderato e dialettico, sinceramente democratico, che è presente da almeno 70 anni nelle democrazie evolute (non in Italia, ove è solo marginale e malato, e presenta serissimi problemi in Polonia e in Ungheria) ma in UK, negli USA (ove l'alternativa ai democratics di Biden deve ritornare ai repubblicans, non solo trumpiani!), in Germania ad esempio, e anche in Francia e Spagna o nei Paesi nordici d'Europa.
Adorno, Theodor Wiesengrund, genovese da parte di madre, è l'erede sociofilosofico della dialettica hegeliana |
La democrazia non è "pensiero unico", ma vero pensiero moderno, acquisizione antropologica, e si basa su un equilibrio di sistema tra mondo interiore di valori e funzionamento mentale, e mondo esterno fatto di comunità civili. Il patrimonio interiore e di interfaccia è quello della dialettica positiva, rivendicato ancora dal più recente comunismo, quello figlio della rivoluzione culturale cinese, ove fu però usato in modo sanguinario come una clava contro l'individualismo borghese, già ritardato. Oggi è magari da "sciacquare in Meno" (il fiume di Francoforte, ove iniziò il lavoro della dialettica negativa di T.W.Adorno, che andò a fecondare gli USA con risultati concreti, anche se mediocri, troppo intelligente...) ma rimane un fondamento. Ed è la regola del logos, e lega "creatore a creatura", condizione anche per il Cristianesimo (ma non solo...) del'immagine e somiglianza. Rinunciare alla dialettica è totalitarismo e disadattamento pericoloso.
Occorre poi portare attenzione profonda al fenomeno evolutivo della visione comunista. La via cinese è molto interessante, anche se non priva di forti chiaroscuri. Ma le basi della Rivoluzione Culturale, un'orgia satanica sul piano della violenza, come purtroppo tutte le rivoluzioni combattute, ha praticamente prodotto, a 50 anni data, un originale sistema economico, che ha ricollegato sotto uno strano "comunismo" la civiltà millenaria cinese, già comunitaria anche sotto il millenario Celeste Impero (4000, quattromila, anni!) e sotto la Repubblica (tra gli anni 10 e gli anni 40 del secolo scorso), e l'esperienza del fallimento del modello sovietico.
Il sistema è molto complesso, oggi, e non si può continuare a portarsi dietro pesanti casse di roba marcia. Occorre essere leggeri e guardare al futuro, tutti d'accordo sulla democrazia e in corretta concorrenza sul FARBENE. Da tutto questo nasce una visione: la Politica del FARBENE, che significa via gli incompetenti, i disonesti e i furbastri ambiziosi. Ogni posizione pubblica richiede competenze, che possono essere conclamate da curriculum certificati, nessun rischio è ammesso per la gestione della cosa pubblica. E i partiti devono essere seri e, tra le tante incombenze democratiche, fare affiorare quelle competenze necessarie. Perché, se è pur vero che chiunque in democrazia deve poter esercitare il suo diritto al bene comune, cioè alla politica, ciò va fatto in relazione alle capacità di ciascuno. E i partiti esistono in democrazia proprio per gestire, tra l'altro, questo elemento fondamentale della buona politica.
Occhi aperti, si naviga a vista: il mare è in tempesta e dobbiamo mollare le zavorre per cavalcare l'onda, che l'arca è già abbastanza carica e il diluvio è appena iniziato.
Venerdì 22 ottobre 2021
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